“Tutti questi zainetti, Antonella, queste stanze di dormitorio, tradizioni del posto, calzini sporchi, e-mail, lingue diverse, birrette, libri in prestito, mercati… Tutte cazzate, te lo ripeto: la famosa ‘gente da tutto il mondo’, come immaginavo, non esiste. I cinesi? Dove li metti i cinesi, Antonella? E hai mai incontrato in ostello un iraniano? E pensa all’Africa quanto è grande… L’hai mai visto uno del Burundi fare l’autostop in Bolivia? Eccola la tua gente da tutto il mondo: i paesi dominanti, le economie forti, i figli giocherelloni dei colonizzatori.” (pp.10-11)
La terra vista dalla luna, dagli occhi di Simon, un giovane psicotico pieno di manie ossessive e di (mal)sano disprezzo per l’umanità che lo circonda. Forse non proprio tutta l’umanità, perché qualcuno – una ragazza, Antonella – pare aver fatto breccia nella sua fortezza interiore. Una fricchettona alternativa conosciuta in uno dei tanti periodi di soggiorno in un ospedale psichiatrico, colei che è riuscita a entrare nella sua cameretta, a dargli fiducia fino ad indurlo a violentare le sue stesse paure. Per Simon evadere dalla propria cameretta non è stato semplice: confrontarsi col mondo esterno, esporsi a quell’aria colma di microbi e batteri, fino a decidere di partire, prendere addirittura un aereo, andare in Messico, soggiornare in uno di quegli ostelli lerci pieni di viaggiatori alternativi provenienti da tutto il mondo. Tutto per lei, solo per cercare la sua cara amica. Antonella, partita per il Messico qualche mese prima in cerca di avventure equo solidali e mai più tornata. Di Antonella si sono perse di colpo le tracce, precedentemente aggiornate da e-mail collettive in cui raccontava le sue giornate alternative-equo solidali, nelle quali era solita intrattenersi con caratteristici personaggi del luogo:un disgraziato perseguitato dalle autorità locali, una ragazza che ha carenza di vestiti nuovi, un ragazzo che sferza colpi di kung fu al mercato per alzare quattro soldi, e un altro a cui servirebbe una moglie occidentale che lo aiutasse a mantenere i suoi numerosi familiari. Tutte mail di richieste d’aiuto per i “bisognosi”, a cui Simon risponde – non richiesto – con forti dosi di sarcasmo. Ma chi è Simon per Antonella? Nella sua unica mail di risposta alle contro mail del ragazzo dice di essere stufa di ciò che egli scrive, che pur provando simpatia loro due sono semplici conoscenti, uniti esclusivamente dal tempo dell’internamento nell’ospedale psichiatrico, non amici del cuore. Eppure Simon è entrato prepotentemente nel mondo di Antonella, fino a presentarsi alla madre della ragazza – una sessantottina fuori tempo massimo, cannarola, frustrata è po’ troia: un po’ tanto – come il suo migliore amico. Ma ora il punto è un altro. Adesso che Simon è in Messico deve trovare Antonella, pur distratto dalle procaci forme di una yankee d’origine colombiana, che si dichiara femminista e zapatista, una delle tante viaggiatrici equo solidali soggiornanti in ostello. E allora si va sulle tracce del sub comandante Marcos, mito incontrastato della colombiana, un po’ perché la fica è fica, un po’ perché il rebus Antonella diventa sempre più un rompicapo.
Dopo Actarus, brillante allegoria delle perverse dinamiche che sono alla base della società occidentale contemporanea, trasfigurata nel volto di un eroe amato e invincibile, ma depresso e alienato perché improvvisamente consapevole d’essere anch’egli una marionetta del sistema, Morici era atteso a una difficile riconferma. E La terra vista dalla luna è più che una semplice riconferma, è l’esplosione totale di un talento narrativo fuori dalle solite logiche d’intrattenimento che palesa la capacità – davvero rara – di fotografare la realtà con istantanee corrosive che scavano solchi profondi dell’intimo del lettore. E non mi riferisco solo al realismo e al cinismo-sarcasmo delle sue ricche descrizioni, ma anche all’immediatezza di un linguaggio tanto essenziale quanto denso di immagini che si intrecciano e si sovrappongono alla velocità della luce, mantenendo, con esiti sorprendenti, linearità e consequenzialità del discorso. Tante immagini che restano, un originale percorso che il lettore vive per intero e riesce a seguire senza mai perdere il filo, senza che gli sfugga ogni minima sensazione o emozione che lo scrittore romano vuol restituire.
