Rubini Sergio

La terra

Pubblicato il: 13 Giugno 2007

Il fantasma dei quattro fratelli più famosi della letteratura moderna aleggia sull’ultima pellicola del regista-attore pugliese Sergio Rubini il quale, con La terra, aggiunge un nuovo tassello e forse completa il personalissimo viaggio alla ricerca delle proprie radici culturali e socio-antropologiche. Dopo L’amore ritorna costruisce un dramma-thriller che allontana totalmente anche la minima parvenza di commedia e grottesco. L’ispirazione, come su accennato, arriva nientemeno che da I fratelli Karamazov, capolavoro assoluto della letteratura dell’Ottocento in cui Dostoevskij intreccia le vicende di quattro fratelli diversissimi, uno dei quali – come nella pellicola di Rubini – è un fratellastro sfigato, raccontando una intricatissima storia familiare che troverà il suo motivo essenziale nel parricidio (libro che è stato, nel Novecento, oggetto di studio su più fronti: dal letterario al filosofico allo psicanalitico). Anche ne La terra c’è un omicidio improvviso a puntare i riflettori su tre dei quattro fratelli, possibili colpevoli, tutti abitanti di un paesino caratteristico del brindisino, dominato da uno strozzino-piccolo mafioso che ha contenziosi aperti con due dei quattro protagonisti.

La pellicola apre sull’arrivo in paese di Luigi Di Santo (Fabrizio Bentivoglio), fratello colto e professore di filosofia, tornato da Milano dopo anni d’assenza dalla casa natìa per apporre la firma sulla vendita di un pezzo di terra lasciato in eredità ai Di Santo dai genitori. Proprio la proprietà ereditata diventa fonte di contenzioso, riaprendo ferite aperte nel passato lontano dall’essersi cicatrizzate. I restanti fratelli sono Michele (Emilio Solfrizzi), indebitatosi con Tonino, il boss locale (Sergio Rubini), per tenere un alto tenore di vita in vista della propria candidatura alle imminenti elezioni locali, Aldo (Massimo Venturiello), il fratellastro squattrinato e donnaiolo, estraniatosi nella terra di prossima vendita e già in contrasto con Luigi, e Mario (Paolo Briguglia), giovane filantropo che si spende ogni giorno nella cura degli handicappati. Luigi si sente subito sopraffatto da vicende estranee alla sua vita da uomo della grande città, trovandosi di fronte ad una realtà familiare di odio, menzogne e irresponsabilità, allorché sia Michele che Aldo, pur per differenti motivi, si erano messi contro – l’uno pavidamente e l’altro per pura incoscienza – lo strozzino Tonino. Ma c’è dell’altro ad ingarbugliare la vicenda, un ragazzo handicappato morto cadendo per le scale, che era stato indotto a sposare – sotto lauto compenso per sé e la famiglia – una giovane extracomunitaria e protetta dello strozzino, amata follemente dallo stesso Aldo. Tonino le giura a tutti i fratelli, con l’eccezione di Mario, nemmeno considerato: a Michele per i debiti non restituiti, ad Aldo per la relazione con la propria protetta, a Luigi per essersi immischiato nelle due vicende. Ma dopo le minacce, Tonino muore, freddato da una mano invisibile con un solo proiettile. E qui il dramma si fa mistero, due dei quattro fratelli, Aldo in particolare, finiscono per essere sospettati. Nel frattempo sopraggiunge anche la compagna di Luigi, visto il protrarsi della permanenza in paese del professore, che troverà il suo uomo trasformato, oramai intento a far luce su una vicenda che nasconde un dramma intimo e personale, una vendetta per il riscatto di una vita al margine prematuramente finita nell’oblio della memoria di un intero paese.

L’ottava fatica di Rubini dietro la macchina da presa, ambientata nuovamente in un paese del sud Italia, è forse la più riuscita e coinvolgente. Se in effetti Tutto l’amore che c’è e L’amore ritorna sono due film interessanti ma ancora troppo provinciali, La terra è un’opera dal respiro più ampio, dichiaratamente e non pretestuosamente ammiccante nei confronti della grande letteratura, complessa e intrecciata quanto basta per evocare quelle suggestioni che contribuiscono a creare un film da esportazione, visto lo sconsolante panorama cinematografico nostrano. Ed è forse la prima volta che ciò avviene in un’ opera del pur bravo Rubini, che non a caso mescola thriller e dramma familiare per coinvolgere emotivamente, tanto da farci soprassedere sui consueti sovraccarichi della sceneggiatura. Anche qui, come altrove nell’opera del regista pugliese, molta carne al fuoco che spesso sfugge alla congruenza della narrazione, molte parentesi aperte e assai poche chiuse con efficacia. Però ci sono estro e visività, in quest’opera più che in precedenza, usati senza freno dal bravo Rubini per catturare l’attenzione dello spettatore attraverso iperboli narrative che trovano una apprezzabile e progressiva perdita di misura. E mi spiego: Rubini è ottimo nel costruire la scena, nel darci i giusti stimoli per inoltrarci nelle sue storie, nell’arricchire la narrazione con numerosi e sorprendenti personaggi, nel tratteggiare psicologie minime ma decifrabili. Solo che poi gli capita di perdersi un po’. Nel caso in questione si perde meno, oppure è più bravo a nascondercelo, fatto sta che il film sinceramente rapisce senza mai dare la sensazione del deja-vù. In tutto ciò c’è la sua bravura come anche il suo (attuale) limite, quello dell’assenza di controllo di una personale e originale creatività che, probabilmente, in mano a sapienti sceneggiatori potrebbe partorire cinema di notevole qualità.

