López Leopoldo

Chi si stanca perde

Pubblicato il: 28 Aprile 2018

L’ex premier spagnolo Felipe González, in un contributo ad introduzione del libro “Chi si stanca perde. Diari dalla resistenza venezuelana” (titolo originale “Preso pero Libre”), ha scritto che “questa piccola opera è un atto d’accusa verso un regime ingiusto e decrepito. È una vera sentenza espressa da un condannato a una pena ingiustificata. Non importa che il lettore condivida in pieno le convinzioni e le idee politiche di Leopoldo López. Sicuramente, guardando alla realtà del Venezuela, non potrà che essere d’accordo col suo giudizio sul regime”. Quello che non ci torna è soltanto il “sicuramente”: parte dell’opinione pubblica europea – non parliamo poi dell’Italia – è pur sempre dell’idea che il regime di Maduro rappresenti una speranza di libertà e giustizia, che non ci sia l’ombra di dittatura, che l’opposizione al chavismo sia semplicemente golpista e serva degli USA; e così via. Da questo punto di vista i social sono indicativi di un certo sentire e diventa normale assistere agli show di tanti “Napalm 51” in erba: pagine web tratte da fonti fantomatiche e dai pistolotti di Fabio Marcelli, chavisti di casa nostra – non solo comunisti ma anche destri tipologia “socialismo nazionale” – che gridano al complotto occidentale. È vero che molti nostri concittadini si considerano esperti di geopolitica grazie alla lettura di qualche articolo recuperato in rete e perciò le nostre parole potranno valere il giusto, ma possiamo ricordare che all’involuzione del Venezuela, da capofila del “socialismo del XXI secolo” a Stato virtualmente fallito, “con la più alta inflazione e il più alto tasso di criminalità del mondo” (Mario Vargas Llosa), secondo alcuni studiosi di politica internazionale avrebbe contribuito un peccato capitale del defunto Hugo Chàvez: dopo il tentativo di golpe del 2002 l’allora presidente bolivariano si sarebbe circondato sempre più di fedelissimi, trascurando di premiare le competenze. Anche dalle nostre parti abbiamo visto premier che si sono circondati di adulatori, di servi incapaci e che hanno dato il benservito a studiosi competenti e onesti. Evidentemente nel contesto venezuelano, già caratterizzato da un regime autoritario, le cose hanno assunto una piega ancor più drammatica, oltretutto con una presenza spropositata di narcotrafficanti e di corruzione. Dopo la morte di Chavez il suo successore Nicolas Maduro, forte della sua cricca, non avrebbe più avuto freni nel reprimere il dissenso. Così si spiegherebbe quanto accaduto a Leopoldo López; anche se – ripetiamolo – i chavisti di ogni latitudine lo potranno considerare l’ennesimo golpista al soldo degli occidentali. Il leader del movimento Voluntad popular, a seguito delle proteste di piazza, duramente represse anche da bande paramilitari, è stato infatti accusato dal regime di istigazione a delinquere. López ha preferito evitare la fuga e si è consegnato alle autorità chaviste: rinchiuso nel carcere militare di Ramo Verde è stato a condannato a tredici anni e nove mesi. Sono seguiti innumerevoli appelli alla ragionevolezza, con le più diverse organizzazioni umanitarie e internazionali – Amnesty International, Human Right Watch, il Gruppo di lavoro sulla detenzione arbitraria delle Nazioni Unite – impegnate per la liberazione di Leopoldo López, “prigioniero di coscienza” e “sottoposto a un processo farsa”. Niente faceva ben sperare in processi equi e in una magistratura indipendente. Le parole di Felipe González (2015) del resto confermano le preoccupazioni delle famigerate organizzazioni umanitarie: “Ho trovato un Paese alla deriva […] Penso che per il Venezuela ci sia solo una soluzione che passa dal dialogo, ma questo temo non accadrà perché non c’è responsabilità da parte del governo […] Né dall’interno né dall’esterno del Venezuela, nessuno può negare l’evidenza. Il Venezuela si è trasformato in una dittatura di fatto” (nota a pp.113). Ed ancora: “Possiamo dire che Leopoldo è il simbolo della condizione in cui si trovano molti venezuelani: i settantacinque prigionieri politici del regime e tanti altri che sono vittime delle rappresaglie, della mancanza di libertà d’espressione e di poter manifestare liberamente, quando non costretti all’esilio per sfuggire alle persecuzioni” (pp.11).

