Tronci Duccio

Chi comanda Firenze

Pubblicato il: 24 Giugno 2013

Devo ammettere che leggere fin dalla prima pagina di “Chi comanda Firenze” le parole “poteri forti” inizialmente non mi ha ben disposto: ho sempre pensato sia un’espressione per lo più imprecisa, usata spesso da personaggi in vena di fisime cospirative; e quindi non certo l’esordio più gradito per poi immergersi nelle trame opache della politica fiorentina e nazionale. In realtà bisogna dare atto all’autore, il giornalista Duccio Tronci, di aver poi spiegato con precisione quali sono questi poteri e soprattutto come si sono mossi o sono stati mossi all’interno del cosiddetto palazzo. L’inchiesta, che rappresenta la quarta puntata della Rx Castelvecchi sulla politica delle città italiane, di fatto non ci racconta clamorosi fatti inediti ma il merito di Tronci è semmai quello di aver recuperato notizie altrimenti uscite un po’ in sordina sui media locali o comunque poco note al grande pubblico. E poi di averle riunite in un quadro che fa della Firenze di Renzi (il “Firenzi” di Travaglio) una città tutt’altro che all’avanguardia dell’auspicato “rinnovamento” civile.

Prima di tutto però bisogna forse spendere qualche parola su Renzi al di là dei contenuti del libro, sicuramente molto critici anche se frutto di una documentazione indiscutibile. Il nostro “rottamatore” – e a questo punto possiamo pure aggiungere “presunto rottamatore” – notoriamente non è affatto amato da gran parte del popolo di sinistra e paradossalmente, ma non troppo, gradito a tanti elettori storici del centrodestra. La sua provenienza dal Ppi, la sua cultura cattolica, la sua estraneità alla tradizione comunista hanno contribuito sicuramente a renderlo inviso a coloro che hanno come priorità un partito di sinistra puro, dove il cosiddetto “centro” non esiste e dove magari la cultura liberale viene intesa come liberista, incompatibile con il “progressismo” dei post comunisti, ottusamente conservatrice ed espressione dei citati “poteri forti”: una delle tante dimostrazioni di come il Partito Democratico sia nato da una fusione fredda di apparato, e soprattutto con una base poco convinta e culturalmente divisa. Fin qui i motivi per cui si potevano comprendere le certe ostilità pretestuose da parte di una sinistra ancora non del tutto guarita dal suo storico settarismo. Ma poi andando più a fondo e con occhio più critico, lasciandoci davvero alle spalle le beghe ideologiche, si possono scoprire altri motivi di perplessità e di critica nei confronti della politica di Renzi, dai suoi esordi quale presidente della provincia, e poi a sindaco di Firenze e aspirante premier. Un Renzi che, con buona pace dei suoi più accesi avversari, non potrà mai essere realmente assimilato a Berlusconi: l’ex premier ha un tale curriculum di vicende giudiziarie, di amicizie inquietanti, di leggi ad personam, di promesse mirabolanti finite col “non mi hanno lasciato lavorare”, che il nostro sindaco di Firenze, pur con certi vezzi da piacione e con una chiara predisposizione all’autopromozione mediatica, a confronto rimarrà sempre un dilettante. Per sua e nostra fortuna.

Il Renzi che emerge dall’inchiesta di Duccio Tronci però non ne esce poi tanto bene proprio per una politica ridotta a marketing e per una sfrenata ambizione personale che sarà motivo di non pochi detti e contraddetti: una rottamazione di fatto rivolta contro alcuni vecchi dirigenti di partito ma non certamente nei confronti di una prassi politica che in questi ultimi venti anni sappiamo cosa abbia voluto dire. E’ vero che con Renzi in città sono cambiati certi equilibri, ma, come possiamo capire leggendo con attenzione il libro di Tronci, nel senso semmai di piazzare nuovi uomini nei posti chiave, non certo scardinando consolidate logiche affaristiche. Logiche che peraltro hanno investito anche l’informazione locale, condizionata da inserzionisti potenti come istituti bancari, assicurativi, grandi aziende (ecco i cosiddetti “poteri forti”), tanto che il risultato non è stato più informare ma piuttosto supportare cordate politiche: “Da un lato professa la fede della rottamazione della vecchia politica, dall’altro mette in pratica gli stessi vizi” (pag. 34). In questo senso Renzi ha saputo giocare molto bene le sue carte, anche grazie all’elettorato italiano che da sempre ama chi si espone spavaldo sui media, senza poi troppo approfondire contenuti e programmi (spesso inesistenti e fumosi). Pagine che raccontano il sindaco di Firenze intento a conciliare l’azione amministrativa, ovvero piazzare i suoi fedelissimi nei posti chiave, con l’azione su scala nazionale, tutta volta a dargli visibilità per poi spiccare il salto verso Palazzo Chigi. Un Renzi che fin dal tempo della presidenza della Provincia si è dedicato a promuovere eventi di grande rilevanza mediatica tali da prosciugare le casse dell’amministrazione ma anche capaci di procurargli la notorietà su scala nazionale. In questo senso paradigmatica la vicenda di Florence Multimedia, partecipata al 100% dalla Provincia di Firenze e quindi controllata direttamente dal suo presidente: organismo diventato operativo a partire 2006 e capace di inglobare anche l’ufficio stampa della Provincia.

