Yehoshua Abraham

Ebreo, israeliano, sionista: concetti da precisare

Pubblicato il: 16 Marzo 2013

“Parla poco e ascolta assai, e giammai non fallirai”. Un proverbio come questo dovrebbe rappresentare “il buon senso de’ popoli condensato” (Niccolò Tommaseo). Questa la teoria. La pratica ci dice ben altro, soprattutto quando l’argomento investe passioni politiche o antiche e sempre verdi idiosincrasie. Alcuni esempi, dove le parole in libertà abbondano senza incontrare il buon senso, ce li ha ricordati Abraham B. Yehoshua col suo “Ebreo, israeliano, sionista: concetti da precisare”. Molti di voi avranno letto, ascoltato, discusso in occasione di celebrazioni quali la Giornata della Memoria del 27 gennaio, oppure di avvenimenti (per lo più terroristici o repressivi) che hanno visto coinvolto lo Stato d’Israele. E lì, puntuale come il destino, salta fuori chi usa in maniera indistinta le parole ebreo, israeliano, sionista: fosse esclusivamente una polemica, ad esempio, sull’unicità o meno della Shoah, oppure un’invettiva feroce contro la politica israeliana forse non ci sarebbe necessità di mettere i puntini sulle “i” riguardo certe definizioni. Ben altro discorso quando il tuo interlocutore dimostra una particolare superficialità nel vomitarti addosso le sue granitiche convinzioni; e soprattutto quando temi possa avere coordinate spazio-temporali parecchio sballate con questo suo raccontarti la stretta parentela tra il morto ammazzato a Mauthausen e il nazionalista israeliano accanito nella repressione dei palestinesi (spesso definito “ebreo” piuttosto che “israeliano” o “sionista”). Distinguo pari a zero.

Qui entra in gioco Abraham B. Yehoshua che alcuni anni fa aveva pubblicato per i tipi di Giuntina una raccolta di saggi intitolata “Elogio della normalità. Saggi sulla diaspora e Israele”. La casa editrice E/O, con un’operazione editoriale sicuramente apprezzabile, ha pensato bene di riprendere uno di questi scritti, che ora è appunto intitolato “Ebreo, israeliano, sionista: concetti da precisare”, e che ha dato modo allo scrittore israeliano di “consacrare del tempo alle analisi concettuali precise, logiche e quasi formali di definizione di termini di base” (pag.27). A fronte di questo uso indiscriminato delle parole Yehoshua, rivolgendosi innanzitutto ai suoi concittadini, oppone una logica stringente e, grazie ad una chiarezza espositiva propria di grande scrittore, un approccio perentorio e severo che non disturba affatto. Considerando che l’autore ha incentrato il suo scritto su motivate definizioni di ebreo, di israeliano e di sionista, senza perdersi in divagazioni, risulterà opportuno riportare alcuni dei brani più significativi, quasi parole chiave per comprendere la sua analisi teorica, che per chiarezza e costruzione a schema si prestano molto bene ad essere citati. Innanzitutto gli ebrei. Yehoshua torna più volte a ripetere la formula tradizionale : “è ebreo chi è figlio di madre ebrea o chi si è convertito secondo le regole”. In altri termini: “è ebreo chi si identifica come tale”; ovvero, proprio partendo dalla definizione religiosa classica, si scopre che l’ebreo secondo le regole non è identificato da alcun contenuto particolare e per di più, nonostante un elemento biologico, non ha carattere razziale: “gli ebrei non sono una razza e non si sono mai considerati tali, bensì sempre e unicamente un popolo” (pag. 34). Ed ancora: “essere ebreo significa appartenere ad un gruppo nazionale, da cui si può entrare e uscire come per ogni altro gruppo nazionale” (pag. 35). Una definizione e soprattutto una concezione di sé, peraltro antitetica alle “teorie pseudo – sartiane”, non immune da conseguenze: “Non ho bisogno dello sguardo del non ebreo o della violenza antisemita per stabilire la mia identità ebraica. Io voglio continuare a identificarmi come ebreo anche quando non ci sarà più alcun antisemita al mondo. Come è triste quel modo di presentare l’identità e l’appartenenza ebraica come una specie di trappola, da cui non si può sfuggire” (pag. 38). Altro discorso con “sionismo”. E anche qui Yehoshua dimostra una chiarezza esemplare: “ Non esiste termine più confuso di sionista o sionismo […] fino alla fondazione dello Stato di Israele la definizione era la seguente: è sionista chi vuole fondare uno Stato ebraico nella terra d’Israele. La parola chiave in questa definizione è Stato […] Dal 1948 la definizione è perciò la seguente: è sionista colui il quale riconosce il principio che lo Stato di Israele non appartiene solo ai suoi concittadini, ma all’intero popolo ebraico” (pag. 43-47).

Di ragionamento in ragionamento e considerando l’attributo di sionista non come “una decorazione apposta al petto dell’ebreo”, e nemmeno come un’ideologia globale – speculare all’antisionismo amplificato dal conflitto mediorientale e da visioni ostili allo Stato moderno e democratico –  Yehoshua non ha poi problemi ad affermare: “La strategia adottata dallo Stato di Israele di considerare ogni antisionista come antisemita non farà diminuire il numero degli antisionisti ma farà crescere quello degli antisemiti. Desionistizzazione significa eliminazione dei rapporti particolari tra Israele e il popolo ebraico, che si esprimono per esempio nella legge del ritorno […] Ci sono molte discussioni ce devono trovare il loro contesto giusto e preciso, e non ruotare sempre attorno al termine sionismo come ad un termine magico. Termini confusi producono sempre sensazioni di colpa, un patetismo superfluo e, alla fine, cinismo” (pag. 52-55).

Infine “israeliano”, che valorizza la dimensione della totalità dell’essere ebreo nell’abitare la nazione di Israele e il suo territorio. Definizioni che nel testo sono spiegate punto per punto e che non hanno l’ambizione di proporre autentiche soluzioni ai conflitti esistenti. Semmai in Yehoshua c’è la volontà di creare un quadro più corretto per lotte “che esistono in ogni popolo e in ogni Stato”, concludendo con un “elogio della normalità” che vede come una sorta di malattia quella “storia ebraica della diaspora che ha avuto molti chiari sintomi di anormalità, e ciò secondo le visioni degli ebrei stessi”. Nonostante tutto con una speranza, affiorata proprio dalla stringente distinzione dei termini ebreo, israeliano, sionista: “ci renderemo conto che ‘normalità’ non è una parola spregevole ma, al contrario, l’ingresso in una epoca nuova e piena di possibilità […] senza preoccuparci continuamente di perdere l’identità” (pag. 84).

Edizione esaminata e brevi note

Abraham Boolie Yehoshua (Gerusalemme 1936), laureato in Filosofia e Letteratura Ebraica alla Hebrew University di Gerusalemme, fino al 1967 ha lavorato a Parigi come Segretario Generale dell’Unione Mondiale degli Studenti Ebrei. Rientrato in patria ha poi insegnato Letteratura Ebraica e Comparata all’Università di Haifa. E’ considerato uno dei più importanti scrittori israeliani.

Abraham B. Yehoshua, “Ebreo, israeliano, sionista: concetti da precisare”, E/O (collana Tascabili e/o) Roma 2011, pag. 84

Luca Menichetti. Lankelot, marzo 2013

Recensione già pubblicata il 16 marzo 2013 su ciao.it e qui parzialmente modificata.