Cornwell Patricia

L’ultimo distretto

Pubblicato il: 12 Luglio 2006

Avevamo lasciato Kay Scarpetta alle prese con un tipino parecchio inquietante: Jean-Baptiste Chandonne, il Lupo mannaro accusato dell’omicidio di nove donne. Aggredita dal peloso, a stento la medico legale è riuscita a salvare la pelle; ma le grane per lei non sono finite.
Chandonne continua a dichiararsi innocente e, malgrado l’aspetto e le poco rassicuranti pelosità, non risulta essere affatto un cavernicolo: il presunto lupo dimostra una sorprendente razionalità. Comincia a farsi largo in Kay una inquietudine: Chandonne è veramente il pazzo omicida autore degli efferati delitti a base di violente morsicature?
L’omicidio di Susan Pless avvenuto a New York prima dell’arrivo accertato di Chandonne dalla Francia e con le stesse modalità da lupo mannaro, rende il quadro ancora più complesso.
Come se non bastasse il procuratore Jaime Berger, su suggerimento di vecchi “amici”, sembra sospettare Kay dell’assassinio di Diane Bray.
La famosa patologa dovrà fare i conti ancora una volta con un passato che la tormenta e che torna inesorabile: il caso Chandonne si intersecherà sorprendentemente con antiche vicende, col suo ex Benton Wesley, Diane Bray l’ultima vittima del Lupo, la serial killer Carrie Gretchen e Jay Taller il prestante funzionario dell’interpol da cui tempo addietro s’era fatta dare du’ colpi. “L’ultimo distretto” è il proseguimento di “Cadavere non identificato”.
Pur rimanendo ferme le perplessità in ordine alla qualità della Cornwell scrittrice, il romanzo questa volta ci risparmia troppe divagazioni dal sapore psicologico e la vicenda thriller entra subito nel vivo. Rispetto a “Cadavere non identificato”, “L’ultimo distretto”, malgrado i già riferiti limiti “artistici” ha dalla sua una trama più che decente; oserei dire “che acchiappa”.
Finale a sorpresa (anche se i lettori di gialli più smaliziati ed esperti avranno intuito già molto a metà del romanzo): i presunti “buoni” si scoprono parecchio ma parecchio “cattivi”.
Un plot adattissimo per un eventuale serial poliziesco. I difetti, seppure meno evidenti, sono quelli del “Cadavere”: la figura di Kay Scarpetta si perde in superficiali sentimentalismi, ben poco funzionali al racconto e poco coerenti con l’atmosfera thriller che si vorrebbe creare. Sentimentalismi in qualche modo incoerenti con il dichiarato spirito forcaiolo che anima la Patricia (ad onor del vero in Ultimo distretto si respira uno spirito sorprendentemente più “abolizionista” con una Kay che non simpatizza col boia).
Stesso discorso (sentimentalismi poco funzionali) vale per Lucy la nipotina lesbica, delle sue amanti e di Anna una nuova amica di Kay dal ruolo parecchio ambiguo. Meglio delineato Marino col suo approccio molto naif.
La scrittura è quella che è,  mediocre e non sarebbe una novità: molti scrittori “di genere” non sono stati impeccabili quanto a stile, magari approssimativo, ma riuscivano a compensare certe carenze formali grazie alla fervida immaginazione e all’abilità nel costruire trame ingegnose.
Non pare sia il caso delle Cornwell, ultimamente molto criticata per una sorta di approccio in serie, una quantità di romanzi sfornati a raffica, che avrebbe causato lo scadimento della loro qualità letteraria. Se dovessimo ragionare così che dire dei prolifici Rex Stout, James Hadley Chase, E.S. Gardner, Ed McBain, Edgar Wallace? Per non parlare di Simenon.
Quello che si può dire della Cornwell scrittrice è presto detto: sopravvalutata, autrice di qualche opera di buon livello, fin troppo legata al personaggio di Kay Scarpetta, sicuramente non assimilabile ai citati maestri del genere “giallo” e “noir”. L’ultimo distretto”: malgrado i limiti che ho tentato brevemente di evidenziare, assolutamente due gradini sopra il precedente “Cadavere non identificato”.

Edizione esaminata e brevi note

Patricia Cornwell, L’ultimo distretto, Oscar Mondadori, Milano 2002, pp. 401

Recensione già pubblicata su ciao.it  il 31 ottobre 2003 e qui modificata

Luca Menichetti. Lankelot, luglio 2006