Potocki Jan

Manoscritto trovato a Saragozza

Pubblicato il: 25 Novembre 2006

SOLTANTO UN ASSAGGIO DEL “MANOSCRITTO”

UNA VICENDA TORMENTATA

L’unico romanzo scritto da Potocki ha una storia editoriale davvero tormentata e complessa che viene analizzata dettagliatamente dal curatore Caillois nella prefazione al libro.

Nel 1805, alla vigilia del viaggio in Cina, Potocki fa stampare a Pietroburgo l’inizio di un romanzo articolato in una serie di novelle suddivise in giornate, sul modello de “Le Mille e una notte”. Il testo s’interrompe alla tredicesima giornata.

Nel 1806, al ritorno dalla Mongolia, Potocki non continua la stampa del romanzo, ma parecchi esemplari circolano per i salotti di Pietroburgo e l’opera inizia ad acquisire una certa fama.

Sembra che Potocki permetta che sia fatta una copia del seguito del romanzo, in questo caso una seconda parte dell’opera viene pubblicata a Parigi nel 1813. È il seguito del testo di Pietroburgo, inizia con la dodicesima giornata di quest’edizione e s’intitola “Avadoro, histoire espagnole” di M.L.C.J.P., cioè M. Le Comte Jan Potocki.

Nel 1814, sempre a Parigi, escono “Le dix journées de la Vie d’Alphonse van Worden”, che riproducono il testo stampato a Pietroburgo a parte qualche ritocco, meno le giornate dodici e tredici appena ristampate in “Avadoro” e la giornata undici, tolta perché contiene – secondo Caillois – due storie note tratte l’una da Filostrato (“Storia di Menippo”) e l’altra da Plinio il Giovane (“Storia di Atenagora”).

L’opera termina con la “Storia di Rebecca”, inedita, che corrisponde alla giornata quattordici del testo integrale.

Praticamente il testo originale è stato smembrato. Caillois osserva che si ignora se queste due edizioni siano apparse col consenso o per iniziativa dell’autore. Il manoscritto originale non è stato ritrovato.

Citati, nel suo “Ritratto di Potocki” (pubblicato sia ne “Il male assoluto”, Mondadori 2000 che in “Ritratti di donne”, Rizzoli 1992) appare sicuro che la scissione sia stata voluta dall’autore e non esclude che forse anche il manoscritto sia ancora sepolto in qualche biblioteca europea.

Comunque il testo fu soggetto a plagi nel 1822 e nel 1834-35.

Nel 1847 un emigrato polacco, Edmund Chojecki, pubblica a Lipsia la traduzione in polacco del romanzo “Manoscritto trovato a Saragozza”, basata su una copia integrale dell’opera inviata a Parigi a un misterioso destinatario. L’opera comprende un’”Avvertenza”, sessantasei giornate e una conclusione.

Potocki che, a quanto osserva Citati, già nel 1812 aveva scritto cinquantasei giornate, dopo aver smembrato l’opera, prima di morire vi era ritornato e l’aveva conclusa con le ultime dieci giornate e l’epilogo.

Del “Manoscritto” esiste l’edizione curata da Caillois per Adelphi (e che si ferma alla quattordicesima giornata più tre racconti tratti da “Avadoro, una storia spagnola” con temi attinenti alle giornate), e quella integrale curata da René Radizzani, come nota Citati.

Esiste un’edizione integrale edita da Guanda nel 1991 curata da Giovanni Bogliolo.

Caillois si limita alle prime quattordici giornate seguendo il testo di Pietroburgo, perché è l’unico di cui l’autore ha sorvegliato la stampa. Le altre giornate sono giunte solo in traduzione, sembra non attendibilissima.

IL ROMANZO

L’edizione Adelphi del “Manoscritto trovato a Saragozza” è decisamente parziale, secondo Citati non riesce a rendere l’idea della grandezza e complessità dell’opera di Potocki, comunque è possibile abbozzarne una presentazione.

Lo schema cui l’autore si rifà è quello de “Le Mille e una notte” (ma esistevano anche molti «decameroni» strutturati così) di una serie di storie raccolte in una cornice, qui assai esile.

Nell’“Avvertenza” il narratore, un giovane ufficiale dell’esercito francese partecipe all’assedio di Saragozza (di qui si deduce che l’”Avvertenza” è posteriore al 1809, data della spedizione francese in Spagna), entra in città dopo la sua conquista e giunge a una casetta. Sul pavimento trova un manoscritto spagnolo contenente un romanzo fantasioso e se ne impadronisce.

Successivamente viene catturato dal nemico e perquisito. Il capitano spagnolo, visto il documento, ringrazia l’ufficiale per averlo conservato, poiché contiene la storia dei suoi avi. Condotto il giovane a casa sua, lo ospiterà e gli tradurrà il romanzo.

Questo l’antefatto, il libro vero e proprio inizia con la vicenda di Alfonso von Worden, un giovane capitano delle guardie valloni, che deve recarsi a Madrid attraversando una regione spagnola d’oscura nomea, la si dice infatti popolata da fantasmi. Alfonso parte con un servo e un mulattiere ma, uno per volta, i due scompaiono misteriosamente.

Rimasto solo e giunto a una vecchia locanda abbandonata, Alfonso vi entra per trascorrervi la notte. L’atmosfera è cupa e tenebrosa. A mezzanotte appaiono alcune fanciulle, che si rivelano essere le serve di due nobildonne musulmane, Emina e Zibeddé, che lo invitano alla loro mensa, si dicono sue cugine e iniziano a raccontargli la loro storia….

