Kelly Richard

Donnie Darko

Pubblicato il: 13 Dicembre 2006

The Killing Moon (Echo & The Bunnymen)

Under blue moon I saw you / So soon you’ll take me / Up in your arms / Too late to beg you or cancel it / Though I know it must be the killing time / Unwillingly mine / Fate / Up against your will / Through the thick and thin / He will wait until / You give yourself to him

In starlit nights I saw you / So cruelly you kissed me / Your lips a magic world / Your sky all hung with jewels / The killing moon / Will come too soon / Fate / Up against your will / Through the thick and thin / He will wait until / You give yourself to him

Under blue moon I saw you / So soon you’ll take me / Up in your arms / Too late to beg you or cancel it /
Though I know it must be the killing time / Unwillingly mine / Fate / Up against your will / Through the thick and thin / He will wait until / You give yourself to him

Questa è la prima canzone che si ascolta in Donnie Darko. È una canzone degli Echo & The Bunnymen, tratta da Ocean Rain, album del 1984. Le canzoni di questo film sono fondamentali. Non solo per ricreare l’atmosfera degli anni in cui il film è ambientato, ma perché i loro testi raccontano, in qualche modo, ciò che lo spettatore guarda. Questa canzone non è stata messa lì semplicemente perché ci stava bene, ma perché racconta, in sintesi, la storia del film, quella storia che lo spettatore si appresta a vedere. Così troviamo Love will tear us apart dei Joy Division, Notorius dei Duran Duran, Mad World cantata da Gary Jules (“all around me are familiar faces…” – ora è anche in una pubblicità, non ricordo quale). Non si trova sempre una tale attenzione nella scelta dei brani, ma forse in questo caso mi è balenato in maniera più evidente perché ad alcune di queste canzoni devo molto in emozioni e coscienza. Torno a questa canzone, che parla di un incontro notturno, e del “destino, alle prese con il tuo volere, nella buona e nella cattiva sorte, aspetterà, fino a quanto ti darai a lui”. Il destino, il motore che cade, il destino, il coniglio nero. Questa canzone, cantata da Eco e gli uomini-coniglio. Mah. Il nome del gruppo echeggia la storia del film, e questa canzone la racconta. Donnie Darko è un film che fin dall’incipit si annuncia pieno di rimandi e citazioni, una sorta di collage atto a raccontare alcuni giorni nella vita di un ragazzo di una cittadina americana sul finire degli anni ’80, esattamente nel 1988. Non è un caso, credo, neppure che si prendano in esame gli ultimi 28 giorni, ossia esattamente un ciclo lunare (la canzone, di nuovo, The killing moon). The black bunny, il coniglio nero (anche se potrebbe essere pure black rabbit, non conosco la versione originale americana). E Donnie già dal suo cognome tende all’oscurità (dark: scuro, buio).

