Lazzeri Daniele , Grandi Augusto, Marcigliano Andrea

Il Grigiocrate. Mario Monti, nell’era dei mediocri

Pubblicato il: 26 Giugno 2012

Ci sono due momenti pubblici della vita del supertecnico Mario Monti che meritano attenzione: una dichiarazione che risale al 2007 e l’altra al recente 6 giugno 2012. Così cinque anni fa intervistato da Dario Di Vico per il Corriere della Sera: “Il giorno dopo la mia nomina nella Commissione europea Marco Pannella, che peraltro ho in forte simpatia, organizzò una conferenza stampa per sostenere che con Monti avevano vinto i poteri forti. La presi a ridere e quando un giornalista mi chiese un commento dissi che di poteri forti non ne conoscevo. Tranne uno, l’Europa e oggi mi fa piacere aver contribuito a renderlo più forte”. Quest’anno, collegato in videoconferenza al congresso nazionale delle fondazioni bancarie in corso a Palermo: “Il mio governo ed io abbiamo sicuramente perso in questi ultimi tempi l’appoggio che gli osservatori ci attribuivano, spesso colpevolizzandoci, dei cosiddetti poteri forti perché non incontriamo favori in un grande quotidiano rappresentante e voce di potere forte e in Confindustria”. “Poteri forti” è un’espressione molto presente nel gergo giornalistico e in quello complottistico ma molti di noi  non hanno ancora compreso bene cosa voglia dire. Probabile che ognuno abbia la sua idea di “poteri forti” e la cosa spesso sia buttata lì per evitare troppe spiegazioni e distinguo. Sicuramente sorprende che il sobrio Monti, malgrado le sue risate del 2007, cinque anni  dopo abbia scoperto l’esistenza dei “poteri forti” a fronte di un’azione di governo a dir poco discutibile; proprio come tanti politici di lungo corso, intenti a giustificare malamente i loro insuccessi. Il libro “Il grigiocrate. Mario Monti nell’era dei mediocri” è uscito nel maggio 2012 e quindi non contiene la citazione di questa perla; ma, se i tempi fossero stati diversi, sicuramente l’avremmo trovata in bella mostra. Effettivamente Grandi, Lazzeri e Marcigliano con questo loro pamphlet non ci sono andati leggeri col nostro supertecnico.

La tesi di fondo è chiara: il professore bocconiano è stato chiamato ufficialmente per salvare un’Italia ormai sull’orlo del baratro, ma di fatto la priorità  di coloro che hanno caldeggiato la sua nomina a premier è stata quella di salvaguardare gli interessi delle loro classi sociali privilegiate; non altro. Il migliore sulla piazza per portare avanti questa operazione non poteva che essere Mario Monti, personaggio che proviene da quelle stesse élite e che in fondo ha sempre servito nel corso della sua prestigiosa carriera di tecnocrate. Un’operazione che non ha nulla a che vedere con la cosiddetta dialettica democratica se è vero che per la prima volta nella nostra storia un premier ha dichiarato pubblicamente di essere al governo, non per rispondere al proprio Paese, al proprio popolo, ma ai mercati internazionali. Ammesso e non concesso che gli interessi dei cittadini e la salute dei conti pubblici siano perfettamente in sintonia con quelle che molti osservatori considerano delle vere e proprie oligarchie internazionali. Contrariamente a quanto è stato scritto “Il grigiocrate” non è una vera e propria biografia di Mario Monti, che viene ritratto piuttosto a partire dai suoi esordi accademici, per arrivare al suo periodo torinese nel CdA Fiat e poi, passando per la consulenza all’allora ministro del Bilancio Cirino Pomicino, agli incarichi presso Goldman Sachs e  l’agenzia di rating americana Moody’s.  E’ semmai un pamphlet piuttosto aggressivo, costituito da brevi capitoli scritti da tre autori con stili altrettanto diversi, che possiamo apprezzare per diversi aspetti. Innanzitutto il fatto stesso di scalfire il luogo comune del “salvatore della Patria” non è affatto disdicevole: di questi presunti salvatori il nostro Paese ne ha avuti fin troppi e si è visto com’è andata sempre a finire. Inoltre più volte viene sottolineato come il racconto delle vicende e delle discutibili relazioni professionali del professore bocconiano non deve essere visto come esercizio di complottismo (“la sindrome del complotto rischia di fuorviare anche l’analista più accorto”). Forse è un modo per prevenire facili critiche, non fosse altro che in un’occasione viene citata la parola “mondialismo”, che, come noto, appare spesso nelle opere, e a volte nei deliri, di personaggi estremisti ed appunto affetti dal morbo complottista. Però si può apprezzare lo sforzo di non voler essere assimilati a coloro che ragionano in termini di logge segrete, rettiliani e simili congregazioni occulte. La tesi di fondo del pamphlet in realtà si può spiegare molto più semplicemente con una spontanea comunanza di intenti, mentalità comune tra personaggi appartenenti ad un certo mondo finanziario ed universitario, dove al privilegio, ai conflitti d’interesse, alla frequentazione degli stessi salotti bene, si unisce l’incapacità di andare oltre la mera teoria accademica e di fare onestamente i conti con la realtà.

