Stella Gian Antonio, Rizzo Sergio

La casta

Pubblicato il: 6 Ottobre 2007

“Io – disse Einaudi – prenderei una pera, ma sono troppo grandi, c’è nessuno che vuole dividerne una con me?”. Il maggiordomo si fece rosso e anche Flaiano restò un attimo interdetto. Finché alzò la mano: “Io…”. “Qui finiscono i miei ricordi sul presidente Einaudi” annoterà poi lo scrittore. “Qualche anno dopo saliva alla presidenza un altro e il resto è noto. Cominciava per l’Italia la repubblica delle pere indivise”.
Questo succedeva agli albori della Repubblica, un tempo che, se paragonato all’oggi, pare il proprio mesozoico. Il fortunato libro di Stella e Rizzo invece si occupa degli usi e costumi dei moderni politici. Magari nulla di particolarmente nuovo per chi ha sempre letto, sul Corriere e su Sette, le rubriche di Stella, rigorosamente bipartisan nel mostrare le magagne, gli inciuci e i magna magna trasversali della nostra classe politica.
E’ vero però che ben altro effetto può procurare la lettura tutta d’un fiato di 250 pagine piene di moderne marachelle. Un libro del genere in altri paesi forse avrebbe più fortuna come pura fiction e fantapolitica.

Da noi no: è realtà e rappresenta una denuncia circostanziata, grottesca, motivo (forse) di imbarazzi e indignazione.
“La casta” ha avuto e ha tutt’ora uno straordinario successo editoriale  (22 edizioni e un milione di copie vendute), sicuramente favorito dallo stile scorrevole e sarcastico del duo Rizzo-Stella, ma – dicono – anche da un montante clima di antipolitica: potremmo parlare senza esagerare di un fenomeno di costume, ovviamente non alieno da quei condizionamenti pubblicitari e modaioli che fanno la fortuna di tanti best seller.
Non è questa la sede per disquisire sulla definizione di “antipolitica”, termine tirato fuori non soltanto quando si assiste a qualche episodio di puro qualunquismo, ma soprattutto quando, come in questo caso, si punta il dito verso i disinvolti usi e costumi della classe politica italiana. La “casta”, appunto.
Non voglio anticipare troppo, pena trasformare la recensione in un bignami, ma credo sia utile riportarvi l’indice del volume:
“Una oligarchia di insaziabili bramini. Da Toqueville a De Gregorio: la deriva della classe politica”.
1. E pensare che dormivano in convento. Dai paltò in prestito di De Gasperi agli sfarzi hollywoodiani;
2. Un palazzo di quarantasei palazzi. Spese impazzite nell’infinita moltiplicazioni delle sedi;
3. Quattro regine al prezzo d’un Napolitano. Costi segreti al Quirinale, online a Buckinghan Palace;
4. Prodigi: in volo 37 ore al giorno. Da Berlusconi a Bertinotti tutti via con gli aerei di Stato;
5. “Mi dia un’autoblu, tipo Rolls-Royce”. Hanno promesso tutti di tagliarle, ma sono sempre di più.
6. Seggi lasciati agli eredi come case o comò. La Loggia e Mancini, Craxi e Di Pietro, al potere la dinastia;
7. Perso il rolex d’oro? Paga la Camera. I privilegi: dalle scorte ai ristoranti meno cari delle mense operaie;
8. Baby pensionati di 42 anni. E c’è chi ha avuto il vitalizio senza mai sedere a Palazzo Madama;
9. Politica & Affari: Onorevoli S.p.A.. Dalle casalinghe ai tunnel, dalle cliniche alle banche padane;
10. Come puntare un euro e vincerne 180. Ma il referendum non aveva abolito il finanziamento pubblico?
11. Meglio a noi che a Madre Teresa. Più sconti fiscali per le donazioni ai partiti che ai bambini lebbrosi:
12. AAA Cercasi poltrona per trombato. Migliaia di cariche nelle società pubbliche per sistemare gli “ex”;
13. Sa tutto di carceri: commercia pesce! Quei 146.000 consulenti, spesso inutili, dalle maghe agli enti ippici;
14. Una casta nel cuore della Casta. Perché i Gran Commis sono quasi più potenti dei ministri;
15. Fate largo: Sua Maestà il Governatore! Sprechi, clientele e manie di grandezza delle Regioni ordinarie;
16. Ultimo lusso, atterrare sotto casa. Dalla Sicilia alla Val D’Aosta, le spese pazze delle Regioni autonome;
17. Le Province sono inutili? Aumentiamole!Tutti falliti i tentativi di abolirle: servono per distribuire posti;
18. Il signor sindaco ha fatto crac. La ricerca del consenso e i bilanci comunali in profondo rosso.

