Bodrov Sergej

Mongol

Pubblicato il: 16 Maggio 2008

Tra storia e mito, epopea e leggenda il regista russo Sergej Bodrov, autore incline al fiabesco adulto (Il bacio dell’orso, opera trascurabile) e al drammatico velato di fiaba surreale (Il prigioniero del Caucaso, assolutamente da riscoprire), porta sul grande schermo la vita dello straordinario guerriero mongolo Gengis Khan (1162 -1227), dall’infanzia fino alle soglie della gloria. Ispirato dal poema La storia segreta dei Mongoli, ma anche da La leggenda della freccia nera, libro dello storico russo Lev Gumilev, Bodrov sceglie per un’opera dall’ampio respiro e dai toni elegiaci, andando quasi totalmente in opposizione alla storiografia russa sul personaggio narrato, considerato invece come un mostro vendicativo e sanguinario. Una sorta di nuovo Attila: un flagello divino.

La vicenda prende avvio quando Temugin (questo il nome del mitico Khan) ha appena nove anni e viene accompagnato dal padre a scegliere la futura moglie. Il padre di Temugin, valoroso Khan del suo clan, aveva contratto un debito d’onore con la comunità che avrebbe dovuto fornire la moglie al giovane figlio, cosi invitando il bambino a scegliere secondo dei parametri precedentemente stabiliti: Temugin sceglie la coetanea Borte, o per meglio dire è scelto, quasi rapito dal magnetismo degli occhi della bambina. E non sceglie secondo il modo concordato col padre. Poco male, il Khan è orgoglioso del figlio, del suo forte carattere: ne intuisce la statura di condottiero. Ma il Khan muore, lungo il viaggio di ritorno, avvelenato da un clan rivale. Il piccolo Temugin, deputato a essere il nuovo Khan, è invece costretto a fuggire, inseguito da colui che aveva preso con la forza il posto del padre. Lungo la pur breve fuga  incontra il coetaneo Jahuda, destinato a diventare il Khan del suo clan, col quale stringe amicizia e un legame di fratellanza di sangue. Sarà nuovamente catturato, costretto a fuggire ancora e ad eclissarsi, non prima di aver mantenuto la promessa d’amore fatta a Borte, pur onorata inevitabilmente con qualche anno di ritardo. Ma le difficoltà, strano a credersi considerando l’infanzia-adolescenza cosi travagliata, saranno ancora maggiori per l’abile e coraggioso Temugin, costretto quasi a capitolare sotto le frecce nemiche, a subire il rapimento dell’amata e ad accettare figli di diverso sangue, comunque amati dal futuro condottiero del popolo mongolo. Venduto come schiavo, imprigionato dai cinesi ed esibito come una bestia, mediterà la sua vendetta e immaginerà la gloria e il dominio del suo popolo su una parte di mondo. Fino allo scontro finale con l’amico-fratello Jahuda, per la supremazia sui clan della Mongolia.

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Un film denso di fascino e di tensioni romantiche ed epiche che richiamano alla memoria capolavori di genere come Braveheart ed Excalibur, pur non raggiungendo le vette dei film di Gibson e di Boorman proprio per la necessità di condensare in due ore di film un’epopea – quanto sia storia e quanto sia leggenda, ai fini dell’emozione e dello spettacolo, è assolutamente irrilevante – cosi vasta, sfaccettata e poco conosciuta alle nostre latitudini. È comunque un gran bel vedere, uno spontaneo emozionarsi di fronte alla rappresentazione proposta da Bodrov, il quale sceglie di valorizzare al massimo le scenografie naturali (la steppa e i deserti), lasciando allo spettatore quel senso di libertà e di spazio che è fondamentale per restituire il pathos epico e avventuroso. Pathos che trova la sua apoteosi nelle panoramiche dall’alto e nei realistici corpo a corpo filmati dal regista russo, il quale fa uso sapiente del ralenti nell’avvicinare i corpi, lasciando esplodere la violenza – velocizzando di parecchi fotogrammi l’immagine – nel momento del contatto fisico. Vero è che il poema da cui attinge e il personaggio che sceglie di presentarci  sono di quelli che invitano alla totale adesione.

