Tutu Desmond Mpilo

Non c’é futuro senza perdono

Pubblicato il: 10 Gennaio 2010

27 Aprile 1994: è una data storica per il Sudafrica, si svolgono infatti le prime elezioni libere dopo anni e anni di apartheid, ma il paese ha ancora molte, troppe ferite aperte, abissi di odio si sono creati tra due popoli che convivono nello stesso paese, ma hanno avuto trattamenti molto diversi.

Il vescovo anglicano Desmond Tutu ricorda con emozione quel giorno come una grande esperienza spirituale: aleggia il timore di attentati e disordini, ma soprattuttto c’é la gioia della gente che può finalmente scegliersi un governo. Bianchi e neri insieme fanno la fila ai seggi, fraternizzano, condividono panini e ombrelli, si scambiano i giornali. Da quelle elezioni uscirà eletto presidente Nelson Mandela.

Sembra strano per noi, che consideriamo scontata e quasi una noiosa incombenza la possibilità di votare, leggere di tutto questo come di una conquista.

Una volta nominato il governo democratico, si pone però il grave problema dei crimini commessi durante l’apartheid: repressioni, rapimenti, torture, attentati, privazione di tutti idiritti civili e segregazione per i neri. Era necessario trovare una soluzione che non fosse né una ingiusta rimozione, né un drastico processo stile Norimberga, perché non vi erano vinti e vincitori, ma solo due gruppi umani che si scoprivano cittadini del medesimo stato, legati in una sorte comune, dopo essersi combattuti per anni.

Mandela stesso volle istituire la TRC (Truth and Reconciliation Commission, Commissione per la Verità e la Riconciiazione) per indagare sul passato del Sudafrica e gestire quella pesante eredità. Presidente della Commissione fu il vescovo Tutu, che in questo libro racconta la sua esperienza, valutando i pro e i contro, le discussioni, i contrasti, gli aspetti positivi e negativi e la possibilità di proporre questa soluzione, pur non perfetta, in altri paesi con problemi analoghi.

L’apartheid aveva disumanizzato vittime e carnefici, bisognava ora trovare una terza via per convivere insieme senza rovistare eccessivamente in un passato troppo doloroso per alcuni, ma anche senza rimuovere i crimini commessi.

Si pensò allora a questa Commissione, composta da sedici persone ( dieci neri e sei bianchi, tra i quali due afrikaner. Per razze, appartenenza politica e religione in pratica erano rappresentate tutte le varie componenti della realtà sudafricana). Non si trattava di un tribunale, ma di un organo preposto a far chiarezza sui fatti e in grado di concedere l’amnistia.

Chi voleva beneficiarne – per un fatto preciso – doveva dimostrare di aver fornito una confessione completa, non si trattava di un processo visto che qui erano gli accusati a dover chiarire i fatti. Dovevano dichiarare il loro crimine in pubblico per ottenerne il perdono. Naturalmente ampio spazio fu lasciato alla testimonianza delle vittime e ai loro parenti, che desideravano chiarezza sulla sorte dei loro cari, spesso scomparsi letteralmente nel nulla. Non fu un’amnistia generale, che sarebbe stata troppo simile a una rimozione.

“La nostra nazione ha voluto ripristinare e affermare la dignità e la personalità di coloro che tanto a lungo erano stati ridotti al silenzio, privati di identità e di valore. Finalmente quelle persone potevano raccontare la loro storia, potevano ricordare e nel ricordare trovare conferma di se stessi come esseri umani dotati di una personalità inalienabile” (p.31)

L’idea della TRC ha le sue origini in un concetto tipico della cultura africana: l’ubuntu. “Una persona che ha ubunthu è aperta e disponibile verso gli altri, riconosce agli altri il loro valore, non si sente minacciata dal fatto che gli altri siano buoni e bravi, perché ha una giusta stima di sé che le deriva dalla coscienza di appartenere a un insieme più vasto, e quindi si sente sminuita quando gli altri vengono sminuiti o umiliati, quando gli altri vengono torturati e oppressi, o trattati come se fossero inferiori a ciò che sono.” (p.32)

