Ruccello Annibale

Ferdinando

Pubblicato il: 12 Febbraio 2013

Sesso, violenza, Sud. C’è un’eco del teatro di Tennessee Williams nel dramma “Ferdinando” di Annibale Ruccello, drammaturgo campano morto nel 1986 a soli trent’anni, che molto amava il controverso autore americano. Anche “Ferdinando” mette in scena la lussuria che fa perdere il senno, rapporti di forza tesi tra crudeltà e masochismo, un meridione decadente e febbricitante dove fermentano istinti di rapina (anche se questo non è il profondo Sud americano, ma una vecchia villa borbonica vesuviana, e l’anno è il 1870).

«È cagnata l’èbreca», sospira la baronessa Clotilde dal suo letto di malata immaginaria, rimpiangendo l’epoca borbonica sfumata da poco. Al suo capezzale, la disprezzata cugina povera, Gesualda, che l’assiste con rancore, e un parroco ambiguo e ossequioso, Don Catello, confessore di entrambe e amante di Gesualda. La loro quotidianità a tre è fatta di reciproca insofferenza e aperte provocazioni di cui è soprattutto Clotilde a tirare le fila. Un gioco al massacro che si svolge per lo più nel registro materico del dialetto napoletano, mentre l’italiano dei predatori savoiardi, aborrito da Clotilde, è lo strumento dell’erudizione pretesca con cui don Catello neutralizza le offese della baronessa, oppure è l’escamotage linguistico con cui Gesualda tenta di ribaltare i rapporti di forza tra lei e la cugina, trincerandosi dietro la lingua dei nuovi dominatori: «E non parlare italiano», le grida Clotilde, «Nun voglio sentì ‘o ‘ttaliano dint’ a ‘sta casa … Io e isso c’avimme appiccicate il 13 febbraio del 1861 … Contemporaneamente all’ammainarsi della gloriosa bannera ‘e re Burbone s’ammainaie pure ‘ll’italiano dint’ ‘o core mio».

L’arrivo del giovane e bellissimo Ferdinando, lontano nipote di Clotilde di cui lei si ritrova all’improvviso tutrice, per un attimo sembra invertire la cancrena e resuscitare emozioni e affezioni in un microcosmo asfittico. Come in “Teorema” di Pasolini, un angelo seduttore entra da dominus in una famiglia disfunzionale e ne rimodella la fisionomia. Ma a differenza dell’ipergeometrico “Teorema”, che fin nel titolo si autodenuncia in tutti i suoi limiti di romanzo a tesi, il “Ferdinando” di Ruccello non impone nulla dall’esterno ai suoi personaggi, non li muove come pedine a scopo dimostrativo, ma con verità e antropologia ne segue i percorsi degenerativi e le morbosità, che nelle parole di don Catello raggiungono il punto di inabissamento maggiore: «Ma tu non cride a niente? Nun tiene morale! Nun saie ca ce sta chello ca se po’ ffa’ e chello ca nun s’adda fa’? E quanno se fa chello ca nun s’adda fa’ siente nu piacere spiciale? … Il piacere del peccato! È troppo bello ‘o peccato! Haggia riuscì a t’ ‘o fa’ ‘mparà! Si nò rimane n’animale! L’uomo è diverso dall’animale per questo! … Pecché po’ ffa’ peccato».

Quella che all’inizio sembrava una liberazione e una rinascita attraverso la frenesia sessuale, si rivelerà solo un acceleratore di processi di decomposizione già in atto. L’istinto di sopraffazione e di oggettivazione dell’altro (che si esprima attraverso il desiderio sessuale o la brama di denaro) non risparmierà nessuno, in un finale nerissimo che è il portato della fosca antropologia ruccelliana.

Ma a un livello ulteriore, più politico che antropologico, il testo teatrale di Ruccello può essere letto anche come una metafora nichilista dell’unità d’Italia. L’antiretorica unitaria che già parlava nella stanchezza apollinea del Principe di Salina («Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi») o nel cinismo degli Uzeda nei “Viceré” di De Roberto («Quando c’erano i Viceré, i nostri erano Viceré; adesso che abbiamo il Parlamento, lo zio è deputato!») trova una nuova incarnazione nella sorprendente agnizione del finale di “Ferdinando” e una diversa veste espressiva nello stile composito di Ruccello: koiné di dialetto e italiano chiesastico, erudizione e volgarità plebea, sensualità e crudeltà mentale.

Edizione esaminata e brevi note

Annibale Ruccello (Castellammare di Stabia, 7 febbraio 1956 – Roma, 12 settembre 1986) è stato un drammaturgo, attore e regista italiano. Tra i suoi testi teatrali, Le cinque rose di Jennifer (1980), Weekend (1983, premio IDI under 35), Notturno di donna con ospiti (1983), Ferdinando (1986, premio IDI come Miglior testo teatrale e Migliore messinscena), Anna Cappelli (1986).

Annibale Ruccello, Ferdinando, Napoli, Alfredo Guida Editore, 1998.

BIBLIOGRAFIA CONSIGLIATA

Pasquale Sabbatino (a cura di), “Annibale Ruccello e il teatro nel secondo Novecento”, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2009.

Dario Tomasello, “Ferdinando di Ruccello per Annibale Ruccello”, ed. ETS, Pisa, 2011.

APPROFONDIMENTO IN RETE

bibliografia essenziale su Annibale Ruccello.

Su Linkiesta: “La fine di un mondo. Ecco l’aspro Ferdinando di Annibale Ruccello”