In questo contesto di violenza e repressione, Leopoldo López, incarcerato, accusato di crimini infamanti, ha voluto dare la sua versione dei fatti, mostrando sempre “un’incrollabile e trascinante fiducia nel futuro”. Possibile che anche il leader di Voluntad popular abbia i suoi scheletri nell’armadio, malgrado le frequenti parole di ammirazione per Gandhi, Nelson Mandela e Martin Luther King; ma tutto diventa discutibile in presenza di un’ormai evoluta cyberwar, delle più classiche fandonie propalate dai regimi dittatoriali, di processi farsa imbastiti su reati inesistenti. Quindi nessuna intenzione di fare l’agiografia di Leopoldo López, come fosse una sorta di santino senza macchia e senza paura. Il fatto è che il suo libro, “Preso pero Libre” (Prigioniero ma libero), che pure non possiede un autentico valore letterario – di fatto sono appunti poco ordinati, frammentari e probabilmente scritti in situazione di grave disagio –  rappresenta, a prescindere, una testimonianza importante che, da un lato, conferma quali siano i metodi intimidatori di un regime non democratico e che, dall’altro, fa intuire il disastro sociale e politico di un Paese nel quale sono presenti contraddizioni solo in apparenza inconcepibili, ma in realtà del tutto ordinarie nelle dittature e negli Stati falliti. Un esempio lampante proprio nel carcere di militare dove è stato rinchiuso López: “A Ramo Verde sconta la sua pena pure il generale Raúl Isaías Baduel, l’uomo che aveva salvato Chávez il 13 aprile 2002 reagendo al tentativo di colpo di Stato. È stato arrestato e rinchiuso per essersi opposto alla riforma costituzionale che il governo voleva approvare con un plebiscito nel 2007. È davvero paradossale che l’eroe di fatti del 2002 e i presunti responsabili di quel colpo di Stato si trovino nello stesso carcere. Senza dubbio si tratta della prova di come la giustizia rivoluzionaria sia stata utilizzata nel corso degli anni per punire tutti coloro che, in vari modi, si sono opposti al regime” (pp.48).

La galera però non sembra aver affatto intimidito il leader di Voluntad popular. Così López sullo stato delle Istituzioni venezuelane: “il sistema giudiziario prende ordini dal governo ed è stato il braccio destro della repressione e  il responsabile dell’impunità per i fatti tragici e violenti che hanno insanguinato le nostre strade” (pp.170); “Ci sono milioni di armi in mano alla delinquenza e il cordone ombelicale che lega armi, o gran parte di esse, e delinquenti è proprio rappresentato dai militari, che detengono il monopolio della forza e della protezione dei cittadini. Si tratta di una complicità che tocca i livelli più alti delle gerarchie” (pp.62); “A rendere il Venezuela uno degli Stati più corrotti e violenti del mondo è stata una combinazione di politiche inefficienti e di complicità delle massime autorità col mondo del crimine” (pp.64). Parole che mettono una pietra tombale sulle illusioni di un Venezuela capofila di una rivoluzione socialista e “democratica”.

Edizione esaminata e brevi note

Leopoldo López, (Caracas, 1971), dopo aver studiato scienze politiche all’Università di Harvard, ha lavorato nella principale azienda venezuelana, la Petróleos de Venezuela, e insegnato all’Università cattolica di Caracas Andrés Bello. Eletto sindaco di Chacao nel 2000, ha fondato nel 2009 il movimento Voluntad popular, di cui è stato coordinatore nazionale. Nel febbraio 2014, a seguito dei tumulti scoppiati durante una manifestazione, viene accusato di istigazione a delinquere e nel settembre 2015 è condannato a tredici anni e nove mesi di carcere. Durante il processo, Amnesty International lo ha dichiarato «prigioniero di coscienza». Politici, intellettuali e organi di stampa, nazionali e internazionali, si sono espressi contro la condanna. Nell’estate 2017 gli sono stati concessi gli arresti domiciliari, revocati dopo appena un mese.
Il 12 agosto il Tribunale d’appello ha confermato la sentenza. Il 26 ottobre l’Unione europea ha assegnato all’opposizione venezuelana, rappresentata da Leopoldo López, il Premio Sakharov per la libertà di pensiero.

Leopoldo López, “Chi si stanca perde. Diari dalla resistenza venezuelana”, Marsilio (collana “Ancora”), Venezia 2017, pp. 224. Introduzione di Mario Vargas Llosa. Contributo di Felipe González: “Leopoldo López, prigioniero della Repubblica bolivariana”. Traduzione di Erika Reginato, in collaborazione con Lys Facco.

Luca Menichetti. Lankenauta, aprile 2018