Si parla in pratica di una giustizia restitutiva, che non ha al centro la punizione bensì l’ubuntu, fare giustizia significa “risanare le ferite, correggere gli squilibri, ricucire le fratture dei rapporti, cercare di riabilitare tanto le vittime quando i criminali, ai quali va data l’opportunità di reintegrarsi nella comunità che il loro crimine ha offeso”. (p.46)

Il crimine è visto come qualcosa che è accaduto alla persona e la cui conseguenza è la rottura dei rapporti, che vanno ricostruiti per quanto possibile. Una volta accertati i fatti può venir concessa l’amnistia, che agisce come se il crimine non fosse mai avvenuto, ripulisce la fedina penale degli interessati. La vittima perde il diritto di chiedere il risarcimento civile e di citare penalmente i criminali.

Tutu constata che alle vittime viene chiesto molto, eppure la maggior parte di loro si è sentita ben rappresentata da coloro che dovevano parlare in loro nome. Tale soluzione non era perfetta, Tutu ne vede anche i limiti, ma era la migliore possibile in quel contesto e in quel momento: la libertà per i colpevoli in cambio della verità.

Naturalmente furono ideate dal governo misure di riparazione personalizzate, ammesso che possa essere dato un valore anche pecuniario alle tante morti e sofferenze patite. Spesso i membri della Commissione si sono sentiti mortificati per la modestia delle richieste: una lapide per la tomba, un aiuto per ritrovare almeno i resti del marito, anche solo un osso, e poter celebrare così il funerale, un contributo per far studiare i figli.

La TRC suggerì anche di dedicare strade e scuole o servizi di pubblica utilità ai caduti di ambe le parti, in modo che ci siano ricordi che uniscono i sudafricani e non solo che li dividono.

La TRC ha svolto in tre anni un lavoro enorme e unico al mondo – sono state oltre settemila le domande di amnistia – ha coinvolto il maggior numero possibile di persone, ha lavorato in udienze pubbliche per ragioni di trasparenza (indagando tra l’altro sulla moglie dello stesso Mandela), utilizzando gli spazi più diversi come scuole, pubblici uffici, sale parrocchiali e avvalendosi della collaborazione dei media. La radio specialmente serviva a raggiungere gli analfabeti e a coinvolgere i bianchi, che , pur brillando per la loro assenza alle udienze, ascoltavano le notizie e inviavano spesso lettere di commento e partecipazione.

Fu un’impresa titanica fondamentale necessaria per avviare la guarigione spirituale di un’intera nazione, che aveva bisogno di raccontare i fatti, chiarire, ricevere giustizia, ricominciare a sperare nel futuro. Dopo la TRC in Africa nessuno può più dire “Non sapevo”, come si faceva prima. Era comodo “Non sapere”, e del resto ben pochi bianchi erano disposti a mettere in discussione un sistema che garantiva loro così tanti privilegi e un tenore di vita altisismo. Molti inoltre erano cresciuti con quel tipo di governo, l’avevano sempre visto e accettato. Tutu osserva che i sudafricani vivevano una sorta di schizofrenia: abitavano lo stesso territorio, ma si collocavano in due mondi diversi non comunicanti.

L’Arcivescovo analizza il contesto storico in cui si rese possibile un lavoro simile, a partire dalla proposta portata in Parlamento nel 1990 dal presidente de Klerk: per normalizzare la vita politica del paese era necessario riammettere nella legalità quelle organizzazioni che erano state messe fuori legge fin dal 1960. Questo consente all’African National Congress (ANC,il partito di Mandela) e ad altri partiti di ricominciare a operare legalmente nel paese.

La TRC si pose anche dei limiti temporali: furono tenuti in considerazione i fatti accaduti tra il 1960 e il 1994.

1960: massacro di Sharpeville. La polizia bianca si fece prendere dal panico e sparò sulla folla che manifestava pacificamente contro la legge sui lasciapassare e uccise sessantanove persone, la maggioranza colpite alla schiena mentre fuggivano. Da quel giorno le organizzazioni politiche nere furono messe fuori legge e si trasformarono in movimenti di liberazione che, abbandonando con riluttanza il principio della nonviolenza, decisero di proseguire la lotta con le armi.

L’esperienza di presiedere la TRC fu per Tutu un privilegio e un impegno enorme, che lo mise alla prova molto spesso. Da uomo di fede rivela anche le motivazioni teologiche del suo pensiero e del suo agire, non cela le sue debolezze e rivela una grande umanità.

