Gilliam Terry

Tideland. Il mondo capovolto

Pubblicato il: 12 Novembre 2007

Per la serie belli, indipendenti, mal distribuiti, dunque invisibili o quasi, ecco arrivare in Italia l’ultima pellicola dell’ ex Monty Python Terry Gilliam, a due anni dall’insuccesso di pubblico e critica ottenuto con I fratelli Grimm e l’incantevole strega. In realtà Tideland, nuova incursione nel fantastico del regista di Minneapolis, è pressoché coevo a I fratelli Grimm (2005) ma talmente mal distribuito da arrivare in Italia circa due anni dopo la sua ultimazione. Non solo, è arrivato anche in pochissime copie (uscito il 31 ottobre, a Roma è presente solo in due sale di nicchia, figuriamoci altrove), tanto da non lasciar dubbi sulle possibili fortune economiche che (non) troverà. A parecchi appassionati cinefili, comunque, più che delle fortune economiche del film, interessa soprattutto il fatto che sarà loro preclusa la versione sul grande schermo. Non basta chiamarsi Terry Gilliam, quando il mercato distributivo decide che il tuo è un film con scarse possibilità di consenso al botteghino puoi chiamarti come ti pare. Queste le leggi di mercato che tutti conosciamo, inutile dilungarsi in polemiche trite e ritrite. Parliamo di quello che, loro malgrado, si perderanno in molti sul grande schermo (vederlo in versione domestica, come immaginerete, non è la stessa cosa), perchè questa è un’opera visionaria alla massima potenza, nella quale Terry Gilliam ci immerge per circa due ore in una realtà totalmente trasfigurata dall’immaginazione di una bimba di dieci anni. Una ragazzina che, grazie alla sua capacità di trasfigurare la realtà circostante, crea intorno a sé un mondo fiabesco con il quale avversare una drammatica realtà familiare.

Jeliza Rose (Jodelle Ferland) è una bambina che evade una quotidianità domestica fatta di droga e disinteresse per la sua persona. Le tocca preparare le dosi di eroina per il padre Noah, assecondare i mutamenti d’umore di una madre a ruota di metadone, assolvere quasi un ruolo paterno e comprensivo nei confronti di genitori divenuti oramai relitti umani. Muore la madre, e il padre nel suo folle delirio decide di portare la piccola con sé nella vecchia dimora della nonna, dopo aver vagheggiato un viaggio nello Jutland, nel luogo in cui i morti sembrano riposare in pace, quasi pronti a risorgere. Un viaggio possibile solo sotto l’effetto dell’eroina, evidentemente. Jeliza Rose porta con sé le sue uniche amiche, quattro teste di bambola che compartecipano alle avventure del suo mondo fiabesco, vissuto come fosse realtà. E difatti, la sera stessa in cui il babbo e la bambina si fermano nella casa oramai cadente, piena di polvere e ragnatele, Noah va incontro al suo ultimo viaggio tossico in territori d’oltremare, lasciando Rose in compagnia del suo universo immaginifico senza fine. Rose e le quattro teste di bambola, sapientemente animate dalla sua mano, si aggirano per le immense distese di grano della fattoria, incontrando scoiattoli parlanti, coniglietti, lucciole e un fantasma. Un fantasma? Il fantasma non è proprio un fantasma, come inizialmente credeva Jeliza Rose, ma la signora Dell, bizzarra vicina di casa con un occhio non vedente causa puntura delle api. La signora Dell ha un figlio, Dickens, altrettanto sfigurato dall’operazione al cervello subita per la propria epilessia. Il cadavere di Noah, oramai in putrefazione, viene ritrovato con gioia dalla signora Dell, suo amore del tempo della giovinezza, impagliatrice d’animali esperta anche in mummificazione di corpi umani. L’improbabile nuova famiglia è presto creata: Jeliza Rose, il babbo mummificato, la signora Dell, il deforme e ritardato Dickens. La bimba trasfigura l’orrore, immagina Dickens come suo futuro sposo vivendo la paradossale situazione come una gioiosa fiaba che allontana l’idea della morte. La realtà, comunque, in un finale simbolico e doloroso, tornerà a far visita alla bimba la quale, in fondo, sarà l’ unica a poter coltivare la speranza.

