Baldanzi Simona

Maldifiume

Pubblicato il: 19 Aprile 2020

Maldifiume. La prima associazione che mi viene è con parole simili, come malditesta e maldimare, ma a differenza di queste mi porta verso un qualcosa di non ben definito che somiglia più a nostalgia. Sarà un effetto dovuto anche alla copertina di questo libro (illustrata da Fabio Consoli), dai colori tenui, in cui una donna dai capelli lunghi, legati, con una maglia a righe bianche e rosse cammina semi-immersa in un corso d’acqua e sembra perdere, via via che procede, le righe rosse. Perde, o si libera, di qualcosa. Tenta un ricongiungimento, si direbbe. Il sottotitolo “acqua, passi e gente d’Arno” è esplicativo di ciò che si troverà leggendo: il fiume, dalla sorgente alla foce, dal capo alla bocca, e le persone che vi vivono intorno.

Un piccolo libro pieno di Storia e di storie, del fiume e delle sue genti, delle mutazioni che si sono succedute nel tempo, nei secoli; un viaggio intrapreso dalla scrittrice con amici e amiche, a piedi in bici e in barca, incontrando persone e facendosi raccontare il passato e il presente dei vari luoghi attraversati.

Il volume presenta all’inizio una cartina del percorso del fiume con i vari paesi, cittadine, città che attraversa, e il corso del fiume, in piccolo, è riportato all’inizio di ognuna delle quaranta tappe, con l’indicazione del punto in cui ci si trova (ma senza il nome del luogo, che si scopre leggendo il capitolo). A vederlo sulla carta sembra un punto interrogativo sdraiato, con la pancia rivolta verso il basso, e al posto del punto il mare: dalla sorgente a nord scende a sud e poi curva verso ovest e torna su fino a procedere in maniera quasi orizzontale verso il Tirreno.

La narrazione di Baldanzi si muove tra ricordi di altri fiumi e eventi lontani nel tempo; ricordi dei mesi appena trascorsi, di ricerca e di primi incontri con le persone che poi hanno contribuito al viaggio, fino al racconto del viaggio effettivo, durato nove giorni. La scrittura segue il fiume: è qui e è già laggiù, o lassù, è contemporaneamente a capo e a bocca, al Falterona e San Rossore. L’autrice sa raccogliere storie e raccontarle, e come il fiume è una sorta di punto interrogativo anche lei in ogni capitolo domanda: al fiume; a chi incontra; a sé stessa.

C’è fame di storie: personali, lavorative, familiari, storiche, e così si susseguono nomi, corpi, aneddoti, impegni, lavori, date, progetti. L’Arno si mostra per ciò che è stato, ciò che ha rappresentato, ciò che ancora è: un fiume dove si poteva pescare; un fiume che si poteva navigare, utilizzato per trasporto di persone e materiali; un fiume che dava energia ai mulini; un fiume che con le piene rendeva fertili i terreni; un fiume utilizzato dalle concerie, dai mastri vetrai; un fiume cui attorno ruotavano e ruotano tutt’ora vite. Vite di persone che hanno memorie, che ricordano nostalgiche ma che cercano anche di guardare al futuro, a una riqualificazione delle zone più abbandonate, a nuove possibilità di vita che non possono essere esattamente le stesse di quelle di un tempo, ma che possono contribuire al cambiamento, in positivo, delle vite di altre persone: durante tutto il libro si avverte la tensione, nelle parole delle persone che si alternano nel racconto del fiume, verso quel che potrà essere, che sarà, una tensione che è sguardo verso un futuro che può non riguardare chi sta parlando. Il fiume che è qui è gia a capo, già alla foce: appena “parte” pensa a come “arrivare”.

Il tentativo di ricongiungersi al fiume dell’autrice si palesa dalle prime pagine, e continua rivolgendosi sempre all’Arno con un “tu”, ma allo stesso tempo fallisce, in certo senso, proprio per l’accumulo di storie che si comportano come piccole dighe, mulinelli, ostacoli al flusso, fino a arrivare all’ostacolo più grande: la costrizione dello sbocco del fiume in mare operata dall’uomo per meglio urbanizzare certe aree. La voce dell’Arno, alla fine, è meno fluviale e più umana e anche chi narra paga dazio.

“Quali abitatori troveremo noi?

Gli spiriti non mi disturbano. L’Arno qui non ha nome. È acerbo.

Tiro su l’acqua con una mano. Ricade e si confonde. Non riesco a staccarmi da te, eppure tu già te ne vai. Nasci e te ne vai. Sei sorgente e prosegui, acqua che parte e non si stanca, così per chilometri fino al mare. Eppure sto qui e ho l’idea che non ci sia domani, che non ci sia futuro, che tu non finisca in mare. Tu sei qui e continuamente ti rigeneri. Da questo piccolo cumulo di sassi, nasci di continuo. […] Il fiume, qui, dove comincia, è un mistero come lo siamo tutti, all’origine. L’inizio è sempre un luogo oscuro e forse cercare le storie è come provare a muoversi fra ombre e apparenze che continuamente si rigenerano e scorrono come l’acqua.

Si deve proseguire. Il bosco ha il suo sentiero un po’ distante. Ho appena cominciato a conoscerti e già devo staccarmi da te.” (pag. 30-31).

Edizione esaminata e brevi note

Simona Baldanzi vive nel Mugello. Ha esordito col romanzo Figlia di una vestaglia blu, (Fazi, 2006; Alegre, 2019), che intreccia le vicende delle operaie tessili della Rifle a quelle degli operai edili della TAV in Mugello. Bancone verde menta (Elliot, 2009) è il suo secondo romanzo, una storia d’ amore per le città e l’impegno. Nel 2011 è uscita per Ediesse, l’inchiesta Mugello sottosopra. Tute arancioni nei cantieri delle grandi opere. Nel 2014 per la collana Contromano di Laterza è uscito Il Mugello è una trapunta di terra. A piedi da Barbiana a Monte Sole.

Simona Baldanzi, Maldifiume, collana Biblioteca del Viandante diretta da Luigi Nacci, Ediciclo, 2016

Il sito dell’autrice: http://simonabaldanzi.it/

La rassegna stampa sul sito dell’autrice.