Finalmente è arrivato anche da noi in Italia, sia pure solo in dvd e in edizione limitata, un lungometraggio animato made in Japan che ha fatto incetta di premi in diversi festival, non tutti rigorosamente di genere. La ragazza che saltava nel tempo, diretto da Mamoru Hosada, noto per la regia della fortunata serie dei Digimon, è un’opera agile e scorrevole e tipicamente adolescenziale, ma dai risvolti imprevedibili e dal retrogusto dolcemente malinconico. È la storia di Makoto, liceale un po’ svagata e indifferente al succedersi degli eventi, catapultata improvvisamente in una dimensione temporale immediatamente precedente a quella vissuta. Il momento del balzo temporale a ritroso la salva da morte certa; da una collisione, a bordo della inseparabile bicicletta, con un treno che attraversa la città, in una giornata in cui tutto le era andato storto. Scoperto il nuovo potere acquisito, la ragazza comincia a saltare indietro nel tempo ogni qualvolta vuol correggere un errore, o anche solo per modificare eventi più o meno fastidiosi. La cosa le prende la mano e le fa commettere piccole imprudenze che si ingigantiscono per i naturali giochi della sorte compiuti dal destino. Makoto ha due cari amici, con cui trascorre le giornate, che provano una forte infatuazione nei suoi confronti. Quando il sentimento si palesa manifestamente la ragazza farà di tutto per tornare indietro e correggere l’evento, per evitare di confrontarsi col suo stesso sentimento. I continui sali e scendi provocano inevitabilmente un cortocircuito comunicativo, ma anche una vera e propria alterazione del naturale scorrere degli eventi. Cortocircuiti e alterazioni riportano Makoto a doversi confrontare col possibile dramma che l’aveva resa consapevole del suo potere, modificando però i personaggi sulla scena. Per la ragazza è una corsa contro il tempo, che la porta a conoscere il segreto che si cela dietro al dono ricevuto, al disvelamento del mistero d’origine e ad accorgersi che anche lei ama. Ama qualcuno che ha viaggiato a ritroso nel tempo, per poter rimirare un quadro che il lontano e imperscrutabile futuro aveva cancellato per sempre.
Come accennato in apertura, La ragazza che saltava nel tempo sfrutta un’insolita cornice fantascientifica per creare un’intelligente variazione sul tema dell’adolescenza e dintorni, età principe degli anime giapponesi. Variazione sul tema che, grazie alla sapiente e talentuosa penna di Yasutaka Tsutsui, già autore del noto Paprika (trasformato anch’esso in un interessante lungometraggio animato), contribuisce all’efficacia di un’animazione che cerca l’ampio respiro e i toni lievi, l’assenza del clamore assordante nonostante le gesta scomposte e fracassone della protagonista. Il tema del tempo, ossessione di una tradizione, quella nipponica, abituata ad intenderlo in maniera circolare, è centrale nel voler innescare una riflessione sul destino e sul suo immancabile contribuito a eventi e mutamenti. Eventi e mutamenti che l’adolescenza restituisce accelerati, che brucia consumando gli attimi, lasciando all’età adulta il tempo della riflessione, del rimorso e del rimpianto. Ma quando la dimensione temporale è alterata, anche l’adolescente, potendo usare il senno di poi, può fermarsi a riflettere e a valutare l’impatto degli eventi su corpo e psiche. È ciò a cui andrà incontro Makoto, quasi costretta ad accelerare la propria presa di coscienza per l’impellenza di dover decidere di sé o di dover arrestare il meccanismo perverso involontariamente creato.
Ad una prima parte divertente e scanzonata fa da contraltare un’ultima mezz’ora ricca di pathos malinconico, momento culmine della quale è proprio l’arrestarsi del tempo intorno ai due futuri amanti, in conseguenza di una rivelazione importante e prima di un epilogo che getta lo sguardo lontano, ad un futuro nemmeno troppo prossimo e denso di nebulose, comunque probabile testimone di un amore la cui consapevolezza arriva al giusto momento, prima che non si perda anch’esso in un intervallo del tempo circolare. La struttura cosi articolata ci conferma un dato che va inequivocabilmente consolidandosi nella tradizione del lungometraggio d’animazione giapponese, ovvero la ricerca di un linguaggio, sia visivo che narrativo, che allontani la banalità e che contenga tracce educative rivolte all’adolescenza ma non solo: in un’ottica sempre circolare, anche all’infanzia e all’età adulta. Il futuro prossimo venturo, che sia vicino o lontano, è sempre in effetti immaginato come un pericolo o come un luogo dove le tracce del nostro presente vadano irrimediabilmente perdute. È il tratto più evidente di lontananza – e mi piace sempre ribadirlo – dall’animazione occidentale dei colossi della Disney, ancorché in Europa si intravedono segni di un’animazione più matura (per citare un film recente: Persepolis). Degna di nota la colonna sonora, affidata a un agrodolce sottofondo di solo piano che non offusca ma al contrario accompagna sapientemente i motivi della pellicola e le sue dinamiche animate. Animazione creata da Yoshiyuki Sadamoto, già cimentatosi nel famoso Evangelion, molto efficace nel colore e nella costruzione del dettaglio e di alcune ambientazioni.
La ragazza che saltava nel tempo, tra i numerosi premi vinti, ne vanta ben 6 al solo Tokio International Anime Fair (film, regia, storia originale, sceneggiatura, direzione artistica, character design), ed è a conti fatti uno dei migliori prodotti dell’animazione giapponese degli ultimi anni. Certo non arriva ai capolavori di Miyazaki, ma è un’opera piacevole con notevoli spunti di riflessione, che può piacere anche ai non strettissimi cultori del genere.
Federico Magi, giugno 2008.
Edizione esaminata e brevi note
Regia: Mamoru Hosoda. Soggetto: tratto dall’omonimo manga creato da Yasutaka Tsutsui. Sceneggiatura: Satoko Okudera. Character design: Yoshiyuki Sadamoto. Musica: Kiyoshi Yoshida. Produzione: Mad House. Titolo originale: “Toki wo kareku shoujo”. Origine: Giappone, 2007. Durata: 100 minuti.
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