Israel Giorgio

Per una medicina umanistica

Pubblicato il: 6 Dicembre 2020

Molti di noi si sono chiesti quali siano le reali motivazioni di tanti personaggi, apparentemente sani di mente, a votarsi al negazionismo e al complottismo del covid. Sicuramente alcuni di questi fenomeni hanno trovato la platea ideale per dare sfogo alla propria voglia di protagonismo, ma rimane il fatto che molte, troppe persone si stanno facendo tante paranoie sulla medicina in mano a loschi individui, alle multinazionali del farmaco che vorrebbero schiavizzarci, e così via. Intendiamoci: è del tutto ovvio, e la cronaca lo dimostra da sempre, come interessi inconfessabili orientino le azioni umane, anche in settori rischiosi come la salute umana. Fin qui niente di nuovo sotto il sole, niente di cui meravigliarsi; salvo si voglia immaginare che le fisiologiche querelle tra presunti luminari, magari gelosi della loro posizione accademica, nascondano sempre e comunque un complotto.

L’intento di Israel, nello scrivere questo suo breve ma densissimo e coltissimo libro, non era certamente quello di fare pura sociologia o di analizzare nel dettaglio i comportamenti dei pazienti; ed oltretutto non sappiamo cosa direbbe Giorgio Israel, se fosse ancora vivo, riguardo alla gestione della pandemia. Ma crediamo che il suo “Per una medicina umanistica”, ci possa far comprendere come una medicina, non più “arte medica” – intesa alla stregua dei greci come iatrikè téchne, non epistéme, considerata una sorta di attività artigianale che opera sintesi tra scienza, tecnica e arte – ma puramente basata su un approccio oggettivistico (che, a detta del nostro autore, sostituirebbe l’idea di “riparazione” a quella di “cura”), abbia potuto causare una diffusa sfiducia; tale da condurre alcune o molte persone, quelle meno dotate di cultura e buon senso, ad infognarsi nel rifiuto aprioristico e fanatico di ogni cura che venga dalle istituzioni scientifiche ufficiali. La tesi di Israel è chiara: senza una visione profondamente umanistica la Medicina non è più scienza, è altro. Non è più medicina se, aderendo al modello delle scienze fisico-matematiche esatte, diventando così scienza “oggettiva”, elimina dal suo orizzonte la pratica clinica. Di conseguenza “restringendosi a un approccio meramente analitico in cui la clinica non ha più alcun ruolo, il medico rischia di non ascoltare più il paziente e la sua richiesta di soccorso e di trattarlo come una macchina guasta”. Fermo restando che “l’unica scienza capace di offrire definizioni al di là di ogni contestazione è la matematica astratta moderna” (pp.73).

Tesi che Israel argomenta partendo dalla storia e dall’evoluzione della Medicina nel XIX secolo, soprattutto con l’analisi del pensiero di Claude Bernard, le cui idee sono state fondamentali per debellare “una quantità sterminata di malattie e per il miglioramento della salute umana” (pp.39). Allo stesso tempo il nostro, con un ragionamento che farà sicuramente irritare i simpatizzanti del Cicap, fa notare come gli sviluppi della concezione meccanicista siano andati ben oltre le intenzioni dello stesso Bernard: “la fuga in avanti verso una medicina che aggredisce la malattia e non si occupa del malato e del suo sentirsi malato […] rischia di essere un grave errore. Ripetiamolo fino alla noia: che la medicina voglia annettere al proprio arsenale tutte le conquiste della scienza è una scelta indiscutibilmente giusta e che non può che portare a progressi […] Ma la clinica è un aspetto fondamentale dal punto di vista della pratica medica. Non esiste alcunché di analogo alla clinica nelle scienze esatte. Essa non è affatto simile alla sperimentazione fisica, è qualcosa di molto più complesso. Ove si sottragga a tale confronto, il medico perde una rilevante dose di informazioni circa lo stato del paziente” (pp.69).

In altri termini la polemica è rivolta all’approccio operato nella medicina moderna, o quanto meno da gran parte dei medici, come a voler ridurre quella che un tempo era definita un’arte, “a una scienza meramente oggettivistica in analogia con le scienze esatte”. I motivi di questa scelta? Secondo Israel sono dettati da una sorta di pigrizia (“è molto più semplice esaminare quanto più possibile meccanicamente dei risultati analitici che non farsi carico di un esame complessivo e complesso della persona che ci sta di fronte”) nonché “dalla soggezione esercitata dalle scienze esatte, come se adeguarsi al loro metodo fosse l’unico modo per conquistarsi un biglietto d’ingresso al salotto buono della scienza” (pp.88). Un biglietto d’ingresso che ci porta pari pari all’annoso, se non secolare, confronto – scontro tra scienza e scientismo, tra scienziati e scientisti dei giorni nostri, ammesso e non concesso questi termini siano di facile definizione. Confronto che Israel di fatto accoglie senza citare la parola “scientismo”, semmai rilanciando, fino all’ultima pagina, la sua idea base di “Per una medicina umanistica”, ovvero, citando Georges Canguilhem, che “la scienza spiega l’esperienza ma non l’annulla per questo”.

Edizione esaminata e brevi note

Giorgio Israel, (Roma, 1945 – Roma, 2015) storico della scienza ed epistemologo, è stato membro della Académie Internationale d’Histoire des Sciences e professore dell’Università La Sapienza. È stato inoltre autore di più di 200 articoli scientifici e 30 volumi, nei quali ha esplorato il ruolo della scienza nella storia della cultura europea, analizzando in maniera critica l’idea di razionalità matematica e di meccanicismo.

Giorgio Israel, “Per una medicina umanistica. Apologia di una medicina che curi i malati come persone”, Lindau (collana “I Draghi”), Torino 2010, pp. 97.

Luca Menichetti. Lankenauta, dicembre 2020