Coen Joel, Coen Ethan

Non è un paese per vecchi

Pubblicato il: 26 Febbraio 2008

In puro stile Coen, i due fratelli terribili del cinema americano trasportano sullo schermo un noto romanzo di uno dei più grandi narratori americani in attività. No country for old men, scritto da Cormac McCarthy e trasposto da Ethan e Joel Coen, ci racconta di una terra di confine (tra il Texas e il Messico, evocativa di western crepuscolari) in cui i mutamenti antropologici e comportamentali sono più difficili da interiorizzare, un luogo che è sempre America ma che è assai lontano dalla smania di progresso continuo e prolungato degli opulenti Stati del Nord. L’America delle contraddizioni qui è rappresentata nel suo confine più tradizionale, dove – inutile chiedersi se è forma o sostanza – il termine valore assume un significato che fa rima con passato e con rispetto. Che sia forma o sostanza, che ciò faccia o meno differenza per il resto “evoluto” degli States, le terre di confine si fanno suggestivo scenario per una sfida a tre: tre modi di vita lontani che diventano paradigmi del passato e del presente – e perché no, anche del futuro imperscrutabile: l’indecifrabile, la follia che non conosce regole sociali, che risponde solo a un proprio, improbabile ordine mentale. Tre esistenze solitarie; tre modi di interpretare il mutamento di ciò che agli occhi del mondo esterno appare immutabile: l’epica frontiera.

Texas, anni Ottanta. Moss (Josh Brolin), saldatore di professione e cacciatore nel tempo libero, attraversando in cerca di prede le distese desertiche adiacenti il Rio Grande, si ritrova al centro di una carneficina appena consumata per uno scambio droga-contanti andato a male. In una delle macchine crivellate dai colpi di pistola trova una valigetta contenente un’ingente somma di denaro. Decide che il rischio vale la candela e la sottrae, intento a dare una svolta a una vita precaria e difficile. Ma è ignaro che la valigia contiene al suo interno un marchingegno che può essere captato. Per sua sfortuna l’apparecchio captante è nelle mani di un assassino psicopatico che sembra arrivare dal nulla e che è sulle tracce del denaro. Chigurh (Javier Bardem) è un uomo spietato, che gioca a testa o croce con le possibili vittime, spesso inconsapevoli che la posta in gioco è la vita. Da poco sfuggito da un fermo di polizia, il terribile figuro lascia dietro di sé, nel tentativo di ritrovare il denaro, una notevole scia di sangue: le morti, sovente efferate, sono causate da un’arma che più anticonvenzionale non potrebbe essere, una pompa che aziona una pistola da macello per il bestiame. L’effetto sui corpi è impressionante. Sulle tracce di Moss e Chigurh c’è l’anziano sceriffo Bell (Tommy Lee Jones), prossimo alla pensione e immalinconito dai mutamenti di cui s’accennava in sede d’introduzione. E c’è anche una quarta figura che entra, sia pur brevemente, nella contesa, un cinico intermediario, ex agente delle forze speciali (Woody Harrelson), che fa le veci di un boss che vuol recuperare il denaro dello scambio mancato. Questi i protagonisti sulla ribalta creata da McCarthy e filmata dai Coen, sullo sfondo di un Paese (una terra, il sud, che è frontiera non solo geografica, a ben guardare) non più adatto ai vecchi, come ben recita il titolo, dove la tradizione, pur assai difficile da smantellare, va perdendosi lentamente e dove la follia delle metropoli progressiste sta arrivando sotto forme differenti ma altrettanto inquietanti.