Ogni pagina un’immersione nel grottesco (e talvolta nel malavitoso): comunità montane a livello del mare, il Quirinale che spende il quadruplo di Buckingham Palace, le lasagnette al ragù bianco e scamorza dello chef del Senato che costa la metà di una pastasciutta della mensa degli spazzini, un partito che dice di voler rappresentare gli italiani nel mondo e che poi si scopre essere nato da una bottega di cuoio ed ombrelli, un fisco che premia coloro che regalano soldi a una forza politica piuttosto che ai bambini lebbrosi, la liquidazione degli immobili D.C. che giunge fino ad una misteriosa finanziaria con sede nelle campagne istriane di Babici in un pollaio intestato a un croato che scaricava cassette al porto di Trieste, l’assessore comunista che assume la moglie, il crac di Taranto e della sindachessa azzurra Rosana Di Bello e via via sprecando e rubacchiando.
E’ vero che la parte del leone, almeno quanto a citazioni e racconti delle loro marachelle (conflitti d’interesse, sprechi, regalie, leggi ad personam), la fanno l’ex premier Silvio Berlusconi, colpito ed affondato anche con la storia, ormai dimenticata, del decreto 1994 sui cinema, e poi Lunardi e soprattutto l’incredibile Totò Cuffaro, l’autentica star del libro; per quanto sia, dopo cinque anni di governo di centro-destra, non era possibile che un libro di stretta attualità non infierisse sui paladini della libertà (di farsi gli affari loro).
Ma è altrettanto vero che lo sputtanamento è rigorosamente trasversale e non risparmia nessuno; nemmeno il “San Giorgio” – Di Pietro è rimasto incolume dalle attenzioni del duo Rizzo-Stella; men che mai l’attuale premier Prodi, D’Alema, Bertinotti, Pecorario Scanio, quei leghisti che pare abbiano finito per apprezzare gli usi e costumi di “Roma ladrona” etc etc.
Gli unici nomi di rilievo che sembrano non ricevere particolari mazzate sono Illy e soprattutto Soru, con i suoi poco riusciti tentativi di frenare la bulimia della casta politica a lui vicino.
Dicevo delle accuse rivolte al libro di fomentare “l’antipolitica”.
E’ vero che “La casta” è una denuncia che assume risvolti grotteschi, ma parlare di “antipolitica” è improprio, non fosse altro che Rizzo e Stella sono due autori che difficilmente si possono attaccare dal lato di una loro presunta faziosità e populismo: tra l’altro non hanno partecipato a girotondi e non si sono mai accompagnati a figuri discutibili ed estremisti.
Il fatto che repliche stizzite provengano da destra, da sinistra, dal centro, da sotto e da sopra, la dice lunga.
Ma soprattutto “La casta” è un libro dove non una volta è citata la parola “gente”.
Anzi, se andiamo a leggere l’ultimo capitolo, quello che racconta le regalie da parte di sindaci e politici locali, vediamo come la società civile, o almeno certa società (in)civile, si sia dimostrata complice della casta di magnaccioni.
Per finire in bellezza voglio donarvi un bonus, ovvero una lunga citazione contenuta a pagina 181.
E’ la risposta di Salvatore Taormina, capo di gabinetto della presidenza della Sicilia, a fronte dalla richiesta del Difensore Civico Lino Buscemi che voleva sapere quanto venissero pagati gli oltre 200 esperti esterni assunti da una regione che ha già qualcosa come 16.000 (!) dipendenti.
Riporto per intero, consigliando grande attenzione a punteggiatura e sintassi: “In merito a quanto richiesto con la nota in riferimento, di cui all’oggetto, indirizzata anche ai destinatari della presente, si richiede alla S.V. di far conoscere allo scrivente ufficio il contenuto delle indicazioni operative sulla scorta delle quali l’ufficio richiedente ha ritenuto di avviare il processo ricognitivo di cui in oggetto. Ciò nella considerazione che le attivazioni inerenti la fattispecie in parola – in ragione della loro delicatezza e complessità correlabile, anche, alla disomogeneità funzionale degli atti che avviano i rapporti privatistici di interesse per la norma in oggetto – di certo, necessitano di opportuni approfondimenti tesi a focalizzare sia il reale ambito di riferimento operativo, sia il soggetto, per opportunità sistematica, competente alla trattazione, sia le modalità procedurali da attivare conseguentemente. In tal senso, le indicazioni operative di cui in premessa, laddove rese, risulteranno stimolo di riflessione prezioso per le determinazioni presidenziali che si riterranno opportune”.
Traduzione?
Non sono del tutto sicuro ma il succo del discorso credo sia questo: la legge sulla trasparenza amministrativa, legge dello Stato italiano, in Sicilia non vale e soprattutto sintassi e grammatica in certi casi svolgono la stessa funzione delle leggine ad personam.
Complice il corrosivo sarcasmo di Rizzo e di Stella, “La casta”, potrà risultare addirittura un libro divertente, almeno per coloro che non vivono la politica col paraocchi e con eccessi di partigianeria.
In fondo l’Italia è un paese strano, dove si invertono i ruoli ed alcuni comici sono diventati indiscussi maitre-a-pensier, mentre alcuni (o tanti) politici fanno ridere, un po’ come Totò.
Cuffaro.

Edizione esaminata e brevi note

Sergio Rizzo è nato ad Ivrea nel 1956. Responsabile della redazione romana del “Corriere della Sera”, ha lavorato a “Milano Finanza”, al “Mondo” e al “Giornale”. Ha scritto con Franco Bechis “Il nome della roso. La storia della casa editrice Mondatori” pubblicato dalla Newton Compton nel 1992.

Gian Antonio Stella è nato ad Asolo nel 1953. Inviato ed editorialista del “Corriere della Sera”, dopo l’esordio nella saggistica con “Schei. Il mitico Nordest dal boom alla rivolta”, ha scritto numerosi libri. Tra i quali “Tribù. Foto di gruppo con Cavaliere”, “L’orda. Quando gli albanesi eravamo noi”, “Odissee. Italiani sulle rotte del sogno e del dolore”, “Sogni e fagotti” (con Maria Rosaria Ostuni), “Avanti popolo. Figure e figuri del nuovo potere italiano” e il romanzo “Il maestro magro”.

Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella – La casta – Rizzoli, 2007

Recensione già pubblicata il 13 Settembre 2007 su ciao.it e parzialmente modificata per lankelot.eu.

Luca Menichetti, lankelot ottobre 2007