Sénac Jean

Per una terra possibile

Pubblicato il: 10 Maggio 2020

Jean Sénac è noto, forse sbrigativamente, come il “Pasolini d’Algeria” – condividendo con l’intellettuale italiano la tragica fine, fu ucciso nel 1973 e il suo delitto è rimasto insoluto, l’omosessualità anche ma soprattutto la dimensione politica di un socialismo o marxismo pienamente rivoluzionari.

Sénac con la sua opera poetica esplora una scrittura in cui sbocciano assonanze con il surrealismo, rivisitate alla luce di una lucidità febbrile, di una idealità insonne. Qui le somiglianze finiscono; stilisticamente Pasolini, così lontano dalle avanguardie di inizio secolo, non ha molto in comune con questo linguaggio che si squama come un serpente sulle cui scaglie si intuisce un mondo segreto di pensiero in piena come un fiume. Si tratta di quel surrealismo che celebrava in Rimbaud l’iniziatore della poesia moderna e venerava in Lautréamont un giovane e magnifico delinquente del pensiero.

Sénac affronta la scrittura come luogo di una rivolta, prima ancora psichica che sociale, una rivoluzione dello sguardo che, dopo aver messo a soqquadro tutto, lo ricostituisce in linguaggio poetico di grande spessore intellettuale.

Questo poeta algerino è una costellazione di nomi, persone amiche che vanno da Albert Camus a René Char dal grande poeta algerino Mohamed Dabi alla pittrice Fatmah Haddah, dall’amico pittore Sauveur Galliéro a Jean Dubuffet e molti altri cui le poesie sono rivolte in una sorta di dialogo fra interiorità interconnesse.
“Per una terra possibile” è il titolo di questo libro edito da Oltre Edizioni nel settembre del 2019, nella traduzione e cura di Ilaria Guidantoni, che raccoglie per la prima volta tradotte dal francese le opere poetiche di Jean Sénac; libro che si rivela sin da subito un crescendo impressionante, vertiginoso, appassionante. Ad arricchire il libro i disegni di Denis Martinez e qualche fotografia del poeta, di persone a lui vicine e dei suoi ambienti.

Sénac fa cozzare realtà divergenti , le mette in comunicazione, con una potenza semantica che fa confluire le cose più distanti. Conosciamo così un’ ”orgia di rose sporche” o “la feroce magia delle cascate” nella straordinaria poesia “Quel giardino del giocatore che ara la verità”, dove si staglia nitida la figura di un poeta come depositario di segrete parole che mormorano la loro adesione a un gioco implacabile che le trascende.

Quella di Sénac è una ricerca espressiva che presuppone una fede assoluta nella potenza delle parole come testimonia la poesia” Nota”. Sentiamo: “Una sola parola può far scoppiare/la tragedia delle stelle/una sola parola può far crescere/ dei mandorli nel deserto.”

Sénac è autore di una scrittura carnale, visionaria, dove l’astratto del pensiero vibra di tutti i rivolgimenti interiori di un animo ardentemente appassionato, i cui temi sono una poesia civile ma oracolare appassionata ma lucida, religiosa ma sofferta e arsa dai dubbi della modernità. Scrittura materica la cui concretezza visionaria non fa mistero della propria ambiguità di linguaggio da sfinge dalla lingua biforcuta, scrittura che già nel titolo scelto mostra la propria tendenza all’utopia, alla realizzazione di un socialismo anarchico e selvaggio. Sénac indaga il possibile del linguaggio, ne fa una terra, la sua terra, l’Algeria.

Ricognizione in una lingua onirica da cui il poeta algerino estrae la sua concretezza anche scabrosa, tangibile come certe immagini “ Qui i nomi portano l’odore ruvido” il cuore è ridotto ”alle dimensioni del tempo”, e il torrente del divenire conduce il poeta verso speranze incorruttibili.

Quando poi tutto questo scrivere si condensa impetuosamente in quel breve poema amoroso rivolto a Omble; una serie di poesie legate a questa figura quasi severa, resa evanescente come la Nadja di Breton, ma la cui aura non è la follia ma questa grazia negligente come una massa di “astri alla deriva”; la bellezza del suo sorriso ferma il tempo. Il sorriso è il tema di altri versi memorabili : “Il riso stupito di una ragazza/ basta a restituirti il mondo/ basta a riconciliarti/ con i volti perduti.”; dove una ragazza nei cui occhi “il sole trema/ prima di fondersi nella carne”, diventa l’universo di stupore cui il poeta estaticamente si arrende. Poesie di amore per le donne forse inusuali in un poeta omosessuale come Sénac ma che indagano il mistero del femminile in un’ottica trasfigurata, mitica. La natura vista da Sénac è impregnata di questa sensualità ardente, resa con immagini vivide, allusive e implacabili. I discorsi che si intravedono germogliare in versi così tersi, profetici, intensi, sono stupefacenti; pensiamo a una poesia come “Stigme”: “Tutto è noto/l’ordine passa/ si è trovato sulla sua faccia/ un chiodo che germogliava.”