Il libro di Tronci racconta il sistema-Renzi come macchina da guerra mediatica ma anche come un poco virtuoso scambio basato sulle amicizie, anche tra esponenti Pd e Pdl, in qualche modo resi tra loro complici e sodali, sulle ricompense, sulle tante, troppe assunzioni a chiamata, con buona pace della Corte dei Conti. Balza agli occhi il caso di Marco Carrai, presidente dell’aeroporto di Firenze, che si è guadagnato, tre le innumerevoli poltrone, la posizione di amministratore delegato di Firenze Parcheggi in quota Mps. Altro esempio, tra i tanti, la cooperativa Web & Press (che coinvolge il controllo della stampa locale; e poi la Enecom, azienda attiva nel settore delle rinnovabili, che vanta ottimi rapporti con Fiat, controllata dalla Eneco Spa e presieduta da Giorgio Moretti, presidente anche di un’altra partecipata, la Quadrifoglio. In un libro scritto con evidente intento polemico non poteva mancare uno stralcio della lettera di dimissioni da consigliere speciale per la sicurezza dell’ex capo della procura antimafia Pier Luigi Vigna, il cui contenuto fu rivelato dopo la sua scomparsa nel 2012: “Sono sempre stato rispettoso della libertà di scelta altrui, ma nella stessa misura non ho mai considerato positivamente chi opta per lo svolgimento di una determinata funzione pubblica come trampolino di lancio per conseguirne un’altra del tutto diversa […] Ho sempre pensato che ogni funzione pubblica non possa essere strumentalizzata” (pag. 44).

Oppure la farsa del Piano strutturale annunciato “a volumi zero”: “in realtà il piano non definisce il dimensionamento totale dei futuri interventi, identificabili comunque nella misura di almeno due milioni di metri cubi di nuove edificazioni, già previste dalla precedente legislatura ma ancora non realizzate, e non definisce il limite al consumo del suolo come previsto dalla legge regionale. Per fare questo, infatti, il sindaco toglie dal calcolo le lottizzazioni già assegnate” (pag. 58). E poi ancora l’inceneritore di Case Passerini, progetto al quale Renzi tiene molto; tanto da replicare all’oncologa Patrizia Gentilini, durante una trasmissione tv, in questi termini: “aspirante alchimista” e “apprendista Maga Magò” (pag.61).

Renzi ma non solo Renzi, coerentemente al titolo “Chi comanda Firenze: il racconto della città meno virtuosa ha significato anche ricordare le inchieste iniziate sotto il suo predecessore  Leonardo Domenici, e poi i tanti legami delle istituzioni cittadine con il Monte dei Paschi e il Pd, i rapporti con la Baldassini Tognozzi Pontello di Riccardo Fusi, finita sotto inchiesta per le Grandi Opere, e il sistema delle Cooperative che ha messo le mani sul devastante e costosissimo progetto del tunnel Tav. Quale appendice un breve capitolo dedicato al Forteto: un caso emblematico che, al di là dei ripetuti abusi sessuali avvenuti all’interno della comunità di accoglienza, si presta ad essere visto come un intreccio perverso tra istituzioni e presunte attività sociali, e dove i cittadini si sono visti inermi di fronte a personaggi ben protetti dalla politica. Insomma, dalla lettura del libro di Duccio Tronci emerge l’immagine di una Firenze non molto diversa da quella di altre grandi città italiane, dove i conflitti d’interesse, i comportamenti opachi dentro il cosiddetto palazzo abbondano; e dove le cosiddette rottamazioni appaiono funzionali alle ambizioni personali di un sindaco, ma non certo tali da poterci mettere alle spalle venti e più anni di mala politica.

Edizione esaminata e brevi note

Duccio Tronci, (Firenze, 1975), laureato in Scienze Politiche, è giornalista di cronaca e politica locale. È stato redattore del quotidiano «il Nuovo Corriere di Firenze» e collaboratore del gruppo E Polis. Ha iniziato la sua esperienza per «l’altracittà», mensile delle Piagge, nell’estrema periferia di Firenze, curando inchieste su beni comuni e grandi opere. Ha lavorato anche per uffici stampa di soggetti no profit (Campagna Sbilanciamoci!, Associazione Botteghe del Mondo, Associazione Finanza Etica) e imprese responsabili. Nel 2005 e 2007 ha ottenuto riconoscimenti di merito al premio giornalistico Gabriele Capelli, con le inchieste L’acqua di tutti e Alta velocità, un disastro a nove zeri. Oggi si occupa di comunicazione politica.

Duccio Tronci, “Chi comanda Firenze. La metamorfosi dei poteri e i suoi retroscena attraverso la figura di Matteo Renzi”, Castelvecchi (collana RX), Roma 2013, pag. 139

Luca Menichetti. Lankelot, giugno 2013