Un piacevole ed ispirato ritorno alla vena immaginifica delle sue opere migliori (Brazil, L’esercito delle 12 scimmie, Le avventure del Barone di Munchausen). Dopo il poco convincente I fratelli Grimm – peraltro non cosi male come si è scritto da più parti -, Terry Gilliam ci regala un film rimarchevole sotto ogni punto di vista: per scelta tematica, estetica cinematografica e capacità di trasposizione d’un romanzo che rimanda agli immortali della letteratura fiabesca. Tutto ci parla di Alice nel paese delle meraviglie, qui rielaborato in toni più neri nel tentativo di stigmatizzare le colpe una società – quella occidentale, americana in particolare, ci dice Gilliam nelle interviste – sempre più distratta e indifferente nei confronti dei suoi figli. Carroll ma anche Dickens (omaggiato dall’omonimo personaggio interpretato da Brendan Fletcher) più gli amati fratelli Grimm, per un viaggio nel sovraconscio di una bimba coraggiosa, in un mondo onirico che trae la propria forza da una pulsione di vita che si oppone al grigio che la circonda. Mai una caduta nello sconforto e nella depressione per la piccola Jeliza Rose, nonostante la solitudine e le difficoltà, animata da una personalità apparentemente schizofrenica, al contrario magica e salvifica nel sorreggerla di fronte ad ogni evenienza. L’amore negato, sottratto fin dalla primissima infanzia – cosi ci lascia intendere Gilliam – trova la sua sublimazione nei personaggi immaginari rappresentati dalle teste delle bambole, nell’amicizia con Dickens, nel partorire un mondo capovolto in netta opposizione con la realtà. È un racconto estremo e visionario, che attinge fedelmente al testo di Cullin, nel quale Gilliam ci regala saggi della sua arte visiva negli stacchi totalmente onirici, quando la bimba cade realmente nel sogno immaginando un momento di vita acquatica, o nel ritrovarsi a sprofondare nel buco infinito in cui aveva perduto la testa di una delle amate bambole. L’ex Monty Python trasforma l’orrore in amore attraverso un appassionato elogio della diversità, in momenti di tenerezza nelle improbabili effusioni tra la bimba e il ragazzo deforme, stempera l’inquietudine con forti dosi di humour nero nel rappresentare la morte dei due genitori di Jeliza Rose rendendo quasi comico il momento della dipartita. È una fiaba nerissima a tratti davvero inquietante, ricca di sarcasmo e di politicamente scorretto, di tenerezza mai lacrimevole, di suggestioni letterarie che faranno la felicità degli appassionati di fiabe gotiche e non.

Il regista di Minneapolis, nel rappresentare il suo mondo capovolto, torna brillante e creativo nell’uso della macchina da presa. Detto degli intermezzi onirici, davvero ben rappresentati, c’è da notare quanto tutte le scelte estetiche nel maneggiare il mezzo tecnico riportino Gilliam al suo originario eclettismo figurativo, forse con meno barocchismi rispetto al passato ma sempre efficace nel regalare intense emozioni visive. Qui la cornice è più claustrofobica, nonostante gli spazi aperti in cui si muove Jeliza Rose, amplificata da inquadrature sghembe che restituiscono quadri alterati nel ritorno d’immagine anche grazie alla splendida fotografia di Pecorini. Ad aggiungere valore alle immagini c’è la prova davvero notevole dei due protagonisti: Jeliza Rose e Dickens, interpretati rispettivamente da Jodelle Ferland e Brendan Flechter. Ambedue prove sorprendenti. La Ferland si muove con disinvoltura e padroneggia la scena dalla prima all’ultima sequenza, modificando toni ed espressioni come un’attrice consumata, trovando un’aderenza impressionante al registro fiabesco. Fantastica la prova di Brendan Flechter, che evoca e in bravura supera – non era semplice, perché a mio avviso resta la sua più grande prova d’attore – il personaggio (molto affine) interpretato da Leonardo Di Caprio nell’altrettanto bello e dimenticato Buon Compleanno Mr.Grape dello svedese Lasse Hallstrom. Ottimo anche Jeff Bridges, nei panni del padre musicista eroinomane.

Questa piccola perla invisibile di Gilliam è un’opera che trae la sua forza maggiore dall’assenza assoluta di sentimentalismi, dal non concedere nulla di gratuito e consolatorio allo spettatore, nonostante il registro fiabesco, nonostante un finale che potrebbe distrattamente apparire edificante. Tutt’altro, e riguardatevelo bene qualora abbiate la vostra futura copia in dvd, perché questa pellicola cosi inconsueta e piena di follia è e resta un pesante monito contro gli orrori del mondo insensibile e irresponsabile in cui viviamo, inabituato a sognare e a far sognare i propri figli tanto che Gilliam ha sentito il bisogno di capovolgerlo attraverso gli occhi magici della sua piccola protagonista.

Federico Magi, novembre 2007.

Edizione esaminata e brevi note

Regia: Terry Gilliam. Soggetto: Mitch Cullin (dal romanzo omonimo), Tony Grisoni, Terry Gilliam. Sceneggiatura: Tony Grisoni, Terry Gilliam. Montaggio: Lesley Walker. Direttore della fotografia: Nicola Pecorini. Scenografia: Jesna Stefanovic. Costumi: Mario Davignon, White Delphine Interpreti principali: Jodelle Ferland, Brendan Fletcher, Jeff Bridges, Janet McTeere, Jennifer Tilly, Dylan Taylor, Sally Crooks, Aldon Adair, Wendy Anderson, Kent Wolkowski. Effetti: Leo Wieser, John Paul Docherty, Richard Bain. Musica originale: Jeff Danna, Mychael Danna, Dave Howman, André Jacquemin. Produzione: Capri Film Inc., Recorded Picture Company. Titolo originale: “Tideland”. Origine: Canada / Gran Bretagna, 2005. Durata: 120 minuti.