Vila-Matas Enrique

Bartleby e compagnia

Pubblicato il: 16 Marzo 2013

Nel solco della “Bartleby industry” – il proliferare di studi sull’enigmatico copista melvilliano che ad ogni richiesta del suo capo rispondeva con un esasperante “preferirei di no” – il libro di Vila Matas occupa uno spazio particolare: non è un vero e proprio saggio, né un vero e proprio racconto, bensì un curioso crossover, dove la saggistica sfuma nella fiction non solo per via della presenza di una (blanda) cornice narrativa, ma anche perché ai riferimenti storico-letterari autentici e verificabili si mescolano continuamente false citazioni di scrittori più o meno scopertamente inventati dall’autore.

Bizzarro caso di saggistica finzionale, “Bartleby e compagnia” parte dal pretesto narrativo di un vecchio impiegato gibboso impegnato a scrivere un saggio che raccolga un’ampia casistica degli scrittori del No – del “No alla scrittura” – di cui Bartleby, lo scrivano che smette di scrivere e preferisce il nulla alla penna, rappresenta per Vila-Matas l’incarnazione simbolica. Tra le innumerevoli interpretazioni che la critica ha dato dello scrivano di Melville – Bartleby come “Alter Christus”, Bartleby come risposta muta e irriducibile alla frenesia del capitalismo finanziario, Bartleby come incarnazione della sintomatologia autistica (stranamente, una delle teorie più calzanti), … – Vila-Matas dice la sua, e fa di Bartleby l’emblema dello scrittore che rinuncia alla scrittura: non dello scrittore fallito (il fallimento sarebbe un motivo volgare per rinunciare a scrivere: «non c’è nessun merito nel diventare uno scrittore del No dopo un fallimento»), ma di quegli scrittori di talento divenuti agrafi all’apice del successo, a volte addirittura prima di aver esordito.

Sfilano allora, nella rassegna stilata dal vecchio impiegato, scrittori come Rimbaud, che dopo un precoce e immortale esordio preferì l’avventura alla scrittura; Lord Chandos, creatura letteraria di H. Von Hoffmannsthal, che rinuncia a scrivere perché nessuna parola gli sembra in grado di esprimere compiutamente la realtà oggettiva; Chamfort, che trovò nel silenzio la massima espressione della sua negazione del mondo. Ci sono poi “artisti senza opera”, alcuni chiaramente inventati da Vila-Matas, a cui l’autore affida divertito il compito di incarnare i tic che possono portare alla paralisi scrittoria: tra questi, la bella Marìa Lima Mendes, cubana trasferitasi a Parigi per diventare scrittrice, che poi perde l’ispirazione nello sforzo di aderire alla moda robbe-grilletiana dello “chosisme” (quell’ossessione di descrivere «con particolareggiata lentezza le cose: la tavola, la sedia, il temperino, il calamaio»); Paranoico Pérez, che non è mai riuscito a scrivere un libro perché tutte le volte che aveva un’idea, Saramago lo precedeva; oppure Pedro Garfias, scrittore capace di trascorrere lunghi periodi senza scrivere semplicemente perché alla ricerca di un aggettivo.

Come le ragioni della scrittura sono personali e diversissime da soggetto a soggetto, altrettanto lo sono le ragioni della non scrittura (al punto che siamo quasi portati a credere che scrivere e non scrivere siano la stessa cosa, luce e ombra di un’identica, superiore comprensione del mondo): si può desistere dalla creazione «perché rinunciare senza lamentele a manifestare le proprie doti può essere una virtù spiritualmente aristocratica». Oppure perché, come dice Susan Sontag, «l’arte è solo un mezzo per raggiungere qualche cosa che si può ottenere solo abbandonando l’arte». Oppure per diventare una splendida nullità e scomparire nella realtà anonima. O infine perché:

«Si è detto tutto – ciò che era importante e semplice da dire – nei millenni in cui gli uomini hanno continuato a pensare e struggersi con sollecitudine […] Oggi non resta altro che ripetere. Rimangono soltanto pochi dettagli infimi ancora inesplorati. All’uomo di oggi resta unicamente il compito più ingrato e meno brillante, quello di riempire i buchi con un’accozzaglia di minuzie».

Mentre redige la sua rassegna di eclissi letterarie, il gibboso impiegato viene licenziato dal suo capoufficio. Ormai immedesimato nel suo archetipo melvilliano, registrerà senza scomporsi la notizia con quella bartlebyana, intangibile trascendenza che in fondo è il richiamo occulto di molti  scrittori divenuti agrafi:

«Non penso di occuparmi della sciocca faccenda di aver perso il lavoro, ho intenzione di fare come il cardinale Roncalli il pomeriggio in cui lo nominarono capo della Chiesa cattolica e si limitò ad annotare semplicemente nel suo diario: ‘Oggi mi hanno fatto Papa’. Oppure farò come Luigi XVI, uomo non particolarmente perspicace, che il giorno della presa della Bastiglia annotò sul suo diario: ‘Rien’».

Edizione esaminata e brevi note

Enrique Vila-Matas (Barcellona, 1948), è autore di una vasta, provocatoria e personalissima opera narrativa, insieme intimista e sperimentale, elegante e sfrontata, che include romanzi, racconti, articoli e saggi. Tra le sue opere ricordiamo “L’assassina letterata” (1977), “Storia abbreviata della letteratura portatile” (1985), “Il viaggio verticale” (2000), “Parigi non finisce mai” (2003), “Un’aria da Dylan” (2012).

Enrique Vila-Matas, “Bartleby e compagnia”, Feltrinelli, Milano, 2013. Traduzione di Danilo Manera.

Prima edizione: “Bartleby y compañía”, Barcellona, 2000.

Bibliografia consigliata:  Bruno Arpaia, “La vertigine del silenzio”, Il Sole 24Ore, 21 aprile 2002.

Danilo Manera, “Quaderni di Letterature Iberiche e Iberoamericana”, XXVII, 1999-2000, pp. 154-156.

Ignacio Rodríguez de Arce, “Bartleby y compañía de Enrique Vila-Matas: centralidad y ficcionalidad del discurso de escolta”, Espéculo. Revista de estudios literarios, Universidad Complutense de Madrid, 2009.

Anderson Tepper, “Fiction Chronicle”, New York Times, 5 giugno 2005.

Approfondimento in rete: www.enriquevilamatas.com

David Roas, “El silencio de la escritura (A propósito de Bartleby y compañía)”, http://www.enriquevilamatas.com/escritores/escrroas1.html

Enrique Schmukler, “Bartleby y compañía: del mito literario al mito de autor”, http://www.enriquevilamatas.com/escritores/escrschmukler1.html

Antonio Tabucchi, “Escribir, no escribir”,  http://www.enriquevilamatas.com/escritores/escrtabucchi1.html

Elettra Santori, 2013.