Padri della Chiesa

L’atto del leggere

Pubblicato il: 2 Aprile 2007

Una piccola antologia di pensieri e consigli dei Padri della chiesa d’oriente e d’occidente sulla lettura e sui libri: un testo insolito, che mette in luce, attraverso parole antiche, aspetti assai moderni della lettura e rivela gusto estetico, passione per questi prodotti dell’umano ingegno, attenzione sottile alla vita interiore e alla formazione dell’uomo.

Il libro è strutturato internamente quasi come un piccolo manoscritto: sul frontespizio campeggia la parola Bibliotheca (come ricorda Guido Dotti nella sua bella prefazione, fino al IX secolo questo termine indicava la raccolta dei vari codici in cui erano divisi gli scritti dell’Antico e del Nuovo Testamento, era sinonimo di Bibbia), vi sono un incipit e un explicit con citazioni.

Nel mezzo una serie di brani dei più diversi Padri della chiesa, posti in ordine alfabetico: forse sarebbe stato preferibile un ordinamento cronologico, ma una tale successione richiama il metodo acrostico di molti testi antichi, tra cui anche alcuni salmi. È una sequenza neutra, molto scorrevole e pacata.

Fin dall’inizio colpisce la modernità di alcune osservazioni:

“Chi di voi, dimmi, trovandosi a casa, prende in mano un libro cristiano, esamina ciò che vi è scritto ed esplora le Scritture?

Nessuno, si può dire. Potremo trovare, nelle case dei più, scacchi e dadi, in alcun modo libri, se non in pochi casi. E costoro fanno come quelli che non ne hanno, tenendoli chiusi oppure conservandoli addirittura in scrigni. Tutta la loro cura è rivolta alla qualità della pagina o alla bellezza delle lettere ma non alla lettura.

Essi non li hanno acquistati per ricavarne un utile o un vantaggio, ma nella convinzione che si tratti di una esibizione di ricchezza e di prestigio, per questo si sono dati da fare: a tale esasperazione arriva la vanità” (Giovanni Crisostomo, p. 103).

L’assenza di libri negli scaffali, la scarsa frequentazione della parola scritta costituiscono tuttora un problema e un oggetto d’inchieste e statistiche mediatiche. I Padri esortano i monaci a leggere, meditare, interiorizzare e diffondere i testi e a trarne così i frutti migliori.

Vi sono, tra i vari brani riportati, alcuni temi ricorrenti, alcuni richiami – anche testuali – tra una testimonianza e l’altra che aiutano a orientarsi e mostrano come una tradizione secolare sia stata ripresa e tramandata, custodendo appassionatamente gli insegnamenti migliori di ciascun maestro.

Il testo principe cui i Padri fanno riferimento è naturalmente la Bibbia, il libro dei libri, ma la “Disciplina di Farfa”, curioso documento dell’XI secolo contenente l’elenco dei libri dati in lettura ai monaci del monastero di Farfa all’inizio della Quaresima, testimonia che anche altri testi venivano letti: commenti o omelie dei Padri alle Scritture, testi di Agostino, Ambrogio, Basilio, Gerolamo, Rabano Mauro, Gregorio Magno, Cipriano e pure Le Storie di Tito Livio.

Basilio consiglia: “… bisogna avere familiarità con i poeti, gli storici, gli oratori e tutti quegli uomini che potrebbero risultare di una qualche utilità per la cura della nostra anima” (p. 56).

Di ogni libro bisogna cogliere il meglio, ciò che è utile.

“Con sapienza raccogli quanto vi è di utile

ed evita con giudizio il danno.

Imita l’operato dell’ape saggia,

che si va a posare su tutti i fiori

e con competenza da ognuno

sugge il buono, avendo la natura

stessa per maestra.

[…]

scarta le spine e cogli la rosa” (Gregorio Nazianzeno, pp. 113-114).

L’immagine dell’ape viene più volte ripresa e non manca il gusto del raccontare exempla edificanti a scopo esplicativo e didattico.

Aldelmus, vescovo di Sherborne dell’VIII secolo costruisce addirittura un gustoso indovinello.

Ampie istruzioni vengono impartite anche sul modo di leggere, Benedetto prevede l’istituzione di frati guardiani che, durante le ore di lettura, controllino che ciascun monaco si dedichi con impegno a quest’attività. I rimproveri verso i pigri, gli accidiosi, gli annoiati e tutti coloro che rifiutano di applicarsi con intelletto sveglio ed animo disponibile all’apprendimento sono costanti.

Le motivazioni a sostegno di questa nobile attività sono fondamentali: si legge per esser forti nell’ora della prova, per ascoltare la Parola divina.

Parliamo con lui [Cristo] quando preghiamo, egli parla a noi quando leggiamo i divini oracoli” (Ambrogio, p. 46).

