“Istruzioni per l’uso del futuro” segue a distanza di un anno “Le pietre e il popolo” e ne rappresenta in qualche modo il suo naturale completamento: prima il pamphlet e la cronaca di come la politica abbia massacrato la stessa idea di patrimonio culturale, ed adesso un libro che, sempre con bello stile e sempre raccontando di recenti scempi italiani, si svela ancor più propositivo, come una sorta “alfabeto civile”, o meglio come un abbecedario dalla “A” di Ambiente alla “Z” di Zenit, con cui Tomaso Montanari ci invita “a una vera rivoluzione non soltanto contro chi saccheggia le biblioteche o deturpa il paesaggio, ma contro chi non educa all’amore per la bellezza”. Premessa del discorso sono i principi costituzionali, spesso disattesi, che tra l’altro legano l’art. 9 C. all’art. 3 C., e i relativi corollari: l’arte in quanto tale non può servire il potere e il patrimonio culturale, se vogliamo rimanere coerenti con la nostra Carta Costituzionale, che dovrebbe rappresentare uno degli strumenti principali per costruire il futuro della nostra democrazia. Non quindi il “petrolio d’Italia” e materia per celebrare il lusso di pochi, come auspicato da vecchi e nuovi rottamatori, tale da trasformare i cittadini in turisti a casa loro, ma strumento per costruire proprio quell’eguaglianza citata nell’art. 3 C. Anche in questo libro risulta evidente quanto sia indissolubile il rapporto tra paesaggio, ambiente e patrimonio artistico Argomento peraltro già ottimamente trattato nei suoi libri da Salvatore Settis, non a caso studioso molto poco considerato – è un “professorone” e, come ci ha detto il premier, soltanto un “professore di archeologia” – in una fase costituente che soffre di eiaculazione precoce e che vede l’immacolato Denis Verdini lavorare per il nostro bene. Come nel caso dello scempio in Val di Susa per un’opera che serve soltanto a coloro che la costruiscono e ai loro sponsor politici, così la vicenda dell’Ospedale Vecchio di Parma viene messa in rapporto con l’avvento degli speculatori privati, invocati come provvidenziali: “che arrivano attraverso il cavallo di Troia del project financing, ribaltato in modo tale che siano i privati a guadagnare a spese della collettività” (pag. 22). Mentre intanto disinformazione ed approssimazione si confermano come una prassi costante. In questo senso Montanari ne ha anche per i suoi colleghi: “gli studi rigorosi rimangono confinati al circolo autoreferenziale degli specialisti, mentre nel discorso pubblico (in televisione, sui giornali, nelle serie da edicola) arriva un terribile, noiosissimo tritume di manuali sminuzzati e mal digeriti […] Con pochissime eccezioni in Italia non esiste un genere editoriale di buona divulgazione artistica” (pag. 69). Un problema che divide l’Italia dal mondo anglosassone e che il nostro autore ha voluto rendere evidente mettendo a confronto un brano di Gombrich con un altro del pur stimabile Carlo Giulio Argan: “la scrittura astraente di Argan risulta obiettivamente assai meno inclusiva di quella, storicamente concreta, di Gombrich” (pag. 71). Inoltre, se già non bastassero i tanti problemi esistenti nel campo della conservazione dei beni culturali, il trasferimento della gestione del patrimonio artistico dalla pubblica istruzione al turismo ha rappresentato il logico esito di una politica contraria allo spirito della Costituzione. In mancanza di responsabilità e conoscenza ecco che “nessuno di noi è stato educato a guardarsi intorno, e a considerare il rapporto con l’arte del passato un fatto quotidiano” (pag. 83).
