Coe Jonathan

La banda dei brocchi

Pubblicato il: 4 Settembre 2006

Berlino, 2003. Notte. Due giovani, Patrick e Sophie, stanno cenando in un ristorante sulla cima della Fernsehturm sopra Alexanderplatz. Parlano dei loro genitori e dei loro zii, degli anni Settanta, “tempi marroni”, quasi preistoria per loro: anni senza cellulari, senza playstation o fax o pc in tutte le case, anni in cui i dischi sono ancora in vinile.

“Un mondo che non ha mai sentito parlare della principessa Diana o di Tony Blair, non ha mai pensato neanche per un attimo di andare a combattere in Kosovo o in Iraq. A quei tempi in tv c’erano soltanto tre canali, Patrick. Tre! E i sindacati erano tanto potenti che se volevano potevano bloccarne uno per una serata intera. A volte la gente doveva anche fare a meno dell’elettricità. Immagina!” (p. 9)

Il romanzo di Coe racconta la storia di un gruppetto di ragazzi che frequentano una scuola piuttosto elegante di Birmingham, nella quale si ritrovano figli di sindacalisti, di lavoratori e d’impiegati.

Trotter, Anderton, Harding e Chase: spesso l’autore li chiama per cognome come a scuola e ne delinea i caratteri, la formazione, la provenienza sociale, le idee, li segue fino alle soglie dell’università, perché a proseguire gli studi sono destinati, a salire un gradino più su dei loro genitori nella scala sociale.

Il titolo richiama una canzone della band progressive Hatfield & the North, nota in Inghilterra negli anni Settanta, e si riferisce a questi adolescenti come a coloro che generalmente vengono definiti un poco imbranati, le schiappe, quelli che nelle dinamiche di gruppo non risultano particolarmente appariscenti o affascinanti con le ragazze, pur avendo poi un buon rendimento scolastico in quasi tutte le materie.

Orchestrando una trama piuttosto complessa con storie che s’intrecciano e con molti personaggi, Coe crea da un lato un romanzo di formazione, dall’altro un affresco storico sociale degli anni Settanta, caratterizzati da accese lotte sindacali (uno dei genitori dei ragazzi è appunto sindacalista), ma anche dai terribili attentati dell’IRA e dalle loro devastanti conseguenze.

È il disagio di un’intera generazione quello che traspare dal romanzo: degli adolescenti, spesso vittime dei loro complessi, delle loro incertezze, di amori solo vagheggiati per il timore di farsi avanti e rivelarsi o esaltati dalle prime esperienze sessuali folgoranti, e parallelamente dei loro genitori, alle prese con i problemi lavorativi, con tradimenti coniugali e ritrovamenti successivi e spesso prigionieri della loro mediocrità o ignoranza.

Le vicende storiche di quegli anni vengono presentate attraverso la lente del quotidiano e non con la pretesa di giudicarle e di capirle, senza enfasi, mostrandone le conseguenze dirette nella vita dei cittadini. Sono anni roventi a loro modo, che preludono all’avvento del terribile governo Thatcher.

Coe stesso non nasconde l’influenza di Dickens per quanto riguarda l’affresco storico.

Degno accompagnamento ai fatti è la musica di quel periodo che Coe mostra di conoscere piuttosto bene. Gli stessi ragazzi tenteranno di creare una loro band musicale e Ben, uno di loro, si diletterà a comporre.

È proprio sul personaggio di Benjamin Trotter Coe si sofferma particolarmente: Ben è il suo alter-ego, l’archetipo dello scrittore. Di famiglia impiegatizia, è introverso e timido con le ragazze, negato per le attività sportive e per la competizione, non è certo un ribelle.

“Lo spirito di ribellione giovanile che anima la maggior parte dei ragazzi della sua età, nel suo caso, si esauriva nell’ammirazione per Harding [lo sbruffone della scuola]e il suo umorismo diabolico e anarchico. Benjamin riusciva a essere un dissidente soltanto per procura” (p. 73).

Ben ama comporre musica (che spesso non ha il coraggio di far ascoltare) e sa scrivere bene, ha letture differenti rispetto alla maggior parte dei coetanei che si limitano a Tolkien, lui si occupa di Fielding, Conrad, Joyce, collabora con buoni risultati a “La Bacheca”, la rivista della scuola, narra trasfigurandole le vicende delle sue vacanze estive.