Quando leggi Dio parla con te” (Agostino, p. 39).

Alla lettura deve seguire la meditazione sui testi, la cosiddetta «ruminatio», che porta ad interiorizzare e a far tesoro dell’insegnamento dei libri: è la lectio divina fatta “con l’intelletto, l’anima e la ragione” (Gregorio il Sinaita, p. 110), che tra i suoi frutti porta la preghiera e l’azione, in modo che quanto appreso non rimanga lettera morta.

Non vi è però soltanto l’aspetto didattico, i Padri non sono insensibili al fascino della bellezza e così Gerolamo consiglia di leggere “ non per affaticarti, ma per tuo diletto e formazione spirituale” (p. 93).

Il più bello è il ritratto di Ambrogio che legge fatto da Agostino:

“Quando non era impegnato con la gente, e si trattava di pochissimo tempo, o ristorava il corpo con il necessario sostentamento o l’anima con la lettura.

Nel leggere scorreva le pagine con gli occhi e la mente era intenta a penetrarne il senso, mentre la voce e la lingua riposavano. Spesso entrando – a nessuno infatti si impediva l’ingresso e non si usava farsi annunciare – l’abbiamo visto leggere in silenzio, mai diversamente” (p. 37).

Un’abitudine insolita visto che nel Medioevo la prassi era quella di leggere a voce alta.

Traspare tra le pagine un vero, grande amore per la conoscenza ed anche per il libro come oggetto, che ci riporta a epoche in cui la struttura stessa, l’aspetto del libro, o meglio del testo scritto, era molto differente.

Il libro era prezioso, come testimonia Anselmo riferendo del ritrovamento di un testo che si temeva perduto.

I monasteri erano i luoghi in cui il sapere veniva custodito e tramandato con certosina pazienza, con passione ed amore. E qui, di fronte a certe raccomandazioni inviate ai copisti l’immaginazione corre subito ad alcune descrizioni de “Il nome della rosa” di Eco.

I copisti, che svolgevano un’attività che a noi oggi può sembrare estremamente noiosa, venivano esortati, consigliati e motivati nel loro lavoro, essi predicano “agli uomini con la mano” (Cassiodoro, p. 65), hanno il compito di diffondere la Scrittura e così di offrire a molti occasione di ravvedimento dai loro peccati o vizi e di trasmettere loro “il desiderio della patria celeste” (Guigo I, p. 118)

In tempi in cui il sapere era ristretto a pochi, vi è il desiderio di custodirlo, tramandarlo e divulgarlo: chi tiene i libri chiusi sotto chiave viene paragonato da Isidoro di Pelusio a colui che aveva prodotto e immagazzinato molto grano senza darlo al popolo che ne aveva bisogno. Costui finì colpito da pietre e incenerito. I libri costituiscono un tesoro che ci è stato affidato e che va messo a disposizione, non sepolto perché venga divorato dalle tarme.

Naturalmente è necessario anche non esagerare per non cadere nella smania di possesso e in un’erudizione labirintica e superba, il libro non deve diventare fine e sé stesso e l’umiltà dev’essere sottesa a qualsiasi lettura.

Il discernimento deve esser guida per non cadere in eccessi vani e dispersivi.

L’elogio più appassionato dei libri è però quello del cardinal Bessarione (1403-1472), instancabile ricercatore di manoscritti greci “dopo la rovina della Grecia e la compianta cattività di Bisanzio” (p. 60).

Egli raccolse i documenti in trenta casse e da Roma li inviò, nel 1469, al doge di Venezia, creando con questa donazione la base della Biblioteca Marciana.

I libri sono pieni di insegnamenti, sono pieni degli esempi degli antichi, sono pieni di tradizioni, di leggi, pieni di sentimenti religiosi, essi vivono, si intrattengono in colloquio e parlano con noi. Ci istruiscono, ci formano, ci consolano e fanno sembrare quasi presenti, ponendocele sotto gli occhi, cose che sono lontanissime nella nostra memoria. Tale è la loro potenza, tale la dignità, tale la maestà, tale perfino la sacralità che, se non ci fossero i libri, noi saremmo tutti ignoranti e rozzi e non avremmo quasi nessuna memoria del passato, nessun modello, nessuna conoscenza delle cose umane e divine; la stessa urna che accoglie i corpi cancellerebbe anche la memoria degli uomini” (pp. 59-60).

articolo apparso su lankelot.eu nell’aprile 2007

Edizione esaminata e brevi note

Padri della Chiesa, “L’atto del leggere. Il mondo dei libri e l’esperienza della lettura nelle parole dei padri della chiesa”, Edizioni Qiqajon, Comunità di Bose 2004.

Introduzione, traduzione e note a cura di Lucio Coco. Prefazione di Guido Dotti, monaco di Bose.

A Elena F., che mi offre sempre nuove prospettive di lettura