Rayfield Donald

Stalin e i suoi boia. Una analisi del regime e della psicologia stalinisti

Pubblicato il: 16 Agosto 2015

Sappiamo che Cicerone scrisse della “Historia magistra vitae” ma anche che il suo insegnamento non ha mai avuto molta fortuna. Ne ha preso atto Donald Rayfield che, proprio al termine del suo libro dedicato a Stalin e ai suoi scherani, ci dice quanto ancora sia attuale l’eredità del dittatore sovietico: “Nel 2003 lo stato russo è governato da un uomo che, per scelta e carriera, è un successore di Jagoda e Beria”. Ed ancora: “I testi scolastici di storia [ndr: della Russia putiniana], con rare eccezioni, tramandano in silenzio il primato dello stalinismo. Finché la storia non verrà interamente raccontata e finché la comunità internazionale continuerà a sostenere che il lascito di Stalin è stato completamente giustificato ed espiato, la Russia rimarrà malata nello spirito, perseguitata dai fantasmi di Stalin e dei suoi carnefici e, peggio, dagli incubi di una loro resurrezione” (pp.498). Questo scriveva lo storico britannico oltre dieci anni fa e a quanto pare aveva visto giusto: la ambizioni imperiali della classe dirigente russa e l’arrembante nazionalbolscevismo hanno fatto sì che, ormai da tempo, la figura di Stalin sia stata riabilitata e che quindi il dittatore sovietico venga ormai raccontato come un padre della patria “severo ma giusto”.

Del tutto controcorrente, anche nei confronti di un rinnovato revisionismo (si veda più recentemente Losurdo), Rayfiel ha insistito invece sugli aspetti psicopatologici di Stalin e della sua cricca. Un’interpretazione legata quindi alle personalità malate di personaggi che, grazie ad uno Stalin non molto diverso da loro, si sarebbero trovati in sintonia per fare dell’Urss il più grande stato totalitario del pianeta. Ed anche interpretazione che non lascia spazio all’idea del potere che corrompe in quanto potere. Da qui la coerente citazione della quarta di copertina: “Tutto il potere, disse un idiota ubriaco, tende inevitabilmente a corrompere, e il potere assoluto corrompe in modo assoluto. Gli uomini astuti dovrebbero pensare con astuzia, e non ripetere un pensiero così debole, perché di fatto il potere è corrotto dalla gente”: Jurij Andropov (Capo del KGB, 1967-1982). Lo Stalin che emerge dalle ricerche di Rayfiel (in primis dagli archivi del KGB) non è nemmeno un comunista fanatico – una prospettiva parzialmente diversa da quanto possiamo leggere nel più noto “Libro nero del comunismo – semmai “il becchino della Rivoluzione” (Lev Trotsky), il dittatore spietato che utilizzò il marxismo per dissimulare una nuova forma di nazionalismo slavo: “portò a termine la missione, iniziata da Lenin, di distruggere la struttura sociale, legale ed economica della società russa; rese il socialismo rivoluzionario un contenitore vuoto del suo fascismo (non era più comunista di quanto un papa Borgia fosse cristiano)” (pp.273).

