Alberto della Rovere sigla questo intrigante libretto, Un uomo normale, di buona memoria, imperniato sulla figura di Primo Levi, in occasione del centenario della nascita. Si tratta, al contempo, del primo volume di una neonata collana di Saecula, editore con uno sguardo privilegiato per la Storia e i suoi documenti: “Le opere e i giorni”. L’intenzione è quella di ripercorrere l’opera omnia di scrittori di varie epoche, su base cronologica e per i temi che li hanno caratterizzati. Il testo ha una scrittura semplice – in questo caso il nitore della prosa di della Rovere è encomiabile e verificabile nella lettura – con un andamento fluido, che permette di esplorare con agio la biografia quanto la produzione letteraria dei protagonisti. Il libello ha un piglio senza dubbio divulgativo, ma con la veste formale e l’eleganza di un romanzo breve: perciò lo consiglierei in adozione nelle scuole, per entrare in punta di piedi e al contempo fissare chi era l’uomo Levi, prima dello scrittore, e la sua opera sullo sfondo delle vicende storiche e personali che lo hanno reso una figura cardine del Novecento, mondiale prima che italiano ed europeo.
«C’ero. Ci sono stato anch’io là. L’ho veduto, te lo racconto, ne faccio testimonianza. Per quanto posso ricordarmi. Perché la memoria è fallace, non è immutabile, interagisce con l’ambiente, modifica e si modifica. Lo condivido, faccio parola di vita, sulla fiducia di chi mi presta ascolto.» Sembrano scolpite nella pietra queste parole; paiono quasi erigere un monumento imperituro in un’epoca come la nostra, pervasa dalle informazioni, dove regna sovrana la confusione, dov’è sempre più facile abbandonarsi al revisionismo e al negazionismo – un’esplorazione della rete e dei social, in particolare, potrebbero confermare con facilità quanto vado dicendo. L’etimologia della parola superstite (dal latino testis, superstes) ci insegna che testimoniare è un dono, per quanto doloroso e oneroso. Scrive della Rovere: «Un impegno. Una facoltà garantita dalla superstitio, il “sopra stare”, l’essere stati presenti e, poi, superstiti. Sia come testimoni oculari, così come destinatari della testimonianza». Di questo impegno, Primo Levi, ha informato il “resto della sua vita” dopo Auschwitz.
Fa sorridere come da lettori casuali o da tanta critica più o meno ideologizzata Primo Levi venga etichettato come uno “scrittore ebreo”. Levi si adatta alla sua condizione di ebreo a 19 anni, per effetto delle leggi razziali; “scrittore” si percepisce solo dopo la pubblicazione di due libri, Se questo è un uomo e La tregua, dopo i 45 anni, quando lo scrivere inizia a prevalere sul suo lavoro di chimico. Di chimica si appassiona fin da giovane, quando nel 1937 si iscrive alla facoltà di Scienze dell’università di Torino. Con l’aiuto del proprio fiuto e con l’attività pratica di laboratorio, Primo si scrolla di dosso l’idealismo e l’astrazione propugnati da Benedetto Croce e Giovanni Gentile. La ricerca scientifica è il metodo d’indagine per capire il mondo, la Hyle, termine greco che individua la materia, da affrontarsi senza i preconcetti di una supposta superiorità dello spirito. L’errore e la prassi divengono il suo pane quotidiano, in un corpo a corpo con la materia che diviene anche piacere della sfida, una battaglia ingaggiata con un nemico complesso e invisibile, da classificare e definire prima di esporlo, informandone la comunità.
Fin da Se questo è un uomo – redatto tra la fine del 1945 e il gennaio del 1947 – Primo Levi concepisce la scrittura e il suo libro, in particolare, come una scrittura collettiva. La sua è una voce che rappresenta altre voci, un ponte fra la materia bruta narrativa e il suo lettore, «senza derive autoreferenziali», scrive della Rovere. Primo procede senza preoccupazioni di stile; fin dalla prigionia, consapevole delle poche speranze di sopravvivere, sa di dover raccontare, di portare testimonianza. Il suo bisogno è quello di salvare i debiti con i compagni morti: i sommersi. «Raccontare è una medicina sicura», scriverà nel racconto La sfida della molecola. La sua proverbiale riservatezza – ma egli non si sottrae alle tante richieste di interviste e conferenze – gli rende più congeniale la dimensione della scrittura, anche se l’oralità risulterà fondante nell’accumulo di storie e aneddoti che raccoglie da parenti, amici o conoscenti occasionali, durante e dopo l’internamento nel lager.