Ma non stiamo troppo a lamentarci, perché il risultato complessivo  è tutt’altro che disprezzabile, come ripeto, affidato ad un cast per metà decisamente azzeccato e per l’altra metà molto meno. Il Rubini regista regala proprio al Rubini attore un non protagonista cattivo quanto basta che esalta le corde della sua ottima e sfaccettata recitazione. E diciamolo pure, Rubini è uno dei migliori attori italiani, che qui è una spanna sopra al sopravvalutato Bentivoglio, nuovamente alter ego del regista (precedentemente ne L’amore ritorna) e protagonista troppo compassato e poco espressivo, anche se alcuni saranno in disaccordo (ho letto elogi per la sua interpretazione). Buone le prove di Solfrizzi e Venturiello, pessima quella della Gerini, cui viene affidato un ruolo del tutto accessorio: anzi, direi proprio inutile. Non troppo convincente nemmeno la prova di Paolo Briguglia, il fratello buono (che dovrebbe corrispondere all’Alesa dei Karamazov), personaggio decisivo ai fini della narrazione, la cui capacità espressiva lascia molto dubbiosi. Ottime invece le scenografie, sapientemente esaltate dalla regia di Rubini il quale, tra una discussione e l’altra ed anche in mezzo al fitto mistero, restituisce un’immagine apprezzabile del profondo Sud attraverso i paesaggi naturali e le costruzioni arcaiche, impassibili allo scorrere del tempo.

La musica di Pino Donaggio riporta alle atmosfere dei film di De Palma, tanto da influenzare lo stesso Rubini nell’immaginare, nei titoli di testa e in quelli di coda, la classica circolarità consueta all’opera depalmiana, ricca di suggestioni, di domande e di risposte proprio nel disegnare i contorni degli accadimenti, senza per questo dimenticarsi del succo, della polpa, del cuore della storia. Non so se in ciò Rubini si sia fatto prendere un po’ la mano ma la scelta non è certo stonata e, come ripeto, conferisce alla pellicola un senso di spettacolo, di ricerca dell’emozione fino alla fine che il grigio cinema minimalista nostrano non riesce nemmeno ad immaginar possibile, figuriamoci a tentare di realizzare.

Nel complesso, La terra, immotivatamente non premiato ai David di Donatello dello scorso anno nonostante le sette candidature (gli hanno preferito uno dei peggiori Moretti di sempre, Il caimano, e il dignitoso Placido di Romanzo Criminale), è probabilmente il miglior film italiano che è stato in lizza nel 2006. Ma, premi o non premi, è un’opera che dimostra le potenzialità del Rubini regista, confermando il Rubini attore su buoni livelli interpretativi. Se volete nutrire un minimo di speranza nel cinema italiano attuale, questo è un film che può aiutarvi.

Federico Magi, giugno 2007.

Edizione esaminata e brevi note

Regia: Sergio Rubini.  Soggetto: Sergio Rubini, Gianfilippo Ascione. Sceneggiatura: Angelo Pasquini, Carla Cavalluzzi, Sergio Rubini. Direttore della fotografia: Fabio Cianchetti. Scenografia: Luca Gobbi. Costumi: Patrizia Chericoni, Florence Emir. Montaggio: Giogiò Franchini. Interpreti principali: Fabrizio Bentivoglio, Paolo Briguglia, Emilio Solfrizzi, Sergio Rubini, Massimo Venturiello, Giovanna Di Rauso, Claudia Gerini, Marisa Eugeni, Alisa Bistrava, Daniela Mezzacane, Maurizio Rega. Musica originale: Pino Donaggio. Produzione: Domenico Procacci per Fandango in collaborazione con Medusa Film e SKY. Origine: Italia, 2006. Durata: 112 minuti.