Al Khamissi Khaled

Taxi. Le strade del Cairo si raccontano

Pubblicato il: 30 Marzo 2016

Quando fu pubblicato per la prima volta “Taxi” di Khaled al-Kamissi (nel 2007 in Egitto, nel 2008 in Italia per i tipi del Sirente) pochi avrebbero scommesso sulla cosiddetta “primavera araba”. Eppure appena quattro anni dopo il presidente – dittatore Mubārak si ritrovò alle prese con la rivolta dei manifestanti di piazza Tahrir, quella che da lì a poco contribuirà ad abbattere il suo regime. Una svolta apparente che ha fatto dire allo stesso al-Kamissi di “un cambiamento sociale che continua e porterà a una vera trasformazione di tutti i nostri Paesi entro una decina d’anni”. Adesso che il paese è in mano al generale al-Sisi viene da pensare che tutto questo ottimismo fosse fuori luogo. Comunque sia è un dato di fatto che “Taxi”, in tempi non sospetti, abbia rappresentato una realtà proprio di “altri arabi”. Per citare le parole di Chiarastella Campanelli, la curatrice del volume: “diversi da come i media occidentali li rappresentano, lontani dalle caricature e dagli stereotipi che soventemente li identificano” (pp.VII). Merito di Khaled al-Kamissi, giornalista, regista e produttore cinematografico, che ha avuto l’idea di raccogliere le testimonianze, probabilmente fittizie o quanto meno assai romanzate, dei tassisti del Cairo, col contraltare dell’autore. Perché i tassisti? Il governo Mubarak anni prima aveva permesso di convertire le vecchie auto in taxi; e così migliaia di proletari, disoccupati e lavoratori sottopagati, analfabeti e laureati, si sono trasformati in improbabili tassisti. Questi lavoratori infaticabili che vivono sulle strade della metropoli egiziana si dice siano ormai trecentomila: quello che si dice uno spaccato di società, forse ideale per raccontare cosa sia realmente l’Egitto del terzo millennio. I tassisti di al-Kamissi, con le loro auto scalcinate, sono per lo più indebitati fino al collo, così numerosi da dover accettare delle remunerazioni bassissime, costretti a stare sulla strada giorno e notte fino allo sfinimento, spesso tentano di fare i furbi, qualcuno prova a truffare i clienti.

Un “viaggio nella sociologia urbana della capitale egiziana”, com’è stato definito, che si realizza con cinquantotto brevi capitoli, ovvero cinquantotto dialoghi e monologhi con questi infaticabili tassisti, non si sa se abusivi o regolari: un panorama a dir poco variegato che non soltanto mette in scena la rabbia, il pregiudizio, l’ignoranza, la sagacia e la furbizia di una classe lavoratrice. La critica alla società e alla politica egiziana si manifesta con una buona dose di umorismo; soprattutto grazie alle voci discordanti di personaggi, spesso con un passato di emigrazione, che devono campare grazie alla loro carretta e che si infervorano parlando di politica, della diffusa corruzione, di economia, dei miti occidentali: così il cristiano, l’integralista islamico, il laico impenitente, l’ammiratore di Mubarak e di Saddam, l’oppositore del regime, il disilluso, il delinquente, il maniaco, il sant’uomo. Certo è che l’appartenenza religiosa, almeno leggendo i monologhi e le sparate dei tassisti del Cairo, non sembra poi un elemento così pervasivo nella società egiziana. Accanto all’integralista misogino, che pure esiste (“le ragazze in tenera età, dai 13 ai 18 anni, sono diventate la cosa più immonda che si possa vedere sulla faccia della terra”), troviamo soprattutto laici tolleranti, disillusi, mussulmani poco osservanti. Anche l’antiamericanismo, spesso presente, diventa analisi impietosa e grottesca di una politica priva di senno, slegata dal fattore religioso e, soprattutto di questi tempi, più che mai attuale: “..e poi questi americani non si capiscono proprio: aiutano Mubarak, aiutano i Fratelli Mussulmani, aiutano i copti espatriati che fanno un casino da pazzi. Poi sborsano i soldi all’Arabia Saudita che a sua volta sborsa i soldi ai fondamentalisti islamici che a loro volta finanziano gli attentati contro, diciamo, gli americani. Fanno un casino esagerato…. alla fine uno se ne esca completamente ricoglionito” (pp.77). Poche parole che già fanno intuire come Khaled al-Kamissi abbia voluto raccontare le sue chiacchierate a bordo dei taxi: brevi capitoli dove, con descrizioni d’ambiente limitate all’essenziale, prevale nettamente il dialogo tra il passeggero – autore e il tassista di turno. Oltretutto il testo originale è scritto per tre quarti in dialetto cairota: una circostanza che, a fronte di parole altrimenti intraducibili, ha in qualche modo costretto il traduttore, Ernesto Pagano, a ricorrere spesso a espressioni tipiche napoletane (“nu ciuccio, criaturi, sarchiapone”). Una scelta neppure troppo azzardata: in fondo l’arte di arrangiarsi che pervade le pagine di al-Kamissi è qualcosa che conosciamo bene anche noi italiani. Un altro elemento che rende la società egiziana, almeno come descritta da Khaled al-Kamissi, molto lontana dai consueti cliché. Sostanzialmente una società di “altriarabi”.

Edizione esaminata e brevi note

Khaled Al Khamissi, nato nel 1962, è giornalista, regista, produttore e scrittore. Figlio d’arte, anche il padre era uno scrittore. Al Khamissi, si è laureato in Scienze politiche alla Sorbona di Parigi. Ha lavorato per l’Istituto Egiziano per gli studi sociali e ha scritto sceneggiature per vari film egiziani quali Karnak, Iside a Philae, Giza e altri

Khaled Al Khamissi, “Taxi. Le strade del Cairo si raccontano”, Il Sirente (collana “Altriarabi”), Fagnano Alto 2008, pp.216. Traduzione di Ernesto Pagano. A cura di Chiarastella Campanelli.

Luca Menichetti. Lankelot, novembre 2015