Premuda Corrado

Trieste senza bora

Pubblicato il: 24 Luglio 2021

Per la collana Luci della romana Watson esce in questi giorni Trieste senza bora dello scrittore  Corrado Premuda. Tre racconti lunghi ambientati in una delle città più straordinarie d’Italia, autentico crocevia di storia, nazioni, arti. Una città già narrata da tanti, mentre spiegarla riesce a pochi, perché forse a Trieste bisogna nascere, o almeno vivere, viverci a lungo. Se no non la capisci, non comprendi come sia possibile entrare in mondi del tutto diversi appena ne esci o appena te ne allontani qualche decina di chilometri, e non importa la direzione. Tre racconti che hanno diversi motivi in comune: l’arte (musica, teatro, pittura), l’assenza della bora, questo fenomeno unico e caratterizzante di umori e paesaggi, ma anche (di conseguenza?) l’assenza della madre, che qui è la città dove si è nati o che in un misterioso modo ci ha generati e che richiama i figli lontani. E poi, naturalmente, Trieste con i suoi scorci, le sue strade, il suo volto di Adriatico non più sabbia e non ancora roccia.

Si torna, a Trieste, se non con il corpo almeno con la memoria, soprattutto con i ricordi. Trieste è la madre che ci ha abbandonati, dimenticati, respinti: sconosciuta, intravista, ritrovata. Mediatrice di riappacificazione in una piazza assolata e solitaria, tomba-memoriale di antiche radici, origine amata da cui però occorre fuggire per non restarne prigionieri. Manca la bora, forza vitale, voce lamentosa, questo vento nord-orientale che ripulisce luoghi e pensieri, increspa l’acqua e il cuore, soffia con una forza incredibile quasi a voler strappare tutto, ma non per distruggere, semmai per ricombinare storie ed eventi. Trieste è fatta di bora. Chi l’ha provata sa quanto tutto si inchini a un vento che si fa quasi stato mentale: la natura lo asseconda e ammantella la città di colline con una vegetazione resistente e bassa, mentre il mare la spinge dolcemente verso le sue spalle carsiche, labirinti intricati e perfetti per nascondere segreti bellici di ogni epoca.

Senza bora, Trieste ristagna, langue, soffoca. Se ne accorge la protagonista del primo racconto, una famosa cantante di musica leggera che avrebbe voluto declinare altrimenti lo spartito della propria vita, e che torna alla sua città richiamata dalla madre o dal ricordo di lei. Ed è senza bora la Trieste del secondo racconto, nel quale una strana compagnia di accademici e ricercatori, manager e segretarie accompagna un famoso regista teatrale polacco alla ricerca dell’ispirazione per quello che forse è un ultimo lavoro sulla storia dell’Europa passata di qui: l’incontro con la città diventa occasione di ben altre scoperte. Nel terzo racconto la bora manca a Trieste ma si è in un certo modo trasferita a Parigi, dove in un atelier di pittura un’artista deve fare i conti con un passato che non sembra riuscire ad accettare e l’antica città è soprattutto memoria di luoghi e volti: di essa le parla la madre in tristi resoconti telefonici che la dipingono come ormai in avanzata decomposizione, preda dei colombi e della decadenza.

Trieste senza bora non è più Trieste. Diventa regno dei sogni, del passato glorioso (quello asburgico delle bandiere gialle e nere, quello elegante dei caffè, dei teatri e dei musei e non ultimo quello del confine conteso), come il tempo della giovinezza ormai perduto, delle scelte fatte e delle spalle voltate. Chi ha avuto a che fare con Trieste, può dover tornare a recuperare qualcosa che certamente ha dimenticato lì. Cose da buttare che si ammassano, immagina il regista polacco – oggetti abbandonati che perdono un significato simbolico e acquistano fascino estetico. Occorre una “macchina per ritornare”, perché a Trieste bisogna proprio volerci andare apposta, non è sulla strada per nessun altro posto. Ma anche i ritorni non sono scontati: che si torni da vincitori o da sconfitti, non si sa come si verrà accolti. Destino di tutti i reduci, anche dei reduci emotivi, come i protagonisti dei tre racconti che Premuda con scrittura sapiente e appassionata innesta nella sua Trieste, quella piena di vento.

Il vento si insinua tra strade e vicoli, scompiglia i pensieri e gli equilibri mentali, si posa sugli scrittoi, entra senza bussare nelle botteghe e nelle case umide, sferza il mare e le pietre dei palazzi, scende dal Carso portando con sé echi di altri luoghi e di altre epoche, plasma la gente e la rende a volte euforica, a volte semplicemente matta.

Trieste senza bora è un gatto accovacciato che fa le fusa all’Adriatico, ma stare fermi non è prerogativa del mare, né del vento. E neppure dei gatti.

Mi piace il vento. Il vento fa bene. Anche quando soffia in testa e ti fa venire l’emicrania. È un farmaco della natura, il vento. Il mare e il vento sono i due elementi che rendono grande la piccola città di Trieste. Una città fantastica… [p. 105]

Edizione esaminata e brevi note

Corrado Premuda è autore di libri per ragazzi, tra cui Un pittore di nome Leonor (Editoriale Scienza, 2015), La Barcolana dei bambini (Nutrimenti, 2017) e Trieste (Edizioni EL, 2020). Scrive testi per il teatro e collabora alle pagine culturali del quotidiano Il Piccolo. Un suo romanzo, ancora inedito in Italia, è stato tradotto e pubblicato in Croazia. Il suo blog è motivipersonali.home.blog [notizie tratte dal sito www.ilfriuliveneziagiulia.it] e il suo sito http://www.corradopremuda.com/

Corrado Premuda, Trieste senza bora, Watson, Roma, 2021, 120 p.

 

Ilde Menis, luglio 2021