Con Il demone sotto la pelle, a metà dei Settanta, comincia a muoversi nel mondo del cinema un eccentrico regista canadese che da subito mostra, attraverso storie angosciose dalle immagini inquietanti, la sua visione tutt’altro che positiva del mondo in cui viviamo. Storie che, volutamente, non definiscono mai un confine netto tra realtà e fantasia – mondi più che mai da incubo -, non concedendo salvezza ai personaggi, non contemplando la possibilità di un riscatto o di una via di fuga. Stiamo ovviamente parlando di David Cronenberg e del suo mondo (di celluloide, non dimentichiamolo mai) d’orrore e morte ma soprattutto mutamento, fisico e psichico. Questa prima pellicola, in tal senso, è già emblematica ed esemplificativa di ciò che ho tratteggiato in questa breve introduzione.
A Toronto, in Canada, viene costruito un immenso residence denominato l’Arca di Noé, in cui vengono a stabilirsi decine e decine di famiglie. La propaganda pubblicitaria trova il suo appeal principale nel favoleggiare ai potenziali affittuari una vita a misura d’uomo, lontana dal caos di una società ipertecnologica e iperindustrializzata, cosi restituendo verità e bellezza, a distanza di sicurezza dalla routine comune ai più. Ogni tipo di conforto è a disposizione: piscine, campi da tennis, drugstore, negozi di abbigliamento, centro medico privato, ampio garage e uomini che garantiscono la sicurezza. Tutto ciò di cui si può necessitare per estraniarsi dal resto. Nell’immenso edificio vivono più famiglie, come detto, i rapporti sembrano cordiali e la quiete assicurata, anche se c’è uno strano omicidio-suicidio che altera la pace del luogo: una ragazza molto giovane è stata uccisa da un noto medico ricercatore, il quale dopo l’atto efferato si toglie la vita. L’uomo, molto più anziano di lei, è stato anche suo amante e stava conducendo improbabili studi sulla possibilità di ovviare al trapianto di organi con l’ausilio di un parassita. E non è tutto, più di un inquilino del palazzo aveva avuto rapporti sessuali con la ragazza deceduta, ed ognuno di essi incomincia a provare strane fitte e gonfiori allo stomaco. Il medico del residence, ex allievo dell’anziano ricercatore, aiutato da una giovane e avvenente assistente con la quale ha una relazione, comincia a indagare tramite l’acquisizione di carte che palesano l’abominevole ricerca del medico suicida. Attraverso l’aiuto di un collega arriva ad una verità inquietante: il parassita immesso nel corpo della ragazza morta, usata evidentemente come cavia, non serviva a rigenerare organi morenti ma bensì a risvegliare negli esseri umani l’istinto più animalesco e primordiale, una pulsione sessuale incontrollabile che annichilisce la coscienza di ogni individuo. Gli abitanti dell’edificio vengono progressivamente contagiati e la folle corsa del medico per arginare l’epidemia risulterà essere vana. Il dramma diventa delirio, follia collettiva, per un finale tra i più agghiaccianti della pur terrificante cinematografia cronenberghiana.
In questo B-Movie d’esordio (di questo, tecnicamente, si tratta, con attori e mezzi adatti alla categoria) sono già lampanti tutti i classici temi cronenberghiani. Critica sociale e di sistema, mutamento dei corpi, visività eccessiva e straniante, morbosità, voyeurismo, erotismo, pulsioni di morte. No, non c’è né sadismo né gratuità nel restituire un universo cosi cupo e inquietante, spesso al limite dello stomachevole e del rivoltante ma sempre acuto, tagliente, affatto banale, incisivo e destabilizzante. Un cinema che destabilizza dunque, nel quale, nella fattispecie, la componente erotico-sessuale diventa evidenza principe, filmata rifuggendo volutamente qualsiasi forma d’empatia e d’armonia. Il tema nascosto, o sarebbe meglio dire, meno visibile ai neofiti del Nostro, è quello della critica di sistema, qui palesata attraverso la stigmatizzazione delle nefandezze della ricerca medica, allargando il discorso alla sperimentazione che implica mutamenti corporei e psichici. È un tema, quello della critica alla manipolazione delle identità, fisiche e psichiche, che Cronenberg ha brillantemente riproposto in quasi tutta la sua successiva filmografia, fortificandolo attraverso l’artificio visivo (le schifosissime mutazioni corporee per cui i suoi film sono tanto amati-odiati) e le corrosive sceneggiature. E ciò, a parecchi spettatori poco attenti, può sembrare un paradosso in quanto il regista canadese fa talmente uso dell’effetto deformante che sembrerebbe quasi “ideologicamente” sottoscriverlo, sottoscrivendo in sostanza le mostruosità che contraddistinguono e hanno contraddistinto tanta sperimentazione di laboratorio (medica e non) contemporanea. L’ inganno possibile e la confusione sono presto chiariti, a ben guardare, dallo stesso Cronenberg, che aggiunge forti dosi di humour nero ai suoi drammi, costruendo personaggi e situazioni surreali, demistificando in sostanza la solennità dei mutamenti che impietosamente ci mostra. Anche Il demone sotto la pelle, horror dalle venature melodrammatiche, non sfugge a questo sistema di narrazione, trovando maggiore compiutezza nella seconda parte, allorché il contagio trasforma gli inquilini in zombie erotomani e antropofagi.
La visione di fondo del cinema fenomenologico di Cronenberg è comunque pessimista, il rimando-omaggio a La notte dei morti viventi e alle serialità “zombistiche” ci dice, in sostanza, che non c’è possibilità alcuna di salvezza per gli inquilini dello stabile. Di più, non c’è salvezza per l’umanità, infestata da morti viventi che si mescolano senza troppi problemi alle persone “normali”. Nonostante il contagio, si svegliano la mattina, vanno in ufficio, affollano le città, vagano per il mondo: stuprando, uccidendo, nutrendosi dei loro simili. Questo è l’epilogo, ancorchè solo intuito. L’allegoria apocalittica del primo Cronenberg è evidente quanto terrificante: il pericolo maggiore per l’umanità siamo noi stessi, quando siamo vinti dal demone interiore, brillante metafora della deriva delle coscienze rappresentata, nella fattispecie, da un parassita destinato a divorarci da dentro come fosse una condanna divina quando dovessimo lasciarci sopraffare dall’ansia per un futuro votato a un progresso nichilista e senza freni etico-morali, che inevitabilmente risveglierebbe in noi i più biechi istinti primordiali. Noi umani, sempre a rischio di contagio. Per stomaci forti, dunque, questo Cronenberg prima maniera straniante e visionario trasforma un sostanziale B-Movie in un viaggio allucinato e senza ritorno nel corpo e nell’anima, che non lascia indifferenti. Da riscoprire.
Federico Magi, dicembre 2006.
Edizione esaminata e brevi note
Regia: David Cronenberg. Soggetto e sceneggiatura: David Cronenberg. Direttore della fotografia: Robert Saad. Scenografia: Erla Griserman. Montaggio: Patrick Dodd. Interpreti principali: Paul Hampton, Joe Silver, Lynn Lowry, Allan Kolman, Susan Petrie, Barbara Steele, Camil Ducharme, Hanka Posnanska. Musica originale: Ivan Reitman. Titolo originale: “Shivers”. Origine: Canada, 1974. Durata: 88 minuti.
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