Capitta Alberto

Creaturine

Pubblicato il: 30 Marzo 2016

Alberto Capitta è un autore sassarese, classe 1954, regista e attore teatrale, romanziere. Dopo un’opera prima con Guaraldi (Il cielo nevica, 1999) pubblica questo Creaturine con la casa editrice nuorese Il Maestrale. Sassari conta pochi narratori, quattro o cinque al massimo, nascosti da nomi isolani ben più celebri: Soriga, Mannuzzu, Gavino Ledda, Giorgio Todde e altri che hanno fatto il salto di qualità con case editrici importanti, quali Bompiani o Einaudi. Sassari vanta un solo nome affermato da decenni, Bianca Pitzorno, con i suoi libri per bambini e il suo titolo più celebre, Ascolta il mio cuore (Mondadori, 1991). Pochi però conoscono Annalena Manca, Grazia Maria Poddighe, Nello Rubattu, Rossana Carcassi o, appunto, Alberto Capitta.

Nel 2004 esce Creaturine, un libro coraggioso soprattutto perché lontano dal filone patriottico che ha segnato la storia della letteratura sarda – esplicitamente – fin dal primo Ottocento. Capitta non critica il desiderio diffuso fra gli isolani di creare un’isola di fatto anche dal punto di vista politico; egli semplicemente si limita a raccontare una storia fantastica che può aver luogo anche in altri siti geografici che non, come invece avviene, la città di Sassari. In una breve intervista spiega, senza polemica alcuna, la sua necessità: “E poi bisogna vedere cosa intendiamo per isola. Isole culturali per esempio ve ne sono ovunque. Penso alla Palestina, ai baschi, alla cultura partenopea. Certo è che quando ho deciso di scrivere il primo libro il mio pensiero si è rivolto spontaneamente all’isola in cui vivo. Ma ho altre importante radici lontano da qua. Nella vita di una persona, si sa, può esservi di tutto: viaggi, incontri, scoperte. La geografia che ne viene fuori è il risultato di questo processo. Esperienze e memorie che finiscono per confluire, celate, nei miei racconti. Devo solo riconoscerle, confidarmele e impastarle al tutto come fossero ingredienti perfettamente compatibili col resto. Alla fin fine poi è sempre un paese interno quello che raccontiamo” (wuz). È una patria intimistica, dunque, che risiede nell’animo. Ciò non esclude che lo spirito cittadino sfiori la sua prosa: Creaturine è una storia ambientata nel sassarese ai primi del Novecento, parla di due orfani, due vite parallele; il primo tesse una vita all’insegna della carriera, è infatti un medico; il secondo si perde per via di una società che lo disgrega. Una donna, per casualità della vita, vivrà la sua giovinezza con l’emarginato e la sua maturità con il dottore. Non si legge però una critica alla società come causa del malessere individuale: il destino di Rosario il medico, o di Nicola il fuggiasco, è anzi antitetico al loro modus vivendi. Questa tesi di fondo non è strillata come slogan di una scoperta personale; è anzi soffocata da una prosa eccezionalmente lirica che forse ancor più del Passavamo sulla terra leggeri di Atzeni, tende a trasformare il racconto in una ballata. È un evidente frutto dell’esperienza teatrale di Capitta, che trasforma le ridondanze sintattiche in vera e propria affabulazione da salmodiare. Il testo presenta tuttavia delle scelte stilistiche dissonanti – consone più alle metafore ruvide di Gavino Ledda – quali le imbarazzanti “La vaporiera s’insanguinava le mani nelle arrampicate e scoreggiava di felicità” (p. 27) o “che non le lasciavano neppure il tempo per pisciare” (p. 33) o altre flatulenze che danneggiano un lavoro altrimenti ben più affascinante. Curioso è il tentativo di rendere antropomorfo ogni fenomeno naturale (con terminologie correntemente relegate ai gesti degli essermi umani) e l’imperterrita descrizione sensoriale di ogni singolo procedimento della narrazione. L’ambientazione storico geografica rimane sempre in secondo piano ma c’è, fa da sfondo quasi teatrale, sempre appena accennata: è maggiormente sottolineato l’agire umano e le sue contraddizioni autodistruttive, l’insolenza delle figure materne, la caducità dell’equilibrio coniugale a favore della fuga nel fantastico. Infatti Nicola, abbandonato dall’uomo, trova rifugio nel regno animale, in compagnia di una donnola e alcune pecorelle vagabonde cui dà nomi singolari: Destino, I pianeti, Omicidio, Gesùcristo ed Eterna. E legge loro un libro trovato per caso, I viaggi di Gulliver, ne studia i disegni, che poi dipinge sulla propria pelle, trasformandosi in una storia ambulante da vivere e raccontare. Nicola si suiciderà, è una delle prime cose che Capitta ci svela. Non solo: dei salti temporali improvvisi piovono ogni tanto fra le pagine, anticipando delle storie che l’autore non ci racconterà mai: “Ottanta o novant’anni più tardi su quel luogo sarebbe sorto un discount, là dove il ragazzo e le sue bestie riposavano” (p. 140).
Insomma, Capitta è stata una piacevole, straniante sorpresa. Al momento opportuno seguiremo il suo tragitto letterario per condividerlo insieme, come la sua parentesi romanzesca si merita senza indugio.

Edizione esaminata e brevi note

Edizione esaminata e brevi note
 
Alberto Capitta (Sassari, 1954), co-fondatore di Ariele Laboratorio, direttore artistico, regista e attore teatrale. Ha pubblicato Il cielo nevica (Guaraldi, 1999 e Il Maestrale, 2007), Creaturine (Il Maestrale, 2004 poi Frassinelli, 2005), Il giardino non esiste (Il Maestrale, 2008), Alberi erranti e naufraghi (Il Maestrale, 2013).
Alberto Capitta, “Creaturine”, Il Maestrale, 2004.
Nel web: Intervista
Luca Martello, 12 settembre 2009