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Bentornati Coen! Bentornati a un cinema più che mai nelle loro corde, dopo qualche pellicola poco convincente (Da Il grande Lebowski in poi l’unica che si eleva da un certo stanco manierismo è l’intenso L’uomo che non c’era). Tornati e subito premiati, anche a giusta ragione, visto gli antagonisti (certo mancava, immotivatamente, lo splendido ultimo Cronenberg, nella cinquina): quattro premi Oscar, per film, regia, sceneggiatura non originale e per lo spagnolo Bardem come non protagonista. Di là dai premi, spesso affatto rappresentativi dell’effettiva qualità (lo scorso anno vinse il non entusiasmante The Departed, del pur grande Scorsese), i Coen portano sullo schermo un film davvero ben costruito, in cui i dialoghi sono cifra visibile e notevole, dove il corpo centrale è stracolmo di suspense mai banale, e in cui l’apertura e la chiusura – soprattutto la chiusura – sembrano slegate dal resto della narrazione ma assolutamente in linea con lo spirito del romanzo di McCarthy. Non è un thriller, né una dramma classico, ma un noir dallo humour nerissimo che rievoca, in alcuni frangenti, pellicole come Crocevia della morte e Fargo, due tra le maggiori opere dei fratelli Coen. Il lungo inseguimento di Chigurh nei confronti di Moss ricorda, davvero sorprendentemente, quello tra l’automa invincibile e Sarah Connor nel primo Terminator, ancorché qui sia tutto umano – ma altrettanto folle e forse ancor più delirante – rispetto al film di James Cameron: sono le scene più ad alta tensione, in cui i Coen mostrano tutte le loro qualità narrative, senza peraltro alterare o sminuire la complessità del romanzo di McCarthy. Complessità incarnata dallo sceriffo Bell, vero filo conduttore dell’opera – sia filmica che letteraria -, che è l’emblema della lotta contro i mulini a vento di donchisciottiana memoria cui va incontro chi cerca di arginare il mutamento dei tempi, che è soprattutto mutamento dei modi di essere, sentire e dunque vivere la frontiera. Il suo volto crepuscolare, segnato dal tempo, dal destino ineluttabile, personale e della sua terra, chiude la pellicola  malinconicamente, a vicenda thriller-noir già abbondantemente conclusa. Può apparire curiosa la scelta dei Coen, far cessare il pathos a una quarto d’ora dalla fine, filmando un epilogo anticipato e senza scontro tra titani – ma i titani, a ben guardare, non esistono: nessuno dei tre personaggi ha un’aura epica o romantica -, chiudendo invece sulle rievocazioni dei sogni d’uno sceriffo in pensione. Logico che gli spettatori occasionali abbiano storto il naso, restando anche un pochino interdetti. Certo non tutti hanno letto o almeno hanno cercato di informarsi sull’opera di McCarthy, altrimenti non si sarebbero sorpresi più di tanto, visto che nel testo la vicenda della caccia all’uomo si conclude a due terzi della narrazione.

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Punto di forza dell’opera dei Coen sono anche e soprattutto la forte caratterizzazione dei tre personaggi e l’accurata indagine psicologica, senza tralasciare il consueto sguardo sull’ambiente ospitante. Le panoramiche sulla natura selvaggia, il filmare gli spazi estremi delle terre di frontiera restituisce le suggestioni dei western crepuscolari d’atmosfera; immagini che non sono pura e semplice cornice del corpo narrativo principe, ancorché il pathos viva nelle stanze dei motel, nelle improvvise apparizioni di Chigurh, personaggio destinato ad entrare nella galleria dei grandi assassini psicopatici della storia del cinema. La scelta dei Coen d’affidare il ruolo a Javier Bardem è sorprendentemente azzeccata, visto i trascorsi dell’attore spagnolo. E qui Bardem, frangia improbabile che ne amplifica la terribilità del personaggio (statuetta strameritata), dimostra d’essere attore espressivo e poliedrico, incarnando un folle ricco di misura, non privo d’una sua etica strampalata e per questo agghiacciante: un Terminator anche nel fisico, che si piega più volte senza spezzarsi mai, quanto mai resistente anche al dolore. Convincente anche la prova Josh Brolin, da poco apparso anche in American Gangster di Ridley Scott, anch’egli molto vicino al personaggio descritto da McCarthy e spesso centrale nella narrazione proposta dai Coen. Ruota al margine degli snodi emozionanti Tommy Lee Jones, crepuscolare quanto se non oltre la storia narrata, attore a cui il tempo ha donato rughe espressive e profonde, nonché un’inclinazione al genere (già protagonista dell’intenso melodramma western Le tre sepolture, sempre ambientato lungo la frontiera Messico-Stati Uniti). Una ritrovata vena cinematografica, una capacità di raccontare fuori dal comune, un’adesione al testo efficace e allo stesso tempo personale; una storia che avvince, immalinconisce, fa riflettere. I Coen sono tornati, e questa volta lasciano il segno. Per percorrere ancora una volta i sentieri dell’altra America, quella profonda e distante, lontana dalle luci della ribalta.

Federico Magi, febbraio 2008.

Edizione esaminata e brevi note

Regia: Ethan Coen, Joel Coen. Soggetto: tratto dal romanzo “Non è un paese per vecchi” di Cormac McCarthy. Sceneggiatura: Ethan Coen, Joel Coen. Fotografia: Roger Deakins. Montaggio: Ethan Coen, Joel Coen. Interpreti principali: Tommy Lee Jones, Javier Bardem, Josh Brolin, Woody Harrelson, Kelly Macdonald, Rodger Boyce, Barry Corbin, Zach Hopkins, Tess Harper, Beth Grant, Garret Dillahunt, Kit Gwin, Richard Barela. Scenografia: Jess Gonchor. Costumi: Mary Zophres. Musica: Carter Burwell. Produzione: Scott Rudin Productions, Miramax Films, Paramount Vantage, Paramount Classics. Titolo originale: “No country for old men”. Origine: USA, 2007. Durata: 122 minuti.