“Non vi ho mai scritto senza provare la sensazione che siate la mia unica famiglia al mondo, al di fuori dei legami che ho già. E mi sento addolorato quando finisco di scrivervi, è come dirvi addio per molto tempo […] Clape wa-wa’ (addio) gug gug (cari). J.M.Barrie” (pp.94). Purtroppo da lì a poco l’addio epistolare di James Matthew Barrie a Robert Louis Stevenson, risalente all’11 ottobre 1894, si rivelò un addio definitivo visto che il celebre autore di “L’isola del tesoro” morì meno di due mesi dopo. Parole che testimoniano un rapporto di amicizia tra due grandi scrittori, ambedue di origine scozzese, che, malgrado l’immensa stima reciproca, non riuscirono mai ad incontrarsi. Mancato incontro più che comprensibile se si pensa che Stevenson, dopo un gran girovagare nel Pacifico, si era stabilito a Vailima, piccolo villaggio montuoso nell’isola di Samoa.
Tant’è la pubblicazione di questo epistolario – recuperato recentemente dagli archivi della Beinecke Rare Book and Manuscript Library di Yale – poi proposto in Italia per i tipi della Lorenzo de’ Medici, risulta importante anche dal lato strettamente letterario e non soltanto documentale. Barrie e Stevenson innanzitutto si scambiano opinioni spesso piuttosto taglienti sulla letteratura, sui loro colleghi. Si pensi ai giudizi sull’opera di Thomas Hardy: “Persino Hardy mi ha deluso quest’ultima volta con ‘Tess of the D’Urbevilles’ per essere, per quanto ho potuto leggervi, così genuinamente languido e falso verso ogni fatto e principio della natura umana che Hardy dovrà riprendersi in almeno due opere prima che io possa perdonarlo” (R.L.S.); “Non ho mai osato rivelare la mia opinione a nessuno su ‘Tess’ ma ho sempre pensato che ci fosse qualcosa di sbagliato, ed è un sollievo per me scoprire che anche voi siete della mia opinione. Che bizzarro miscuglio di umorismo e mancanza di umorismo c’è in Hardy” (T.B.).
Ma soprattutto Michael Shaw, lo scopritore dell’epistolario, leggendo le opere di Barrie si è reso conto di quanto le corrispondenze e le numerose allusioni di Stevenson abbiano influenzato la successiva produzione letteraria dello stesso Barrie; al punto da affermare che “le strane frasi usate da Stevenson nelle sue lettere si insinuano nelle storie di Barrie e Peter Pan è stato collocato nello stesso mondo immaginario dell’Isola del tesoro”.
Immaginario costruito anche nell’epistolario, quasi per creare un rapporto di familiarità più profondo. Basti pensare, invocando le comuni origini scozzesi, la costruzione di una fittizia genealogia, tale da creare tra i due un legame di sangue: “Tuttavia, prima di iniziare, ascoltate questo. Gli Ogilvy e i Balfour sono una grande famiglia. Vostra madre è una Balfour, la mia è una Ogilvy. Non è necessario che entri nei dettagli, ma è chiaro che Tamitai è mio cugino […] (pp.65). Legame che nasce e resiste a prescindere dalle invenzioni di Barrie, non fosse altro per la considerazione che Stevenson aveva del suo più giovane ammiratore: “Sono un artista capace, ma mi sembra che voi siate un genio. Abbiate cura di voi per il mio bene” (pp.28).
In sostanza un rapporto epistolare particolarissimo, in cui i due “amici sconosciuti”, giocando con le parole, giocano anche “sulle rispettive vite e famiglie con divertita e sorprendente intimità”; con una tale libertà che sulle parole di Barrie qualcuno avrebbe anche potuto ricamarci sopra – “Ad essere sincero, ho scoperto (lo sospettavo da tempo) che vi amo, e se voi foste stato una donna…” (pp.36) – osservando che successivamente si scoprì probabile omosessuale. L’aspetto centrale dell’epistolario è quindi un umorismo dispensato a piene mani dai due autori. Umorismo da un lato inevitabile viste le personalità e i precedenti letterari dei due, che per essere davvero apprezzato ha avuto comunque la necessità di un folto corredo di notazioni, dal momento che gran parte delle allusioni, frecciate, controversie riguardano argomenti, non soltanto amorosi o familiari, ma pure politica, gossip, letteratura del tempo, citando opere e autori ai nostri giorni ormai prevalentemente poco frequentati.
È stato scritto che spesso a cogliere la grandezza di uno scrittore non è stato un critico letterario, ma piuttosto un altro grande scrittore, come appunto abbiamo potuto leggere nel caso dell’epistolario tra R.L.Stevenson, e J.M. Barrie. Dove però, senza alcun conflitto d’interessi oppure scambi di favori, l’amicizia era vera e sincera.
Edizione esaminata e brevi note
Robert Louis Stevenson, (1850-1894) è uno dei grandi classici della letteratura di lingua inglese. Autore di romanzi come L’isola del tesoro e Il Signore di Ballantrae diede vita a racconti memorabili fra cui spicca Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde. Fu anche autore di storie ambientate nella Polinesia in cui trascorse gli ultimi anni della sua breve esistenza.
James Matthew Barrie, (1860-1937), romanziere e drammaturgo, deve la sua fama alla creazione del personagio di Peter Pan che, nella serie di romanzi e racconti a lui dedicati, rimane il suo massimo capolavoro. Scrisse altre raccolte di racconti per adulti e ragazzi. Robert Louis Stevenson disse di lui: «Io sono un artista, lui è un genio».
Robert Louis Stevenson, James Matthew Barrie, “Mio carissimo amico. Le lettere fra l’autore dell’Isola del tesoro e il creatore di Peter Pan”, Lorenzo de’ Medici Press, Firenze 2024, pp. 96. Introduzione, traduzione e cura di Priscilla Gaetani
Luca Menichetti. Lankenauta, gennaio 2024
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