La narrazione prosegue così con una serie di storie a cassetti”, l’una dentro l’altra, soprattutto le prime storie si distinguono per l’elemento fantastico e misterioso, la presenza di fantasmi, di presenze demoniache inquietanti, l’atmosfera lugubre e tetra, i delitti.

Filo conduttore è il viaggio di Alfonso e gli incontri che fa, ma poi subentrerà anche lo zingaro Avadoro come narratore e le storie continueranno a intessersi l’una nell’altra.

Alcuni motivi (specie nelle parti pubblicate a Pietroburgo nel 1804-05, vi sono due donne che attirano il viaggiatore nel letto comune e poi apparizioni, scheletri, castighi soprannaturali) si ripetono ossessivamente, come in un tremendo gioco di specchi, la stessa concatenazione delle storie l’una dentro l’altra risulta inquietante, angosciante, come se Potocki volesse riprodurre e moltiplicare all’infinito quel che non dovrebbe nella realtà ripetersi.

Una ossessività nel raccontare e una serie di trame avventurose.

Potocki è un affabulatore formidabile e fantasioso. E molto colto.

Grande erudito, Potocki si interessava di tutte le discipline umane: storia, archeologia, geografia, fisica, astronomia, scienze, matematica, filosofia, filologia, ma anche spiritualismo (pare abbia frequentato in gioventù la confraternita dei “Lanturlerus” che praticava uno spiritualismo sincretico), cabala ebraica, cultura classica, letteratura esoterica.

Coltivava interessi contrapposti e svariatissimi e la testimonianza si ritrova nel suo unico romanzo dove compaiono numerosissimi spunti eruditi, riferimenti a materie studiate dall’autore, che sembra volerci dare una sorta di summa enciclopedica del narrare, in linea con la passione dominante del suo secolo.

Settecentesche sono dunque l’erudizione, l’eclettismo straordinario, la passione per l’osservazione, ma anche il senso della galanteria nei rapporti con le donne, le scene erotiche, anche se spinte, non offendono mai il buon gusto e sfumano nei momenti più piccanti. Vi è poi un senso dell’onore fin esagerato che permea il personaggio di Alfonso.

Le descrizioni dei differenti paesi in cui sono ambientati i racconti riflettono i viaggi compiuti dall’autore, le sue grandi capacità d’osservazione, la memoria fortissima, l’abilità nel confrontare usanze presenti con costumi del passato, tramandatici dai classici greci e latini.

Bozzettistica la descrizione dell’Italia, dove i banditi sono eroi popolari animati comunque da un loro ideale e dotati di una sensibilità artistica, dove la corruzione è all’ordine del giorno. Molto più intensa invece la descrizione di certi paesaggi desolati della Spagna, dove si annidano spiriti inquieti e maledetti.

Straordinaria e già preromantica la presenza del fantastico e dell’orrido, che dissemina le novelle di colpi di scena sorprendenti.

Vi sono il gusto del mistero, del visionario, storie di fantasmi, di ebrei erranti, delitti passionali e conseguenti punizioni divine, riferimenti alla Cabala e alle Sefirot, una vera inesauribile galleria di idee, di spunti, un fermento continuo che spumeggia nei racconti e li vivacizza. Una sensibilità nuova è alle porte.

Lo stile è molto rapido, asciutto, non indulge ad arzigogoli o eccessive aggettivazioni e si snoda veloce, equilibrato, sciolto.

L’autore era un personaggio originale, che non ha avuto ancora il giusto riconoscimento, il romanzo è un’opera certamente da riscoprire, possibilmente nella sua completezza.

Articolo apparso su lankelot.eu nel novembre 2006

Edizione esaminata e brevi note

Jan Potocki (Pików 1761 – Uladòwka 1815), conte discendente da antica famiglia polacca, erudito, viaggiatore, eccentrico, fu uno dei fondatori dell’archeologia slava. Scrisse quest’unico romanzo, alcuni canovacci teatrali e numerosissime altre opere di erudizione e di viaggi, tutte in francese. Salì in pallone con l’aeronauta Blanchard, annotò per primo il linguaggio segreto dei principi circassi durante le loro riunioni liturgiche, si legò per un periodo ai Giacobini, staccandosene successivamente. Viaggiò moltissimo: in Italia, Tunisia, Spagna, Marocco, Illiria, Egitto, Grecia, Portogallo, nel Caucaso e fino alla Mongolia. Le sue opere rimasero sempre poco note, di solito stampate in cento esemplari. Nel 1812 si ritirò nella sua proprietà di Uladòwka. Qui, in preda a crisi depressive, staccò e limò una palla d’argento che sormontava il coperchio di una sua teiera, quando raggiunse le dimensioni volute la fece benedire dal cappellano del castello, la introdusse nella canna della pistola e si uccise.

JAN POTOCKI, “Manoscritto trovato a Saragozza”, Adelphi, Milano 1985.

Titolo originale: “Manuscript trouvé à Saragosse”. Testo stabilito e presentato da Roger Caillois. Traduzione di Anna Devoto.

“Che significa raccontare? Raccontare – avrebbe detto il vecchio etnologo – non è qualcosa di lineare. Se vogliamo narrare, dobbiamo interrompere la nostra storia: dare ascolto a una seconda, a una terza, a una quarta, a una quinta voce, dentro la nostra voce fittizia:interromperci continuamente, perché ora l’ebreo errante ora il cabalista (questi grandi bugiardi) vogliono essere ascoltati; e intrecciare ogni filo con tutti gli altri fili del mondo. Nessuna attività umana è più interminabile”. (P.CITATI, “Ritratto di Potocki” in “Il male assoluto” p. 28)

Approfondimento in rete: Jose Corti / ForteanTimes.