Di sicuro per “Europa anno zero” la parola “viaggio” rende bene l’idea: il libro di Eva Giovannini, che, anche in riferimento allo stile e linguaggio, rivela l’origine televisiva, è innanzitutto un reportage in cui l’autrice ha privilegiato la testimonianza diretta e quanto scaturisce dalle interviste a protagonisti della cosiddetta destra identitaria. Le cause più profonde del recente successo dei nazionalismi europei – oggetto semmai di ricerche accademiche che sappiano analizzare un sistema di potere miope e al servizio di leader “riformisti” tanto arroganti quanto incapaci – sono sostanzialmente sfiorate: in altri termini viene dato più spazio ai “sintomi” piuttosto che alle cause di certi fenomeni; anche se la giornalista non perde occasione per evidenziare quanto ormai sia precaria la tenuta democratica ed economica del continente europeo. Del resto, dalle pagine di “Europa anno zero”, possiamo cogliere come alcuni di questi movimenti “sovranisti”, spacciati come medicina di tutti i mali o al contrario come riemergere irrazionale di antichi fantasmi, non rappresentino altro che la risposta più immediata (e a volte banale) a problemi irrisolti e alle legittime paure dei cittadini, fino ad ora gestite malissimo e senza lungimiranza da parte delle istituzioni europee (“Lo spirito di Ventotene si è fermato a Ventimiglia?”).
Le destre identitarie di cui leggiamo nel libro di Eva Giovannini sono destre che per lo più non vogliono essere definite tali, che rifiutano la contrapposizione destra-sinistra, che sicuramente sono riuscite a condizionare le politiche nazionali di molti stati (si pensi alla Gran Bretagna di Cameron alle prese con la promessa di referendum anti Ue e alle sparate anti immigrati), che spesso accolgono frange nostalgiche, a volte tenute a bada e messe a tacere, a volte usate strumentalmente per costruire alleanze inedite: parliamo della Francia di Marine Le Pen, tutta orgoglio nazionale, “Blue Marine”, putinismo, antimondialismo e, dopo l’estremistica gestione di papà Jean-Marie, impegnata nella “dediabolization” del partito; del Regno Unito di Nigel Farage, leader dell’Ukip; della Germania dei “nuovi patrioti” di Pegida; dell’Ungheria di Orban e dell’ultradestra di Jobbik; della Grecia di Alba Dorata, dell’alleanza tra Syriza e gli indipendentisti cattolici di Anel; ed infine dell’Italia dei due Mattei, in particolare di Salvini che ha letteralmente rifondato la Lega secondo i canoni di Borghezio. Destre che hanno davvero poco in comune, forse davvero nemmeno destre nel vero senso della parola visto che molte delle loro tesi sono proprie anche della sinistra radicale; ma quel poco vuol dire spesso diffidenza, se non aperta ostilità nei confronti dei cosiddetti sionisti, lo stato liberale visto come un nemico da combattere, l’immigrazione vissuta (e propagandata) come minaccia alla propria identità, le élite europee raccontate come il peggio del peggio, la tendenza all’isolazionismo e tutt’al più la volontà di seguire le orme dello zar Putin. Poi, ovviamente, le peculiarità proprie di ogni paese, spesso inquietanti, sono puntualmente raccontate da Eva Giovannini in virtù delle affermazioni dei leader e dei militanti più accesi. Pensiamo alle proposte economiche di Alba Dorata (“chiare ma altrettanto velleitarie”), ai processi penali a carico dei neonazisti greci, ad Anel, l’alleato di Syriza, che “intrattiene relazioni strettissime e acritiche con la Russia di Putin” (pp.44). Oppure possiamo ricordare ancora lo storyelling antislamico di Marine Le Pen e di Éric Zemmour: “Una battaglia identitaria prima che religiosa, che individua nel relativismo culturale e nel liberismo dei valori un nemico peggiore del fondamentalismo islamico. O meglio, individua nei primi la condizione perché il secondo si propaghi senza ostacoli” (pp.103). Battaglia identitaria – questo lo aggiungiamo noi – che fino a questo momento c’è sembrata condotta con strumenti culturali alquanto dubbi. Ancor più interessante il viaggio nell’Ungheria di Viktor Orbán, dove il leader di Fidesz ha in qualche modo fatto “outing” ammettendo di ispirarsi a una “democrazia illiberale”: “La Russia di Putin o la Cina non sono liberal-democrazie e forse neanche democrazie, ma sono di successo” (pp.113). Infatti sappiamo che il regime di Orbán ha stravolto la Costituzione ungherese dando un colpo mortale “ai sistemi di checks and balances che dovrebbero essere alla base di una democrazia compiuta” (pp.114): nomine, funzioni tutte concentrate in un potere esecutivo che non tollera controlli e critiche da parte della libera stampa, pena la galera per coloro che appaiono “antipatriottici”. Un regime che, in un periodo di crisi, non sembra trovare molti contestatori interni. Così Orbán agli osservatori stranieri, sempre più critici nei confronti del montante autoritarismo magiaro: “Agli ungheresi interessa il costo delle bollette, non il problema della democrazia” (pp.118). Di sicuro l’approdo dell’Ungheria postcomunista a un sistema fortemente autoritario potrà far pensare qualche nostro connazionale: con buona pace di quei grillini che mostrano una certa simpatia per il leader ungherese e che in Italia si stracciano – giustamente – le vesti per lo scempio della nuova Costituzione targata Verdini, è un dato di fatto che certe parole d’ordine pronunciate dai politici di Fidesz assomigliano curiosamente a quelle che spesso escono dalla bocca di alcuni nostri presunti rottamatori che si sono scoperti esperti di diritto costituzionale.
Tutto questo in un’Europa dove, a quanto pare, gli elettori hanno del tutto disatteso il monito di Bernard Baruch, opportunamente citato dall’autrice: “Votate il candidato che mi promette meno. Vi deluderà meno” (pp.163). Invece sappiamo bene – l’Italia lo dimostra in pieno – che dalle nostre parti spararla grossa e dispensare soluzioni semplicistiche è sempre premiante. E, anche grazie a questo reportage, diventa ancor più chiaro come ormai il cittadino europeo spesso preferisca “votare per la paura piuttosto che per la speranza” (pp.15); salvo dover precisare che, a fronte di una “speranza” incarnata da twittatori fasulli e da grigi burocrati, non c’è troppo da meravigliarsi se la protesta o la disperazione potrà allargare le fila di partiti aggressivi e identitari.
Edizione esaminata e brevi note
Eva Giovannini, (Livorno, 1980), giornalista professionista, ha collaborato con «Il Tirreno» e «Affari & Finanza» («la Repubblica»). Ha lavorato ai reportage per il programma di Raidue Annozero. Dopo due anni a Sky tg24 – dove si è occupata sia delle News sia del programma di approfondimento Controcorrente –, è stata inviata del talk show di La7 Piazzapulita, ruolo che oggi ricopre per Ballarò su Raitre.
Eva Giovannini, “Europa anno zero”, Marsilio (collana Nodi), Venezia 2015, pp. 208.
Luca Menichetti. Lankelot, ottobre 2015
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