Ma il coniglio, o meglio, bunny, non può essere anche l’alter ego del famoso personaggio dei cartoni animati, Bugs Bunny? Mah. È un film complesso, Donnie Darko, che prende in giro supereroi e al tempo stesso ne imita alcuni, ad esempio il motto di SpiderMan, “un grande potere implica una grande responsabilità” è nel suo caso più che appropriato. È molto simile all’uomoragno, lo stesso ragazzo liceale, i problemi con le ragazze, il timore nel seguire un destino non voluto, ma piovutogli (è proprio il caso di dirlo) dal cielo. L’incomprensione degli altri, della famiglia, degli amici, nei confronti del suo atteggiamento, tra la lotta e la rassegnazione. Un destino che accetta malvolentieri, ma di cui ride, in fondo. E lui sorride sia all’inizio che alla fine del film, quando tutto gli è finalmente chiaro. Mi ritornano in mente parole di Sylvia Plath che un’amica ha donato: “C’è qualcosa che mi sta aspettando. Forse un giorno avrò una rivelazione improvvisa e potrò vedere l’altra faccia di questo enorme, grottesco scherzo. E allora riderò. E saprò cos’è la vita”. Ecco, per Donnie, alla fine, pare proprio che sia così. E se ne torna a letto. Mentre Sylvia, anche lei si stese, sul pavimento con la testa nel forno, poggiata su un cuscino. Entrambi attendono la fine dormendo. E Donnie sorride. Chissà se anche lei fece lo stesso. Non un sorriso di sfida al destino, né di vittoria, non sarcastico, ma un sorriso che dice “Adesso ho capito. Nonostante tutto, adesso ho capito. Nonostante anche te, destino, adesso mi è chiaro.” Un sorriso che aleggia sulle scene finali del film, un sorriso che la morte non strappa via dalla nostra mente, o meglio, dal nostro cuore. Ma torniamoci ancora, su questo film. Film che critica anche duramente certi aspetti della società americana, e non soltanto con la figura del padre, non soltanto con la scena politica di sottofondo, pure importante, ma anche la propensione, molto americana, dell’utilizzo di psicofarmaci sui ragazzi. Donnie va da una psichiatra, forse psicologa (mi pare strano però, qui da noi gli psicologi non possono prescrivere medicine, non so negli Stati Uniti) che gli prescrive dosi crescenti di farmaci. Negli U.S.A. infatti i genitori (ma anche le scuole fanno la loro parte) di bambini anche in piccola età, se questi si mostrano troppo attivi, meglio, iper-attivi, li mandano da specialisti, e non esiste limite di anni per certi farmaci (che qui da noi sono spesso riservati ad adulti) così questi bimbi, ragazzi, (hanno l’argento vivo addosso, direbbe qualcuno) vengono sottoposti a cure anche pesanti a livello farmacologico. Tempo fa su MTV c’era una trasmissione documentario sull’utilizzo di pillole per la concentrazione. Venivano intervistati ragazzi che facevano uso di queste pasticche e che avevano accettato di smettere per un certo periodo di tempo per vedere se i risultati scolastici sarebbero cambiati o meno. Per alcuni non ci fu differenza. Uno addirittura non aveva detto alla madre di aver smesso (sì, perché sono anche i genitori a incoraggiarne l’uso) e lei rimase molto sorpresa dal fatto che i risultati del figlio fossero rimasti gli stessi di prima. Altri invece, pur rendendosi conto che il divario non era molto, ripresero a farne uso, per la sensazione che gli dava. Nel film, le pasticche servirebbero a mantenere Donnie nel mondo “reale”, al contrario che in Matrix, inoltre attraverso il coniglio le citazioni si moltiplicano. Del gruppo che suona la canzone iniziale si è già visto e a questa citazione musicale si aggiungono quella di Matrix (segui il bianconiglio) che a sua volta riprendeva Alice nel paese delle meraviglie. Qui però il coniglio è nero. Una cupa consapevolezza. O meglio, il bianconiglio portava Alice nel “paese delle meraviglie”, mentre qui il protagonista viene catapultato nel mondo spogliato delle apparenze. Un mondo che appare quasi come paese delle meraviglie, ma che si rivela essere tutt’altro, pieno di ipocrisie e falsità. Pieno di maschere. A proposito di maschere, il coniglio nero alla fine svelerà il suo volto. Il coniglio nero sarà reale. Frank, il suo nome nelle apparizioni, e nella realtà. Il ragazzo di sua sorella (se non ricordo male). Si vedono i disegni della sua maschera. E mi chiedo se Donnie li avesse mai visti. Il nero coniglio Frank (parentesi sul “coniglio”: È impressionante come la figura del coniglio ricorra in molte opere di autori americani. Cinematograficamente parlando, basta citare Lynch. Fino da Eraserhead (il bimbo deforme era un coniglio, ehm…). Ma anche in letteratura, John Updike ha creato tutta una serie di romanzi che avevano come protagonista un uomo, Coniglio. Run, Rabbit Run, uno dei titoli. In un racconto di “La ragazza dai capelli strani”, di D.F.Wallace, c’è una collina invasa da conigli. Ancora, rabbit è parola che si usa per dare del codardo, molto più di quanto si usi da noi. Coniglio. fine parentesi). E tutti i personaggi, non hanno nomi casuali. O soprannomi. NonnaMorte, ad esempio. I ragazzi vanno da lei in bicicletta nella notte e proprio da lei accade l’incidente che toglie la vita alla ragazza di Donnie (“Hai un nome da supereroe”, la ragazza fin dall’inizio l’ha inquadrato).

