Machen Arthur

Il Grande Dio Pan

Pubblicato il: 24 Luglio 2016

Le parole di Michele Tetro in merito all’opera di Arthur Machen (“Guida alla Letteratura Horror, ed.Odoya”) le possiamo ricordare anche e soprattutto ad introduzione de “Il Grande Dio Pan”, forse il romanzo (breve) più noto dello scrittore britannico: “L’ambiente fatato del Galles, in cui venivano a fondersi miti e tradizioni pagane, celtiche e cristiane, parve operare per Machen come base di una ricerca, in principio decadente ed estetizzante votata alla scoperta di terrificanti altrove, oltre la fallace realtà percepita dai nostri sensi, celti alla comprensione umana, la cui intrusione nel nostro mondo, avvenuta la sconsideratezza di esperimenti scientifici o l’utilizzo di pratiche magiche, costituisce il peccato, l’essenza di un Male primievo e aberrante, veicolo di corruzione, degrado sessuale, violenza e morte” (pp.280).

L’orrore prende vita, infatti, nel laboratorio del dottor Raymond, un chirurgo che si dedica alla cosiddetta “medicina trascendentale” e che vuole testare un’operazione sulla sua figliastra diciassettenne, forse sua amante (“il dottore si curvò gentilmente a baciarla sulla bocca”): il fine è quello di svelare la realtà per quello che è, far vedere il mondo reale al di là delle barriere costruite dai sensi. Incurante delle sorti della giovanissima Mary, il chirurgo pratica una lesione mirata nel cervello della sua cavia e l’effetto è subito devastante: la ragazza si sveglia, osserva cosa la circonda e, inorridita, precipita in uno stato da cui non si riprenderà più. Lo certifica il dottore, gelido e distaccato: “E’ ormai un’idiota senza speranza. Non è stato possibile evitarlo: dopotutto ha visto il Gran Dio Pan” (pp.36). Un’operazione a cui ha assistito, incredulo e terrorizzato, il signor Clarke, che da tempo raccoglie informazioni su fatti inquietanti per poi raccoglierli in uno “Zibaldone sull’Esistenza del Demonio”. Anche se in questo caso il “demonio” poteva essere riconosciuto anche nelle vesti del cinico dottore, pervaso probabilmente un distorto spirito darwiniano: “Ritengo che la sua vita [ndr: della figliastra Mary] mi appartenga e di poterne fare l’uso più opportuno” (pp.31). Passano gli anni e giungono altre notizie che, pare, abbiano a che fare con quello sfortunato esperimento: una ragazzina di nome Helen Vaugham, di aspetto mediterraneo, quanto meno anomalo per quei luoghi, viene data in adozione ad una famiglia che vive in un villaggio gallese e, dopo poco, avvengono fatti inquietanti e letali; tutti avvalorati da testimonianze, accuse e voci di “pratiche innominabili”, e di un “uomo nudo” che vive nei boschi. Passano ancora gli anni e il signor Clarke, ancora segnato dall’esperienza vissuta nello studio del dottor Raymond, viene a conoscenza di un possibile legame tra la defunta Mary e quanto accaduto nel villaggio gallese. Quelle pratiche “innominabili”, forse pratiche orgiastiche, sembrano proseguire nella grande città londinese e, a farne le spese, sono gli uomini venuti in contatto con una donna di aspetto mediterraneo e di origini mai chiarite. Una sessualità probabilmente sfrenata, almeno da quanto riferito a mezza bocca, perversioni e chissà cos’altro, inducono al suicidio o alla disgrazia le persone venute in contatto con la misteriosa ed esotica signora Beaumont, o con colei che, sotto  altro nome, nasconde origini incomprensibili alla ragione. L’epilogo della vicenda, grazie al racconto – sempre reticente – di raccapriccianti mutazioni, svela solo in parte il mistero, lasciando intuire però cosa si cela dietro quel terrore atavico che annichilisce.

Proprio l’intuizione, il sottinteso diventa anche cifra stilistica del romanzo breve di Machen: le parole non descrivono esplicitamente il mondo del Grande Dio Pan e gli orrori scaturiti dalla commistione della dimensione pagana con quella normalmente conosciuta. Le intuizioni conseguono grazie ad un racconto “a scatole cinesi”, ovvero condotto valorizzando più punti di vista: per forza di cose niente che si mostri apertamente ma di sicuro ripetute allusioni ad un orrore indescrivibile. Allusioni, come leggiamo nella stessa prefazione dell’autore, che, inizialmente, furono ben poco apprezzate dalla critica letteraria del tempo, insieme ad altri temi che potevano toccare la sensibilità della società vittoriana: ad esempio affermazioni tipo “incubo incoerente di sesso” dalla seconda recensione del “Westminster”. Molto diversa l’opinione della critica successiva che, invece, ha apprezzato proprio la reticenza di Machen quale efficace strumento per tenere desta la curiosità e quindi l’attenzione del lettore. Una volta archiviati i condizionamenti moralistici del tempo, giustamente anche la critica più recente ha compreso il forte legame tra gli orrori pagani di Pan e gli effetti devastanti di una sessualità selvaggia che non conosce remore sociali e morali.