In questo contesto Monti  appare un uomo “buono per tutte le stagioni”, estremamente disinvolto nel trovare sponsor presso ogni latitudine politica, grazie anche al sistema delle cooptazioni, strumento ideale per costruire intorno a sé una rete di rapporti professionali poi utili al momento del bisogno. Al di là di posizioni politiche che posso solo intuire dalle collaborazioni giornalistiche, bisogna dare atto agli autori di non aver usato la polemica contro Monti per minimizzare quanto combinato dal suo predecessore: più volte viene sottolineata l’inadeguatezza  di un ex premier, ormai drogato di bunga bunga e dal culto della sua personalità, nel gestire la cosa pubblica. E poi pagina dopo pagina si chiarisce il significato dell’era dei “mediocri”. Mediocri molti dei tecnici presenti nella compagine governativa di Monti, evidentemente non la creme de la creme degli intellettuali di casa nostra, ma personaggi spesso ammanicati con i precedenti razziatori e tutt’ora al soldo di chi li ha caldamente segnalati come ministri o sottosegretari. Mediocri, ed anch’essi disonesti, molti giornalisti che in questi mesi, senza alcuno spirito critico, hanno osannato il sobrio bocconiano con tali colpi di lingua da sembrare tutti dei piccoli minzolini. Mediocre sicuramente una casta di politici che ha abdicato alle proprie responsabilità e, dietro le quinte di un governo “tecnico”, mentendo e inciuciando secondo prassi consolidata, sta arraffando il più possibile prima delle temutissime elezioni del 2013. Della soppressione dei meccanismi democratici abbiamo già detto, e peraltro ne scrive anche Sansonetti nella prefazione al libro, ma non è finita qui: magari senza troppi approfondimenti, capitolo per capitolo, possiamo leggere gran parte delle argomentazioni che in questi mesi hanno ridimensionato le aspettative in questo esecutivo di professori e tecnocrati.

Quindi inevitabile che sia stato puntato il dito sulla riforma delle pensioni che, a fronte del “ce lo impone l’Europa”, viene presentata come tra le più rigide del continente. Per non parlare poi del pasticcio esodati, dell’aumento della precarietà spacciata come volano dello sviluppo. Insomma direttive europee ufficiose apparentemente applicate alla lettera, ma in realtà con una particolare rigidità a carico delle classi medie, salvo mantenere occhi di riguardo e ben altra elasticità nei confronti di altre classi sociali (o gruppi d’interesse). Leggiamo: “Di fronte alla crisi internazionale il governo dei tecnici sta strangolando il mercato domestico con tassazioni feroci e creano il panico tra i lavoratori con la fine della tutela del posto di lavoro […] una stangata sulle auto aziendali, che erano quelle che soffrivano meno per la crisi. Così caleranno anche le vendite in questo segmento di mercato” (pag. 84). Un fiume di tasse destinato a deprimere i consumi che appare in contraddizione con quell’idea di crescita che poi – guarda caso – fa sì che certe spese folli siano mantenute ferme e considerate inevitabili ancora perché “ce lo chiede l’Europa”. Salvo dover capire quale istituzione europea o quale burocrate europeo ci obbliga a mantenere certi standard o progetti,  quel “ce lo chiede” è espressione che, andando ad approfondire, non risulta sempre esatta ma che a quanto pare funziona per zittire i media e i potenziali critici. Poi magari qualcuno non sta del tutto zitto e così per un bocconiano critico con Monti come Giavazzi “le infrastrutture fisiche non sono fra le priorità dell’Italia post-industriale”; con buona pace del ministro Passera e dei suoi conflitti d’interesse.