E poi, il signor Cunningham, Patrick Swayze, con i suoi modi, le sue risposte tranquillizzanti, Cunningham come in Happy Days, Giorni felici. E lui li fa sembrare davvero felici, i giorni. Mentre uno scrittore, Cunningham, ha pubblicato un romanzo che si intitola “Una casa alla fine del mondo”, e qui siamo proprio alla fine del mondo. Ma questi collegamenti sono mie invenzioni. Bruscamente arrivo alla fine, cioè alla fine del mondo. Qui c’è un cortocircuito. La morte della ragazza è, fino a quel momento, l’unico episodio tragico del film. Possiamo pensare che Donnie intuisca che il motore caduto in camera sua è quello dell’aereo dove sono sua madre e sua sorella più piccola. Ma potrebbe anche non essere così. Insomma, lui decide di tornare indietro nel tempo e salvare delle vite. L’annuncio è quello della fine del mondo, anche se mi pare ci sia una frase, nel film, che fa più o meno così “Il mondo finisce quando muori tu”, e lui decide di tornare in camera e aspettare che il motore cada. Ma il fatto che Donnie torni in camera, non dovrebbe già cambiare il corso degli eventi? Non accade questo. Il motore cade, e cade dal futuro, quindi l’aereo dove erano madre e sorella è precipitato. Certo, loro non ci sono, o meglio, non ci sono entrambe, perché Cunningham non è stato scoperto come pedofilo (quindi c’è un pedofilo in più libero) e quindi l’insegnante della sorella patita di danza non è rimasta a fare sit-in, ma è partita per lo spettacolo con le ragazzine. Dunque su quell’aereo ci sono le ragazzine, compresa la sorella, e la professoressa scema. Inoltre, la sua ragazza non dovrebbe morire, visto che non conoscerà mai Donnie. Siccome le cose sono varie, faccio uno schema: Donnie non è in camera quando cade il motore: si scopre che Cunningham è un pedofilo; la prof di lettere viene mandata via; la prof di ed.fisica impazzisce; la madre, la sorella e la ragazza di Donnie muoiono; la ragazza di Donnie riesce ad aprirsi con lui; lui acquisisce maggiore consapevolezza della società in cui vive e scopre l’amore. Donnie è in camera quando cade il motore: Donnie muore; Cunningham è libero; la prof di lettere possiamo pensare che non sarà cacciata; la prof di ed. fisica e la sorella di Donnie muoiono nell’incidente aereo (a meno che l’aereo a questo punto non sia un altro, oppure che le ballerine abbiano perso la gara); la ragazza di Donnie forse troverà qualcun altro, ma chissà quando e se, visto i ragazzi che ci vengono presentati nel film; Donnie ha sì capito di più il mondo e scoperto l’amore, ma.  E il suo sacrificio salverà il mondo, visto che comunque un aereo è caduto e quello è l’inizio? Per me, Donnie che rimane a letto avrebbe dovuto già cambiare il futuro, e dal buco temporale sarebbe dovuto passare altro. Perché, da notare, non passa tutto l’aereo, bensì solo una parte. A pensarci bene, può anche darsi che l’aereo privo di un motore sia comunque atterrato da qualche parte. Per me, in ogni caso, è una cosa che non quadra. Donnie rimane a letto e a quel punto succede qualcosaltro. Così com’è, il finale, dopo una visione, mi dice che la fine del mondo ci sarà. A meno che con l’espressione “fine del mondo” il coniglio nero non alluda alla morte di Donnie. Un film da cui si dipanano mille possibili strade, volutamente, e che penso però non siano proprio del tutto funzionali. Per dirla meglio, la forza critica del film per me si perde un po’ nell’intrico ragnateloso di citazioni dal gusto enciclopedico. L’apertura di orizzonti che ne deriva può confondere, nel senso che magari non vengono capiti del tutto, come rimanessero annebbiati e, appunto, confusi. Ma forse mi spiego male. Il problema è che l’ho visto dopo che ha avuto successo. E sono passati quattro anni da quando è uscito. Cobain, all’apice del successo, si disse disorientato dai propri fans, disse che loro non capivano in realtà quello che il gruppo voleva dire. Non erano in sintonia. E il successo basato su una sorta di qui-pro-quo. Non si riconosceva in chi comprava i suoi dischi. Non capiva perché li comprassero. Gli americani sono attratti da ciò che non capiscono di primo acchito, ma che li colpisce in qualche modo. American Beauty ha avuto gran successo, eppure era un film molto critico nei confronti della società statunitense. Perché? La gente va a vederlo, e dopo essersi vista sullo schermo non cambia. Altrimenti non avrebbero votato Bush. O. Così questo film, che non fu fatto uscire a tempo debito per via dell’11 settembre, ha acquisito forza dalla censura. Ma questa censura era riferita all’aereo che cade che presagisce la fine del mondo, e non alla storia, a ciò che Donnie ci racconta. Ha dato forza all’aspetto profetico, diciamo così, e tolto forza a quello critico. Così in primo piano sono passati la caduta dell’aereo e la fine del mondo, che sono, semplificando, i pretesti per raccontare una storia, ma non la storia, né il significato di questa. Lasciare lo spettatore libero di dare la propria interpretazione pare uno degli intenti del film. Dimenticando però che in ogni caso il singolo spettatore interpreta lo spettacolo che va a vedere in modo personale, a dispetto della volontà dell’autore di chiarire la propria posizione al riguardo.