Da La tregua (Einaudi, 1963) in poi, della Rovere ci conduce per mano, attraverso brevi capitoli e una lettura sempre curiosa e avvincente, nella produzione di Levi: da Storie naturali (1966), pubblicate anche per l’incoraggiamento dell’amico Italo Calvino, a Il sistema periodico (1975). È in quest’ultima opera che il mestiere del chimico e quello dello scrittore si abbracciano, per il tramite della tavola periodica di Mendeleev, su cui Primo organizza il materiale narrativo, per lo più riferito a vicende biografiche, collegandolo per affinità metaforica ai 21 elementi. Il risultato è una sorta di epica di un chimico, alla Conrad, dove ordinare nella tavolta periodica gli elementi che compongono la vita è una sovrumana ricerca di ordine e bellezza, sottostante a un universo in perenne conflitto e apparentemente in preda al caos. Fondamentale, per esempio, è Zinco, ambientato nel 1938, nel momento in cui giornali e riviste iniziano a descrivere l’ebreo come “diverso” e nemico potenziale, impuro per questioni razziali. Primo è fiero di essere il metallo del titolo, capace di reagire con gli acidi solo in presenza di determinate impurezze. «Perché la ruota giri, perché la vita viva, ci vogliono le impurezze […] il dissenso, il diverso, il grano di sale e di senape.»
Nel 1978 viene pubblicato La chiave a stella, definito da Levi come un libro sperimentale: la spassosa epoepa di un montatore di ponti, il piemontese Tino Faussone, e dei suoi viaggi tra Russia e Africa. Un narratore, alter ego dell’autore, ne raccoglie i racconti, come fosse un’intervista in presa diretta. Faussone è la rappresentazione della dignità del lavoro, la determinazione di una tipologia umana definita dal suo mestiere. È il primo libro di Levi in cui la questione ebraica è assente. Primo è cronista delle avventure del suo personaggio, e si raffigura come Tiresia, l’indovino della classicità che incontra i serpenti lungo la sua strada ed è trasformato in donna. Nelle stesse parole di Levi: «[…] essendo un chimico per l’occhio del mondo, e sentendomi invece sangue di scrittore nelle vene, mi pareva di avere in corpo due anime, che sono troppe». È la natura peculiare di Levi, pontiere tra cultura scientifica e letteraria, come lo furono prima di lui Michelangelo, Galileo, Cartesio e Leopardi. È il paradigma di un ibridismo, molto caro a della Rovere e a un autore al quale il nostro è molto legato, anche da amicizia personale, Enrico Palandri, che curò nel 2011 un’antologia di testi commentati di Levi, per Le Monnier, con un felice saggio introduttivo proprio sui “mestieri” di Primo Levi. In un’intervista del 1981, rilasciata a Giovanni Tesio, Levi affermava: «Io credo proprio che il mio destino profondo sia l’ibridismo, la spaccatura. Italiano ma ebreo. Chimico, ma scrittore. Deportato, ma non tanto e non sempre».
Nel 1982 Primo Levi incontra lo scrittore Ferdinando Camon, per una serie di dialoghi che poi saranno raccolti in volume. A Camon Primo Levi confida che dopo la prigionia ha sofferto di alcuni episodi di crisi depressive, ma che non era sicuro si collegassero a quella esperienza perché avevano di volta in volta etichette diverse. Alla domanda, più ideologica che tendenziosa: “Lei è credente?”, Primo risponde: «Non lo sono mai stato. Vorrei esserlo, ma non riesco. C’è Auschwitz, quindi non può esserci Dio». C’è tutto questo e molto altro in questo agile volumetto di Alberto della Rovere. È curata con scrupolo e passione la nutrita Bibliografia critica e fonti in appendice, utile strumento a chiunque si voglia accostare alla figura di Primo Levi e ai suoi lavori. Bella la copertina ideata da Simona Fiori, in un accostamento stridente quanto magnetico tra tonalità arancioni e verde acido. Un appunto, infine, sul poeta Levi, poco frequentato, di cui trarrete ulteriori notizie in queste pagine. Toccanti i versi dedicati all’amata Lucia Marpurgo, Cercavo te nelle stelle (1946). «E quando, davanti alla morte / ho gridato di no da ogni fibra / che non avevo ancora finito, / che troppo ancora dovevo fare / […] Sono tornato perché c’eri tu.»
Edizione esaminata e brevi note
Alberto della Rovere è nato nel 1975. Si è laureato in Filosofia con la tesi Vico e il mito. Ha organizzato e condotto dialoghi a numerose manifestazioni, fra cui Ottobre piovono libri, Forum Nazionale del libro e della promozione della lettura, Pavese Festival. Ideatore della collana Di storie in Storia. Nessuno testimonia per il testimone, per Saecula, dove figura anche come autore di Dialogo con Enrico Palandri (Edizioni Saecula, 2015); è inoltre autore del saggio “Riscrittura e tradizione. La tradizione come canto e discanto in Gianni Celati”, incluso in Gianni Celati. Traduzione, tradizione e riscrittura (Aracne, 2019).
Alberto della Rovere, “Un uomo normale, di buona memoria – Introduzione a Primo Levi”, Edizioni Saecula, Zermeghedo, Vicenza, 2019
Alberto Carollo per Lankenauta, 06 aprile 2020.
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