Più recentemente l’economista ed editorialista del Corriere ha scritto di “una direzione sbagliata del governo, che procede alla creazione di più infrastrutture fisiche, quando ci vorrebbero infrastrutture immateriali, giustizia civile più veloce, cause di lavoro più certe e spedite, pagamenti rapidi della pubblica amministrazione alle imprese, lotta alla criminalità, un’università che produca  buon capitale umano e buona ricerca . “Più facile – ha scritto ancora Giavazzi  – costruire strade e ferrovie aumentando le tasse, che fare quelle riforme a costo zero che però toccano lobby potenti. Purtroppo non è ubriacandoci di asfalto e traverse ferroviarie che il Paese ricomincerà a crescere”. Ma a quanto pare tra tecnici non sempre si capiscono e malgrado lo stesso Giavazzi  sia stato chiamato dallo stesso Monti, con una certa generosità, a fare da consulente: è ormai l’era dei tecnici dei tecnici. Chi semmai appare in sintonia con Mario Monti è Elsa Fornero, e difatti il libro dà conto dell’antica consuetudine tra i due e il marito di lei Mario Deaglio: altro effetto dei salotti “bene” e dell’insegnamento accademico poi trasferito in sede governativa. Peraltro la prof. Fornero viene più volte ricordata con il soprannome che le avevano affibbiato i suoi studenti: Elsa la Belva. Avevano capito tutto molto prima di noi. Possiamo concludere con le parole di Sansonetti, forse fin troppo drammatiche, che poi danno un senso al titolo del libro: “Una grande restaurazione. Che come tutte le restaurazioni non ha niente di eroico, di nobile. E’ grigia, grigia, grigia…..”.

Edizione esaminata e brevi note

Augusto Grandi, 56 anni. Giornalista de «Il Sole 24 Ore», ha pubblicato numerosi libri di saggistica (economia, storia, politica) e di narrativa. Premio St.Vincent di giornalismo, faparte della giuria dell’Acqui Storia. Con i reportage di viaggio ha realizzato una mostra fotografica sullo sfruttamento del lavoro nel mondo.
Daniele Lazzeri, 38 anni. Scrittore e saggista, collaboratore di numerose riviste, è chairman del think tank di studi geopolitici ed economici «Il Nodo di Gordio» e responsabile del «Festival Nazionale della Sicurezza sul Lavoro». Direttore scientifico del Centro Studi «Vox Populi»
curato volumi su Ezra Pound, Ernst Jünger e saggi di politica internazionale.
Andrea Marcigliano, 55 anni. Saggista e scrittore, collabora con diversi giornali e riviste nelle pagine di politica internazionale e scenari geopolitici. Tra i fondatori della rivista di geopolitica e globalizzazione «Imperi», è autore di numerosi saggi – tra cui Ritorno ad Atene (Roma 2006) sui sociologi communitarians statunitensi, L’Aquila nel Sole (Pergine Valsugana 2011). Suoi lavori sono pubblicati in inglese, spagnolo, portoghese, russo e turco.“

Daniele Lazzeri, Augusto Grandi, Andrea Marcigliano, Il Grigiocrate. Mario Monti, nell’era dei mediocri, Prefazione di Piero Sansonetti, Fuorilonda (collana Interferenze), Arezzo 2012, pag. 175

Luca Menichetti. Lankelot, giugno 2012. Recensione già pubblicata su ciao.it il 26 giugno 2012 e qui parzialmente modificata.