Tordo João

Il buon inverno

Pubblicato il: 6 Gennaio 2012

Ci sono un portoghese, un italiano e un inglese… È una barzelletta? No, se fosse una barzelletta ci sarebbero un tedesco, un italiano e un francese… O un tedesco, un francese, un italiano… Che è la stessa cosa. Già, cambiando l’ordine degli addendi…

Et cetera. Dicevo: Ci sono un portoghese, un italiano e un inglese, tutti e tre sono scrittori. Il portoghese sta male, è depresso, gli piace guardare il Dr. House e si sente come lui, compreso il bastone. L’italiano è un entusiasta, vuole arrivare, vuole vivere, vuole divertirsi, vuole gettare sassi e vedere i cerchi che si formano sulla superficie dell’acqua. L’inglese è il talentuoso di successo, quindi non solo talentuoso. Tra l’italiano e l’inglese c’è la ragazza di quest’ultimo, che ne è anche l’agente (eh sì, esistono gli agenti letterari, per chi non lo sapesse). Tra il portoghese e l’italiano c’è una simpatia del secondo verso il primo che è ricambiata, ma forse più sopportata.

C’è poi la storia del “buon inverno”, ad unirli. Il “buon inverno” è una stagione rovesciata, si potrebbe dire. Per chi considera l’inverno “cattivo”, s’intende. A me, per esempio, l’inverno piace.

Oltre a questi tre scrittori dalle diverse fortune ci sono anche altri personaggi, tra cui quello attorno cui molto ruota fa il suo ingresso in scena…da morto. Va detto che chi scrive è il portoghese, altrimenti avrei potuto scrivere che il personaggio attorno cui molto ruota fa il suo ingresso da vivo. Ma ecco la trama, in poche parole:

Ad un ciclo di conferenze di scrittori a Budapest si incontrano lo scrittore portoghese e quello italiano (accompagnato dalla sua ragazza, e dall’agente letteraria succitata). Bevono e conferenzano e l’italiano convince l’altro a seguirli in una residenza di un produttore cinematografico superimportante, Don Metzger, in Italia. Tale Don è amico del padre dell’italiano, ma non per questo devono andare lì. Il motivo è che Don deve incontrare l’inglese e la sua agente per i diritti cinematografici del suo romanzo. L’italiano vuole andare a vedere se ci può essere qualcosa anche per lui. Vuole gettare il sasso lì, in somma. Arrivano in questa villa in mezzo ad un bosco, vicino Sabaudia. Il produttore non c’è, ma ci sono altri suoi ospiti, e forse profittatori. Nel bosco invece abita Bosco, un catalano che crea mongolfiere per Don. Per farla breve, Don Metzger arriva, e viene ucciso. Bosco, suo grande amico, decide di vendicarlo, e costringe gli ospiti della villa a rimanere lì, finché qualcuno confessi l’omicidio. Nessuno vuole confessarlo. Qualcuno tenta di fuggire, inutilmente. I giorni passano, le scorte finiscono, i dubbi permangono. Chi sopravviverà? Qual è la verità? Si saprà mai? Chi mente, chi dice la verità, dove alberga la verità, se c’è?

Questo romanzo, che si potrebbe forse definire un thriller psicologico?, pone invece molte più questioni sul piatto. Leggendolo mi ha ricordato un altro romanzo, uscito per ISBN tempo fa, dal titolo “Io sono Febbraio”. Lì c’era un paese fantastico preda dell’inverno, preda di Febbraio, che rapiva i bambini di questo paese, e c’era la ragazza di miele e fumo, e scatole di luce, e qualcuno che scriveva. Dicevo delle questioni. Non va dimenticato che il punto di vista adottato è quello di uno scrittore, che riflette sulla scrittura e sul suo valore. Sulla verità e la menzogna insite nella scrittura. E nella vita. E questo scrittore rassicura il lettore sul fatto che ciò che scrive è vero, e che è dimostrabile, anche se altrove dice che gli scrittori sono tutti bugiardi.

Fa questo nella prima parte del romanzo, in cui le situazioni lo portano a riflettere su menzogna e verità in letteratura, dopo di che ecco che le medesime questioni passano, si travasano nelle situazioni che si trova a vivere e testimoniare.

A complicare il tutto c’è lo scrittore italiano, Vincenzo, che scrive un articolo in cui testimonia che le circostanze, eccetto l’omicidio ed altre cose, sono vere. Il suo nome, per esempio, Vincenzo nel libro e nella realtà, ed il fatto che sia uno scrittore. È anche un romanzo che racconta dei modi della sua nascita. C’è la fiction televisiva, c’è la realtà, c’è l’immaginazione di chi scrive. Tre piani reali e falsi al tempo stesso. Falso è ciò che non è vero, non è esatto, è sbagliato, falso è ciò che sembra qualcosa che non è. Reale è ciò che appartiene alla realtà, è concreto. Ma nel momento in cui noi caliamo noi stessi a guardare il reale, questo assume i toni che noi gli diamo. Concludo citando una nota (sì, ci sono delle note al testo, ma sono poche, tranquilli. E sono importanti) che, a mio avviso, riassume tutto ciò:”Che cosa volete che vi dica? Che sono un narratore che merita la vostra fiducia? Che sono qui per raccontare tutta la verità e nient’altro che la verità? Il problema della <<verità>> è che è un inganno e funziona soltanto nella finzione; la realtà non possiede nessuna verità, poiché dipende dal punto di vista dell’osservatore. Il punto di vista è la condizione primaria della narrativa e la narrativa è la condizione primaria della finzione….”(pag. 22-23)

Edizione esaminata e brevi note

João Tordo è nato a Lisbona nel 1975. Dopo la laurea in Filosofia ha studiato giornalismo e scrittura creativa a Londra e a New York. Nel 2001 ha ottenuto il Young Talents Literature Award a Lisbo­na, città nella quale attualmente vive e lavora; e nel 2009 il Premio José Saramago per «As três vidas» (2008). Oltre che di «Il Buon Inverno» è autore di «Hotel Memória» (2007). Le sue opere sono pubblicate in Francia, Brasile e Croazia. Ha conosciuto lo scrittore Vincenzo Latronico a Budapest, nel 2009.

João Tordo, “Il buon inverno”, Cavallo di Ferro edizioni, 2011. Traduzione di Luca Quadrio.

aggiornamento 2020: la casa editrice ha chiuso nel 2014

A.B. gen 2012, lankelot