Da questo punto di vista la nuova pubblicazione a cura della Tre Editori risponde in pieno all’esigenza di inquadrare correttamente il romanzo di Machen, tra suggestioni precristiane e le conseguenze sociali causate dalle restrizioni religiose: non soltanto il testo nudo e crudo de “Il Grande Dio Pan” ma anche la prefazione dello stesso autore, l’introduzione di H.P. Lovercraft, oltre a testi saggistici ed antologici con “Appunti su alcune fonti di Arthur Machen” di Alessandro Zabini, “Il risveglio della selva” di Susan Johnston Graf e una “breve antologia panica” (da Plutarco a Dion Fortune passando per John Milton, Rimbaud, Robert Louis Stevenson, Robert Browning, Yeats, Pascoli, Aleister Crowley, Pessoa, Sikelianòs). I testi citati colgono infatti degli aspetti altrimenti preclusi al lettore che voglia leggere “Il Grande Dio Pan” semplicemente come racconto horror, e malgrado l’autore abbia meritato le lodi di Lovercraft proprio quale maestro del genere: “Fra i creatori di paura cosmica innalzata al massimo grado artistico, pochi, se non nessuno, possono sperare di uguagliare il versatile Arthur Machen” (pp.19).

Alessandro Zabini, peraltro autore di un’efficace traduzione, rileva le fonti culturali, letterarie e biografiche sottostanti “Il Grande Dio Pan”: “Ecco dunque nel Gwent, l’amato paese natio di Arthur Machen, tutti gli elementi principali del racconto: la regione collinosa e folta di boschi, dimora di esseri soprannaturali, i ruderi antichi, le antiche strade romane, i reperti, la testa di fauno, e al centro di tutto il nume, Nodens” (pp.128). Susan Johnston Graf, tracciando una sorta di storia culturale dell’idea di Pan, sottolinea come Machen abbia abilmente impiegato “due forze opposte che hanno contribuito a formare il pensiero del XIX secolo, ovvero l’occultismo e la scienza” (pp.137). Se ne deduce che il nostro autore abbia presentato una critica sia del punto di vista occultistico sia di quello scientifico-materialista: “è giusto presumere che abbia riflettuto sulla tensione tra materialismo scientifico e occultismo” (pp.139). Torna poi l’idea dei condizionamenti sociali del tempo: “Machen mostra le vittime di Helen come distrutte dal condizionamento del bigottismo vittoriano. Quando si aprono alla corrente di Pan, cioè a una libera espressione dell’energia sessuale, che è energia vitale, gli amanti di Helen si autodistruggono perché la repressione sociale ha soffocato i loro impulsi naturali” (pp.142). In altri termini Machen può aver considerato Pan, la mostruosa divinità ibrida, mezzo uomo mezzo capro, come qualcosa in grado di colpire a morte la sensibilità vittoriana.

Possiamo comprendere allora la coerenza del personaggio di Clarke e del suo “Zibaldone sull’Esistenza del Demonio” grazie alle parole di Susan Johnston Graf: “Crowley senza dubbio si rese conto che Pan sarebbe stato considerato affine al Diavolo dal punto di vista della mentalità dominante britannica […] Machen ha trasformato il bizzarro dio dal piede caprino in un dio potente e spaventoso che annienta gli uomini” (pp.152).

Edizione esaminata e brevi note

Arthur Machen, (Caerleon-on-Usk, Gwent, South Wales, 1863 – Amersham, Buckinghamshire, England, 1947) romanziere, saggista, traduttore e giornalista gallese. Tra le sue opere ricordiamo: “Le colline dei sogni”, “I tre impostori”, “Il popolo bianco”, “Un frammento di vista”, il racconto “Gli arcieri” sugli angeli che avrebbero aiutato l’esercito britannico all’inizio della prima guerra mondiale.

Arthur Machen, “Il Grande Dio Pan”, Tre Editori (collana Tre sotterranei), Roma 2016, pp. 260. Introduzione di H.P. Lovercraft. Con uno scritto, “Il risveglio della selva” di Susan Johnston Graf. Traduzione, note e appunti di Alessandro Zabini.

Luca Menichetti. Lankenauta, luglio 2016