Ben è spesso un poco estraniato, fantastica di composizioni artistiche o musicali da far ascoltare alla ragazza che vagheggia.

Ben è sensibile e riesce a riportare alla vita la sorella, precipitata in un grave stato depressivo dopo essere sopravvissuta ad un attentato dell’IRA, le parla anche se lei non risponde per lunghi periodi, ascolta, ascolta tutte le avventure scolastiche e gli aneddoti che il fratello le riporta.

Ben ama isolarsi e cercare conforto nell’arte (anche in una sua religione a volte, ritenendo infatti di aver ricevuto da Dio un «favore» particolare in un momento di difficoltà), periodicamente non si sente sicuro della sua vocazione alla scrittura, si ritiene un disastro quando viene nominato prefetto a scuola e non riesce a farsi rispettare dagli allievi più giovani e soprattutto, a differenza di Doug Anderton, figlio di un sindacalista, Ben dubita, non gli sembra che la verità stia da una parte sola. Osserva i fatti d’attualità, le loro conseguenze nella sua stessa famiglia o in quella di qualche amico, ma non riesce ancora a trovarvi un senso, un nesso preciso: sembra che la storia si voglia accanire, da sempre – e lo testimonia l’inserimento di un racconto ambientato durante l’occupazione nazista della Scandinavia – contro un quotidiano sereno e contro promettenti storie d’amore.

Soltanto nell’ultima parte, strutturata come un monologo interiore di Ben, forse s’intravede un barlume “fantasia e memoria, ecco, sono queste le mie armi nella lotta contro il tempo, la mia scommessa con l’infinito, finché ho loro non ho niente da temere” (p. 349).

Ben percepisce che non può sfuggire al presente e che non potrà cambiare il mondo, ma può rivisitare il passato e immaginare il futuro, la sua vita con la ragazza di cui è innamorato e che finalmente ha conquistato e le serate che organizzeranno a casa loro (“ti stai immaginando il futuro del futuro e quello che la gente ricorderà dei loro potenziali passati quando ci arriverà” p. 355).

Ancora non è consapevole, come l’autore, che quegli anni preludono a ben altro: alla Thatcher, alla guerra in Iraq, allo strapotere americano.

Strutturalmente il romanzo è racchiuso in una breve cornice (l’incontro di Patrick e Sophie nel 2003), ha uno stile curato, a tratti ironico e divertente, è ricco di sorprese e di sbalzi temporali che lo rendono movimentato.

Le strutture tradizionali regolari vengono frantumate da Coe, creando effetti cinematografici, l’intero testo – se si vuole – è una sorta di immenso flashback, vi è una struttura a richiami, per cui quel che accade a un personaggio può trovate riscontro in ciò che accade ad altri molto più avanti.

Sono presenti anche tecniche classiche di narrativa, ad esempio le vicende di un personaggio possono rimanere sospese per numerose pagine prima che si scopra quel che gli è realmente accaduto, magari attraverso le parole di un altro. Coe attua una mistione di generi, vi sono l’articolo di giornale, il diario (quindi il passaggio dalla terza alla prima persona), l’intervista, il racconto in prima persona, il monologo interiore finale, dimostrando una straordinaria abilità nel mutar genere e nel gestire organicamente il tutto.

Alla fine del libro Coe assicura un seguito a “La banda dei brocchi”, intitolato “Il circolo chiuso”, uscito nel 2005, che riprenderà il racconto alla fine degli anni Novanta, con i personaggi ormai adulti.

Articolo apparso su lankelot.eu nel settembre 2006

Edizione esaminata e brevi note

Jonathan Coe (Birmingham, 1961) scrittore inglese. Si è laureato a Cambridge e a Warwick. Ha scritto due biografie (di Humphrey Bogart e di James Stewart) e numerosi romanzi: “Donna per caso” (1985), “Questa notte mi ha aperto gli occhi” (1996), “La famiglia Winshaw” (1995), “La casa del sonno” (1998), “L’amore non guasta” (2000), “Il circolo chiuso” (2005).

Jonathan Coe, “La banda dei brocchi”, Feltrinelli, Milano 2002. Traduzione di Roberto Serrai.

Titolo originale “The Rotters Club”, 2001.

Approfondimento in rete: intervista a Jonathan Coe.