Un dittatore il cui ateismo in qualche modo rappresentò una “ribellione contro Dio piuttosto che il ripudio della divinità”: “Se perse la fede, Stalin mantenne le sue convinzioni calviniste a proposito del peccato, della caduta, della grazia e della dannazione” (pp.29). E’ la storia del totalitarismo sovietico – dallo sterminio dei kulaki e l’Holodomor, passando per l’affermazione del sistema gulag, per le sanguinose purghe seguite all’assassino di Kirov, per il massacro di Katyń, fino alla morte ingloriosa di Lavrenty Beria – costruito anno dopo anno grazie all’opera di personaggi mefistofelici,  assimilabili ad autentici serial killer, responsabili di milioni di morti; e grazie anche alla complicità degli utili idioti occidentali, a volte accecati dall’ideologia, a volte perché cinici opportunisti, a volte semplicemente perché corrotti: “Alcuni giornalisti, specie Duranty, furono comprati da Jagoda e diffusero con dovizia di particolari la propaganda di Stalin,  non solo per ottenere l’accesso privilegiato ai commissari, ma anche per evitare sgradevoli rivelazioni circa la propria attività” (pp.193). Tutte considerazioni, e analisi basate su fatti incontestabili, che ci ricordano le parole di Luciano Pellicani in merito ad un sistema che non ha avuto nulla a che vedere con la lotta di classe e che ha visto comunismo e nazismo animati “dalla identica hybris totalitaria: la purificazione del mondo attraverso l’annientamento degli agenti inquinati ed inquinanti”. Potremmo dire un modo di “purificare il mondo attraverso il terrore catartico”. Se Stalin rimase al potere per trent’anni, abile nel propagandare il paradiso in Terra e la giustizia sociale, fu anche in virtù di capi delle forze di sicurezza e della polizia segreta, dalla Čeka, al GPU, per finire con il NKVD: tra i tanti Feliks Dzierzynski, Vjaceslav Menzinskij, Andrej Vyšinskij, Genrikh Jagoda, Nikolaj Ezov, Lavrenti Beria, Vorosilov, Malenkov, Molotov, Mikojan, Kaganovic, spietati carnefici che il più delle volte furono a loro volta epurati. Un fiume di sangue che iniziò fin dall’epoca leninista e che con Stalin si incrementò sempre più: i trent’anni che videro il dittatore georgiano sul trono del Cremlino appaiono scanditi da gulag, incessanti purghe di fedelissimi caduti in disgrazia, autentici genocidi e, ancora una volta, dal silenzio degli occidentali. Il racconto di Rayfiel non lascia tregua e, a dirla tutta, piuttosto che una puntuale analisi degli aspetti psicopatologici dei boia di regime, probabilmente impossibile a distanza di tanti anni e in assenza di anamnesi specifiche, è semmai un susseguirsi incessante di biografie di burocrati assassini, di efferatezze e di meschinità; anche da parte di presunti eroi ed eroine dell’antifascismo.

I “boia” e i complici di Stalin (poi spesso vittime dell’ingranaggio che avevano contribuito a perfezionare) presi in esame da Donald Rayfield sono innumerevoli e il più delle volte si mostrano sconcertanti nella loro fredda opera di torturatori e di eliminazione fisica degli avversari, reali o presunti che fossero. Diciamo presunti perché, com’è apparso in tutta evidenza al tempo delle “grandi purghe”, quelle che decimarono l’esercito, gli intellettuali e soprattutto la dirigenza del partito comunista (compresi i parenti dei caduti in disgrazia), “Stalin eliminò, politicamente e poi fisicamente, tutti i politici che si erano dimostrati in grado di agire o persino di pensare in modo indipendente” (pp.304): soltanto il sospetto di una possibile e futura autonomia di pensiero rispetto la persona di Stalin bastava a decretare la morte, a volte a seguito di processi farsa, a volte mediante modalità ancor più sbrigative. Piuttosto interessante anche il parallelo con Hitler, anche se Rayfiel ammette che i tanti studi comparatistici intesi ad analizzare il volto psicopatologico dei due dittatori non possono che giungere ad esiti analoghi: da un lato le evidenti differenze soprattutto in relazione alla distanza tra la società russa e quella tedesca, sia, sopratutto nel decennio 1932-1941, gli inaspettati interessi comuni e le reciproche influenze tra i due tiranni: “per il corpo politico l’hitlerismo fu come un cancro che apparentemente permette al corpo di funzionar in modo normale finché non lo distrugge; lo stalinismo, invece, somigliò più alla larva di una vespa parassita, che divora e si trasforma nel corpo politico invaso” (pp.274).

Donald Rayfield, nel suo intento di mostrare gli aspetti malati dei boia al servizio di Stalin, forse rischia di mettere in ombra il passato di violenza e tirannia che ha caratterizzato l’intera storia della Russia, con lo stalinismo epigono di una tradizione sanguinaria; ma di sicuro il suo libro rappresenta ancora oggi un’opera di capitale importanza: pagine di verità che si contrappongono al montante negazionismo che dipinge il dittatore georgiano come lo statista severo, magari colpevole di qualche azione disdicevole ma apprezzabile per aver affermato il socialismo a livello planetario e, soprattutto, per aver costruito una superpotenza capace di contrapporsi all’occidente capitalista.

Edizione esaminata e brevi note

Donald Rayfield, (Oxford, 1942) storico e critico letterario britannico. E’ professore di Russo e Georgiano al Queen Mary College dell’università di Londra. E’ autore di numerosi saggi sulla Russia, sulla Georgia, su Stalin e su Beria, tra cui la monografia “The Literature of Georgia: A History”. E’ anche autore di una biografia di Anton Cechov.

Donald Rayfield, “Stalin e i suoi boia. Una analisi del regime e della psicologia stalinisti”, Garzanti Libri (collana Collezione storica), Milano 2005, pp. 591.

Luca Menichetti. Lankelot, agosto 2015