A dispetto dell’apparenza scanzonata, La terra vista dalla luna è un romanzo che porta con sé molteplici suggestioni, temi e sottotemi davvero rilevanti. Ancor più che in Actarus si percepisce, se ben disposti alla lettura, la complessità di un’opera che vive del bagaglio esperienziale del suo autore, che attinge sia dal vissuto professionale che dalla sua disposizione di “viaggiatore antropologo”. Che il Messico che ci racconta, Morici lo ha davvero respirato in loco, risulta evidente, come è evidente la sua capacità di caratterizzare i personaggi fino a indagarne – tutti, chi più e chi meno – le dinamiche psicologiche. E qui l’esperienza professionale del Morici psicologo viene fuori prepotentemente, nell’immaginare un protagonista di indubbia complessità emotiva come risulta essere Simon, senza per questo perdere in misura e credibilità nel descrivere gli altri personaggi, costruendo caratterizzazioni riconoscibili in ogni singola personalità che trova spazio nelle sue pagine, che sia presente per poche righe o che lo sia per l’intera durata della storia. L’immagine della cameretta come rifugio – geniale, a questo proposito, l’idea di Morici di associarvi idealmente un indirizzo mail quanto mai significativo: Simon <nella_cameretta_sono@libero.it – è la fotografia eloquente della vita di Simon e di tutti coloro che, come lui, hanno un subconscio debordante che irrigidisce la vita conscia fino a renderla quasi una prigione fisica. Prigione fisica che fa deflagrare la potenza della psiche: Simon è un ragionamento continuo, analizza i fatti simultaneamente al loro svolgersi con invidiabile capacità di portare ad evidenza tutti gli elementi del contesto ferocemente indagato. Simon è Morici, non perché vi sia affinità tra i loro vissuti – come lo stesso artista romano conferma in un intervista in rete -, ma perché lo scrittore trasferisce la sua capacità di leggere fatti e persone nel personaggio protagonista della narrazione, un po’ come aveva fatto – seppur in misura minore – con Actarus. La figura di Simon, come risulterà evidente, cannibalizza le altre, pur curiose e divertenti, per l’intera durata del libro.
Ma La terra vista dalla luna è anche una ferocissima parabola – in questo affine ad Actarus, libro in cui si scorgeva in forma allegorica ciò che qui si manifesta con più virulenza – contro parte della (sub)cultura dominante, quella dei sub comandanti con le stellette, dei fricchettoni figli di papà, dei rivoluzionari in doppio petto e tette grandi, degli equo solidali a scrocco, dei viaggiatori in fuga dalle responsabilità, degli alternativi alle alternative realistiche. Morici brucia senza pietà nel fuoco della sua scrittura – con una disposizione al cinismo e al sarcasmo che diventa cifra stilistica riconoscibile -, ricca di personaggi involontariamente buffi e tragicomicamente verosimili, tutto questo conformismo mascherato da anticonformismo, tanto da infastidire più di qualcuno a cui l’eco di queste pagine deve essere arrivato, pur indirettamente (cercate in rete, i fricchettoni si ribellano). Parabola feroce che tra le pieghe della narrazione, e in conseguenza di un finale doloroso, lascia filtrare quella malinconia che il sarcasmo non riesce o forse non vuole più mascherare:
“Devo dirti una cosa importante, Antonella. Una decisione che ho preso. Però non ti incazzare, eh? Allora: ho deciso che io e te non dobbiamo più parlare. Stai buona, è inutile che insisti. Ci ho pensato bene, sai che non avrei mai preso una decisione del genere senza prima averci pensato. È meglio così. Scusami ma è meglio così. Ho pensato anche che non mi posso preoccupare troppo di come farai senza di me. In qualche modo ti arrangi” (p.212).
Gli ultimi pensieri di Simon per l’amata amica, vengono da un luogo protetto dell’infanzia. Il bagno. Ancorché sia un bagno puzzolente messicano. Ma il bagno non è più il rifugio incantato del passato, non è più il luogo in cui si facevano i “Campionati del mondo di tiro della carta igienica insaponata in testa alla gente”. È il luogo di un inatteso e doloroso addio. Ma è anche il luogo di un possibile nuovo inizio, per vincere le paure residue e cercare nel viaggio nuovi stimoli per il futuro, tenendo in qualche modo Antonella sempre con sé, o liberandosene per sempre.
Difficile venire a capo della personalità di Simon, in questo sorprendente romanzo di Morici, il quale mescola in modo davvero inusuale l’uso della prima e della terza persona (Simon è sia voce narrante che personaggio narrato), descrivendo gesta e pensieri del suo protagonista. In questo turbinio emotivo, ossessivo e compulsivo il lettore non si perde mai, trovando immedesimazione in una mente psicotica, tanto psicotica e analitica da risultare, alla fine della narrazione, l’unica dotata di senso, di “ragione”. La terra vista dalla luna, edito da Bompiani, si merita ogni fortuna, perché non assomiglia a nulla che la letteratura italiana contemporanea ci propone. E poi Morici parla di ciò che ha vissuto, è evidente. Non inventa nulla, è credibile come pochi altri narratori. Leggetelo e diffondetelo, alla faccia dei fricchettoni equo solidali, della “gente da tutto il mondo”.
“Nell’ostello comincia a svegliarsi la maggior parte della gente. Zombi da tutto il mondo barcollano come bradipi ubriachi, passano davanti al PC dell’ostello, dicono: ‘Hi’ sperando che Simon prima o poi si scolli da lì, che devono controllare i messaggi su Facebook. Siamo in Messico, cazzo, mica a casa tua che dici: ‘Hi’. In Messico, hai presente? Vaffanculo tu e i tuoi ‘ELICOTTERI DA COMBATTIMENTO’. Fico lo zapatismo, Antonella, mi calza bene. Come dire, non credi che la pensino un po’ come me?”(p.128).
Federico Magi, febbraio 2009.
Edizione esaminata e brevi note
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