Torna dunque il cinema che recupera la dimensione eroica, che non sminuisce i grandi – veri o presunti: non spetta a noi, in questa sede, giudicare ciò – della storia, della Tradizione (non a caso uso il maiuscolo) e del mito/leggenda, come al contrario è sovente accaduto in questi anni (l’esempio più lampante è Alexander di Oliver Stone). Torna un cinema che invita all’immedesimazione con personaggi che sono, a ben guardare, sul confine tra l’umano e il divino, e arriva da dove forse non ci saremmo mai aspettati: una coproduzione russa, tedesca, mongola e kazaka. Un successo straordinario in Russia, la nazione a cui era maggiormente rivolto il film.

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Anche gli attori fanno il loro, a partire dall’ottimo giapponese Tadanobu Asano (lo abbiamo già visto diretto da Kitano e Tsukamoto), nei panni di Gengis Khan, continuando con l’esordiente Khulan Chuluun, per finire con Sun Honglei, che ricordiamo in Seven Swoords di Tsui Hark, opera a cui Bodrov deve aver guardato intensamente nell’immaginare le battaglie proposte nel film in questione. Detto delle evocative scenografie naturali, è d’obbligo rimarcare la suggestiva fotografia e la convincente sceneggiatura. Non era semplice restituire un personaggio di tale spessore attraverso una storia pregna d’eventi non trascurabili. Si può dire che, da questo peculiare punto di vista, l’impresa è comunque riuscita.

Sarà chiaro ormai, senza bisogno di enfatizzare oltre i tanti lati positivi dell’opera in questione, che Mongol è un film avvincente, di respiro assolutamente internazionale, già candidato all’Oscar e destinato a far bene al botteghino anche in paesi che solitamente non vanno pazzi per la cinematografia orientale. Si può ben affermare che Bodrov, proponendoci il mito del grande Gengis Khan, faccia una convincente operazione di sintesi tra i tempi dilatati di certo cinema d’autore (non solo orientale, ma soprattutto orientale) e le dinamiche spettacolari dei kolossal d’oltreoceano. E lo fa in maniera manifesta, senza inganni e sovrastrutture, dimostrando spontanea vicinanza che arriva anche all’immedesimazione, nei confronti del personaggio narrato. Ed è anche un’intensa ed edificante storia d’amore; un amore benedetto dagli dèi, per quanto umano, sincero, certo scritto nel destino dei due inseparabili amanti. Davvero un film di qualità, dunque, per un regista che ha ancora molto da dire e da dare. Da vedere, assolutamente sul grande schermo.

Federico Magi, maggio 2008.

Edizione esaminata e brevi note

Regia: Sergej Bodrov. Soggetto e sceneggiatura: Arif Aliyev, Sergej Bodrov. Direttore della fotografia: Sergei Trofimov, Rogier Stoffers. Montaggio: Zach Staenberg, Valdis Oskarsdottir. Scenografia: Dashi Namdakov. Costumi: Karin Lohr. Interpreti principali: Tadanobu Asano, Khulan Chuluun, Sun Honglei, Aliya, Bao Di, Tegen Ao, Deng Ba Te Er, You Er, Sai Xing Ga, Odnyam Odsuren, Bayertsetseg Erdenebat, Amarbold Tuvshinbayar, Ba Sen, Amadu Mamadakov, Sun Ben Hou, He Qi, Ba Yin, Ji Ri Mu Tu. Musica originale: Tuomas Kantelinen. Produzione: Andreevsky Flag Film Company, Kinofabrika, Kinokompanya CTB, X-Filme Creative Pool. Origine: Germania, Kazakistan, Mongolia, Russia, 2007. Durata: 120 minuti.