Per me Donnie con la sua scelta finale vuole dire che col Destino puoi giocarci finché ti pare, ma poi ti viene a prendere, che tu sappia o meno la data di scadenza. Ma forse no. Donnie si sacrifica per qualcuno. Non sappiamo davvero se l’aereo che cade è quello con la sorella. Ma sappiamo che la sua ragazza muore. Sappiamo che Donnie ha vissuto l’amore. Che ha accettato di morire trovando un senso alla sua vita. Il destino. Come dice la canzone dell’inizio, the killing moon: “Il destino, alle prese con la tua volontà, nella buona e nella cattiva sorte, aspetterà fino a quando ti darai a lui”. Però, col sorriso sul volto. Il sorriso di Donnie per me è la chiave. È un sorriso che non lascia soli.

Il pezzo è apparso in questa versione su bombasicilia il 13 marzo 2007 e successivamente in lankelot.

Regia: Richard Kelly. Soggetto e Sceneggiatura: Richard Kelly.  Direttore della fotografia: Steven Poster.  Montaggio: Sam Bauer, Eric Strand. Interpreti principali: Jake Gyllenhaal, Holmes Osborne, Maggie Gyllenhaal, Jena Malone, Daveigh Chase, Mary McDonnell, James Duval, Patrick Swayze, Beth Grant, Patience Cleveland, Jazzie Mahannah, Jolene Purdy, Stuart Stone, Drew Barrymore.  Musica originale: Michael Andrews. Produzione: Adam Fields, Nancy Juvonen, Sean McKittrick. Origine: Usa, 2001. Durata: 133 minuti director’s cut / 113 minuti versione ufficiale.

ab, marzo 2007