S’inizia con passo fermo una danza di sintagmi evocativi, corolle di luci sintattiche che fremono e che sfidano e sfiorano la sentenza e la invitano a detonare come un destino.
“La pazienza delle cose eterne“. Come negare questa intuizione, questa evidenza metafisica? E così si sferza e ci sferza ”l’acciaio della Parola”. Perché qui sotto traccia ma veemente affiora il cristianesimo di Sénac, il suo tentativo di far confluire in unico discorso coerente le parole del Vangelo e le parole di Marx, mantenendo intatta la dimensione metafisica e sacrale, in questo senso riavvicinando in qualche modo le tematiche profonde di Pasolini.

Poche pagine dopo una serie di apostrofi indimenticabili, nella poesia “Campane” Sénac si rivolge via via “ai signori della mia follia”, alla “morte attenta“ definita magistralmente “sorella senza tregua/ che mi salvi dalle maschere”, si rivolge al ”presagio del sole”, all’”agonia della rosa”, fino all’Albero definito “unico re”, ed è proprio cosi, specie in una terra che conosce il deserto come l’Algeria.

Un’altra poesia chiave per comprendere Sénac è “Attendere”, dove l’attesa si carica di sottintesi metafisici, simbolici, sacrali. Poesia che è un crescendo suggellato dai sublimi versi finali, in cui riecheggia la potenza di una lucidità visionaria, assolutamente votata al proprio daimon interiore. Eccoli:
“Pochi hanno saputo che l’attesa è una sepoltura/ ma talvolta un angelo inventa il Signore/ l’esilio si leva nel cuore/ con l’alba.”

Nel poema “Diwân del molo” il tono di poesia civile è affilato da una vena profetica; il popolo di Algeria è cantato nella sua terribile battaglia per affermarsi, si sente sempre di più l’influenza di Rimbaud, numerose sentenze brillano sulla pagina e scavano in noi come l’onda di uno stupore continuo. Linguaggio esoterico che scalfisce il silenzio, come un perfetto e perfettamente misterioso ”esilio nel cuore del Diamante”.

Così leggiamo “I passi d’Helios; è un poema in prosa, nell’evidente tentativo di abbattere le barriere fra poesia e prosa che ancora una volta ha in Rimbaud il suo alfiere e mostrare poi nella carne del linguaggio la terribile e magnifica sensualità della natura, del paesaggio algerino che diventa un dato interiore, fucina di un’ identità multiforme in cui esseri mitici, come il poeta Antar, vengono evocati.

“Per una terra possibile“ è uno di quei libri di poesia che si leggono con il fiato sospeso davanti a flussi di pensiero che assorbono la nostra attenzione, perché vibranti di quella forza enigmatica che precede il pensiero cosciente e lo modella sulla forma di un linguaggio fatale, fatale perché viene dall’essere stesso e non è più espressione solo di una personalità, per quanto di genio. Tremenda oggettività trasfigurata. Lucido azzardo questo di Sénac e di tutti i poeti perché accade nella “terra isolata dal destino”, come nella definizione che ne dà Emanuele Severino.

Il resto è biografia, storia di un’anima, gossip della Storia, che troppo spesso elide l’essere di cui il poeta registra le armonie e le dissonanze. Ma “ i poeti”, ammonisce Octavio Paz, “non hanno biografia. La loro opera è la loro biografia”. Così l’opera di Sénac rimane, più potente di colui che la espresse, che visse, patì, gioì, sempre disserrando con i propri versi il giogo ancestrale di quello che Auden chiama “il dialetto della tribù”, la mordacchia delle abitudini linguistiche che sclerotizzano il pensiero e l’essere, li stringono nella morsa dei luoghi comuni e delle opinioni. Nulla di tutto questo in Sénac che da grande poeta opera una lucida riformulazione del pensiero, che avviene in quella terra di mezzo fra conscio e inconscio, là dove le cose accadono e mutano, germinano.

“ Oh solitudine! Bitume, sguardi senza luogo,
pioggia indolore, fiume sporco,
ciò che trascina col desiderio
l’invisibile scheggia nella parola.”

Edizione esaminata e brevi note

Jean Sénac (Beni Saf 1926, Algeri 1973) è stato un poeta e drammaturgo algerino. Grande amico di Albert Camus e René Char, ha lasciato un’opera letteraria considerevole di cui in italiano sono disponibili il romanzo “Ritratto incompiuto del padre” e il libro di poesie “Per una terra possibile”, editi da Oltre Edizioni.

Jean Sénac, Per una terra possibile, traduzione e cura di Ilaria Guidantoni, Oltre edizioni, 2019

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Lankenauta, Ettore Fobo, maggio 2020