Ormai sappiamo bene che, da parte di una politica che vuole fare un po’ di marketing elettorale, risulta più facile svendere beni comuni spacciandoli per grandi affari, imbastire mostre ed eventi senza senso, con sponsor famelici e curatori messi lì per motivi poco confessabili. Esempi di questo andazzo ben poco virtuoso, anche se spesso molto popolare, ne abbiamo parecchi; ma il fiorentino Montanari, che insegna alla Federico II, ha logicamente trattato con maggior dovizia di particolari gli scempi e le bestialità perpetrate in quel di Firenze e Napoli. Per quanto riguarda la capitale toscana possiamo ricordare le pagine dedicate alla recente festa privata della Ferrari sul Ponte Vecchio, con tutte le opacità amministrative e contabili che ne sono scaturite (“esibizione cafona di consumismo sorvegliata dalle guardie del corpo, la noncuranza per le regole democratiche, l’arbitrio della politica, il disprezzo per i beni comuni”). Ed inoltre il nuovo Eataly di Farinetti, che ha preso il posto della storica libreria Martelli: anche in questo caso “non sempre chi si riempie la bocca della cultura lo fa con l’obiettivo di far diventare davvero colti – cioè più liberi e più critici – i suoi concittadini” (pag. 28). Un supermercato che, tra una finocchiona e uno spaghetto, mostra un’altra forma di cafoneria, sicuramente più accattivante di altre e che si nasconde furbescamente dietro il brand Firenze, accostando il David al salame: “Esattamente come fa McDonald’s, che a Roma cita le rovine classiche e in Toscana i cipressi, anche la catena di Oscar Farinetti si mimetizza. Lo fa con lo stesso grado di fantasia (minima) e omologazione commerciale (massima)” (pag. 28). La fregatura, secondo Montanari, sta anche nel fatto che questo patinato supermarket spaccia roba tipo un “bignamino del Rinascimento da terza media”, imbarazzanti aneddoti, riassuntini da wikipedia, slogan ad effetto, come “percorso museale” (tra le caciotte). E’ chiaro – ma sono considerazioni personali – che così non si riuscirà mai ad estirpare la cultura bottegaia presente a Firenze e nel centro storico; ed anzi, di fronte ad immagini più patinate ed accattivanti, diventerà più difficile convincere i cittadini che quelle son tutte minchiate.
Certamente nel libro di Montanari non è raccontato soltanto il cinico sfruttamento del patrimonio artistico italiano, ma balzano agli occhi anche esempi di ben altra natura, seppur minoritari rispetto il modello Firenze o Venezia: pensiamo al Musma di Matera con l’avvocato Raffaele De Ruggieri, oppure il dimissionato Massimo Bray, considerato “il miglior ministro per i Beni Culturali che si sia mai visto in questo sventurato paese”, oppure ancora l’opera meritoria del parroco Antonio Loffredo nel quartiere Sanità a Napoli, dove tanti ragazzi disagiati hanno ripreso gli studi e sono stati impiegati facendo leva proprio sul restauro dei beni storici lì presenti. “Istruzioni per l’uso del futuro” è un libro controcorrente, che fa le pulci all’ormai ordinario sfruttamento commerciale e politico del patrimonio culturale e che, come lo era stato “Le pietre e il popolo”, davvero può rappresentare una sorta di manuale di resistenza civile. Una lettura quindi tutt’altro che superflua: una volta avvenuto il passaggio di consegne tra il televenditore di Arcore e il televenditore di Rignano sull’Arno è chiaro che avremo bisogno di nuovi anticorpi.
Edizione esaminata e brevi note
Tomaso Montanari, (Firenze, 1971) storico dell’arte, è professore associato presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università degli studi di Napoli Federico II. Ha pubblicato per Einaudi i saggi “A cosa serve MichelangeloeIl barocco”; per Skira, il pamphlet “La madre di Caravaggio è sempre incinta”. Il libro “Costituzione incompiuta. Arte, paesaggio, ambiente” (da lui curato, e scritto insieme a Alice Leone, Paolo Maddalena, Salvatore Settis; Einaudi 2013). Ha vinto il Premio Internazionale Capalbio per la Saggistica 2013. Collabora con Il fatto quotidiano e le edizioni fiorentina e napoletana del Corriere della Sera. Nel novembre del 2012 ha ricevuto il Premio Giorgio Bassani. Nel febbraio 2013 ha ricevuto dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano l’onorificenza di Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica «per il suo impegno a difesa del nostro patrimonio».
Tomaso Montanari, “Istruzioni per l’uso del futuro. Il patrimonio culturale e la democrazia che verrà”, Minimum fax, Roma 2014, pag. 127
Luca Menichetti. Lankelot, aprile 2014
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