Sonnet Jean Pierre

Il canto del viaggio

Pubblicato il: 7 Gennaio 2015

Chiunque di voi fa parte del suo popolo, il suo Dio sia con lui e salga”. (2Cronache 36,23)

Così si conclude l’ultimo libro della Bibbia ebraica, che riprende qui l’editto di Ciro che nel 538 a.C autorizza il ritorno degli esiliati d’Israele.

La Bibbia è un libro di cammini, di partenze e arrivi e ancora di partenze, a iniziare da Abramo. L’homo viator sembra essere una figura ricorrente, ma il primo itinerario, ci dice l’autore, è quello della lettura.

Leggere è entrare, aggrappati al mantello di un Messia itinerante, nel ritmo di un camminare tenace. È prendere con lui strade non sue, quelle che mai si sarebbero prese. È seguire le orme delle due o tre Marie, correre con Giovanni, correre con Pietro, verso una tomba rimasta a bocca aperta, una pietra rotolata”.

In brevi capitoli, costellati di citazioni, Sonnet ci fa condividere i cammini di vari personaggi biblici come Abramo, l’uomo che si è fidato di Dio e della “via lunga” che gli veniva indicata. L’antico patriarca è l’homo viator per eccellenza, avendo vissuto da straniero nella Terra promessa. Troviamo poi Mosè, colui che ha condotto il popolo ebraico fuori dall’Egitto, dove era tenuto in schiavitù. Durante questo lungo percorso la sollecitudine di Dio invia la manna per nutrire il popolo, fa scaturire acqua dalla roccia, guida le tribù con una nuvola, quella che Erri De Luca (citato da Sonnet) definisce una nuvola come tappeto, indicando così l’ombra mobile che proietta la nube e che forma una sorta di tappeto. Allo stesso modo la Bibbia stende un tappeto di parole su cui procedere.

Di episodio in episodio si comprende che il testo sacro è un libro di perenne cammino e che, evocando gli itinerari compiuti nel passato dal popolo ebraico, vuole continuamente riproporre ai lettori un pellegrinaggio.

Dopo Abramo e Mosè, figure fondatrici delle “uscite” di Israele, ecco il profeta Elia, l’uomo del ritorno alle sorgenti, all’Oreb, la montagna sacra.

Tutta le storia d’Israele è centrata sul dono della terra da abitare, ma il calendario liturgico ebraico vuole continuamente ricordare al popolo la dinamica del pellegrinaggio, della partenza. Ecco allora tre feste, legate al ciclo agrario, in cui salire davanti al Signore: Azzimi (associato a Pesach-Pasqua), le settimane, che noi chiamiamo Pentecoste e Sukkot, le Capanne, al tempo della vendemmia. I salmi cantano queste feste e parlano anche di salite (salmi 120-134, i quindici “canti delle salite”).

In questo contesto storico di movimento si colloca Gesù, l’uomo che cammina, come scrive Christian Bobin, il messia itinerante, che chiama gli apostoli a seguirlo, che si sposta per la terra d’Israele e infine sale deciso a Gerusalemme. I suoi seguaci, i cristiani, vivranno il pellegrinaggio non più solo verso un luogo, ma incorporandosi a Cristo in cammino.

Da allora per i cristiani il pellegrinaggio non si fa più verso un luogo ma incorporandosi alla persona di Cristo in cammino. Il “luogo santo” cede il posto allo “spazio” simbolico del corpo del Messia pasquale e pellegrino, che finisce la sua corsa in quella delle esistenze umane”.

Naturalmente i fedeli continuano a recarsi in Terrasanta, ma sapendo che il Cristo non è più lì, è risorto e li precede e li raggiunge come i due di Emmaus. “Io sono la via” dice il Cristo giovanneo e la via adesso è fatta dai racconti evangelici, dalle parole che pronuncia il Risorto, facendo ardere il cuore nel petto dei due di Emmaus.

Quanto ai vangeli, traboccano di figure in cammino come Maria che, già incinta, solerte, si reca dalla cugina Elisabetta. È una scena bellissima su cui Sonnet si sofferma con l’aiuto della “Visitazione” di Jacopo da Pontormo. E ancora, i cammini delle due o tre Marie e la corsa di Giovanni e di Pietro verso il sepolcro vuoto il mattino di Pasqua: tutto è movimento, è strada, via lungo la quale è possibile anche incontrare degli angeli, mandati in aiuto da Dio.

Leggere è camminare, procedere lungo lo stretto sentiero delle parole, con gli occhi fissi sul punto dove appoggiarsi, con gli occhi anche alzati a ogni curva di strada, a ogni cresta, quando si apre l’orizzonte e si intuisce meglio la strada percorsa e quella che attende”.

Una volta giunti alla fine del viaggio e del libro ci si volge indietro per capire il come e il perché del cammino, della successione degli episodi e se ne vede il compimento. Così è per la Bibbia: il lettore “è un altro Giuseppe e intuisce l’arte del Dio di Giacobbe di “volgere in bene” tutto il male di cui gli uomini sono capaci, le miserie che i fratelli si infliggono (cf. Gen 50,20). O ancora, acconsentendo all’insieme del percorso si sorprende a ridire le parole del camminatore di Emmaus: “Non bisognava?”. Ma per quanto in alto si giunga in sapienza e fede, la Bibbia lo invita a ripartire, a rimettersi in cammino: “E salga”.

Articolo apparso su lankelot.eu nel gennaio 2015

Edizione esaminata e brevi note

EDIZIONE ESAMINATA E BREVI NOTE

Jean-Pierre Sonnet, Il canto del viaggio Camminare con la Bibbia in mano, edizioni Qiqajon, Comunità di Bose 2009. Traduzione dal francese di Davide Varasi, monaco di Bose.

Jean-Pierre Sonnet (Lovanio 1955), gesuita belga, è professore di sacra Scrittura presso la Pontificia università gregoriana a Roma e responsabile della collana “Le libre et le rouleau” presso le edizioni Lessius.