L’apartheid fu un sistema perverso nella sua essenza, non l’applicazione sbagliata di una politica in sé positiva.

Tutu ricorda più volte un assunto fondamentale: gli autori dei crimini, compiuti su entrambi i fronti – è bene ribadirlo – non erano mostri o diavoli, ma persone normali, disumanizzate a tal punto da compiere gesti efferati. Se fossero stati considerati mostri non sarebbero stati in grado di assumersi le loro responsabilità e di impegnarsi in un processo così profondamente umano come la riconciliazione e il pentimento.

Tutu ricorda le ossservazioni di Hannah Arendt sulla “banalità del male”, le persone compromesse con il male non presentano particolarità esteriori, sono simili agli altri. Chiunque in certe circostanze può cadere in un abisso di depravazione. Questo non giustifica le azioni compiute, ma apre la via alla comprensione e al perdono, al riconoscimento della reciproca fragilità umana e alla possibilità di riavvicinamento.

I fautori dell’apartheid per certi versi sono divenuti vittime del loro stesso perverso sistema. Sempre partendo dall’ubuntu, osserva l’arcivescovo: “Si parte dal concetto che siamo tutti interconnessi: l’umanità dei criminali, indipendentemente dalla loro volontà, è sullo stesso piano di quella delle vittime e a essa strettamente vincolata. Quando si disumanizza una persona infliggendole danno e sofferenza, inevitabilmente si disumanizza se stessi. Ho sempre sostenuto che la perdita di umanità degli oppressori è uguale, se non addirittura superiore, a quella subita dagli oppressi. “ (p.81)

Commoventi e terribili le testimonianze delle vittime: sequestri, torture, sparizioni (oltre duecento) e violenze di ogni tipo erano all’ordine del giorno, umiliazioni, privazione dei diritti civili, spostamenti forzati, sequestro dei beni colpivano i neri; dall’altro lato attentati, violenze e omicidi verso le presunte spie dei bianchi, odio razziale diffuso.

L’apartheid era organizzato, pianificato, venne scoperto addirittura un programma di guerra chimica e biologica contro i neri degno del regime nazista, che non riuscì solo per l’inettitudine e la negligenza degli operatori.

Se da un lato la TRC svela crimini atroci, dall’altro manifesta anche grande magnanimità nelle vittime, sentimenti di perdono e di speranza. Tutu descrive le vittime come “persone speciali, notevoli, straordinarie”, ma non fuori dal mondo, si tratta di persone comuni capaci di cose straordinarie, il loro esempio può esser seguito da chiunque e l’opzione sudafricana può diventare praticabile per altri paesi che abbiano bisogno di venire a patti col loro passato.

Come tutti sappiamo, non è facile chiedere perdono, e non è facile neanche perdonare; ma sappiamo che senza perdono non esiste futuro”.(p.116)

Dai suoi detrattori la TRC venne spesso definita la “Commissione Kleenex”, per la presenza di fazzoletti di carta a disposizione delle vittime, che spesso si lasciavano andare alle lacrime durante le loro testimonianze sulla atrocità subite. La parola, la condivisione del dolore unita al partecipato ascolto dei membri della TRC hanno avuto una funzione catartica, finalmente queste persone hanno trovato voce e coraggio. Dall’altro lato l’amnistia ha spinto molti colpevoli ad assumersi la responsabilità dei loro crimini e a rivelare dove erano stati messi i resti dei corpi (in cinquanta casi è stato possibile ritrovarli e dar loro onori funebri, altre volte si scoprì che erano stati bruciati o dati in pasto ai coccodrilli dopo la morte per le torture).

I parenti hanno potuto almeno sapere la verità con chiarezza e venire aiutati nell’elaborazione del lutto. I colpevoli spesso sono approdati al pentimento.

Il cammino percorso è stato molto e non è ancora del tutto concluso, ma grandi passi in avanti sono stati compiuti.

Naturalmente oggi in Sudafrica nessuno dice di aver sostenuto l’apartheid, un vero crimine contro l’umanità, avallato dai media e tollerato da molte nazioni.

Articolo apparso su lankelot.eu nel gennaio 2010