Autoassolversi: una tendenza molto umana e piuttosto contemporanea. Solitamente la buona fede non c’entra e nemmeno la relatività degli eventi. Picchiare una donna, fosse anche per una volta sola, è un gesto squallido a prescindere. Ma è più comodo pensare che la donna, probabilmente, se la sia andata a cercare. Così come è comodo credere che trasportare clandestini nascosti in un Tir da una frontiera all’altra d’Europa sia un gesto epico. Non si tratta di punti di vista alternativi, ma di visioni totalmente distorte della realtà. E il protagonista del breve romanzo di Michele Lupo ha una concezione piuttosto soggettiva, e spesso deforme, di quel che gli capita. Alla fine il risultato non cambia: non sa riconoscersi colpe né altre mancanze perché forse è meglio incolpare gli altri, il destino o Dio, se qualcuno preferisce.
“Io sono la montagna” è una lettera. Una lettera che contiene un racconto. Un racconto che è essenzialmente un flusso di coscienza. L’uomo che scrive, scrive a Vera, una donna conosciuta in un’edicola. La stessa donna che l’uomo che scrive ha picchiato. Quella che non avrebbe dovuto seccarlo tenendo la televisione accesa: “E tu non solo non hai capito che dovevi spegnerla la televisione, non hai capito che la gente se non capisce al volo cosa deve fare vuol dire che non è adatta, ma mi hai anche detto, Ascolta, ti fa bene“. Vera è in un letto d’ospedale e lui compone una lunga e disordinata missiva perché vuole spiegarle tutto. Scrive accumulando parole, scomponendo e ricomponendo eventi, sparpagliando ricordi e rincorrendo alibi. Scrive in maniera frammentaria, caotica, irrefrenabile, sgrammaticata. Scrivere, ovviamente, non è la sua arte. Non ha mai letto granché, tranne in prigione. Lì leggere aiuta a far passare il tempo. E si è lasciato conquistare dalla Bibbia. Da Giobbe, in particolare. Come Giobbe anche lui si sente perseguitato dal Signore. Come Giobbe anche lui si sente punito ingiustamente. Come Giobbe anche lui è arrabbiato con Dio.
Tra i frammenti del suo raccontare spuntano così i fatti di una vita. Il paesino del sud Italia da cui proviene e in cui ha deciso di non tornare più dopo aver avuto una storiella di sesso spicciolo con la moglie di suo fratello. Quel salire giovane fino ad Amburgo per trovare un lavoro qualunque. E poi una moglie che pensa di sapere tutto e un figlio che da grande vuole fare il Carabiniere. Insostenibile. Poi i viaggi in Tir e quel traffico di carne umana da portare oltre il confine per mille euro ad anima. “Voi cercate di salvarvi e io vi do una mano. Mille euro per cambiare la vita. Fine della storia. E non è che controllavo i chili per persona. Si facevano somme alla buona. Un Tir è un Tir, non un cruciverba“. Tanti soldi in più, certo. E le soddisfazioni materiali per sé e per una famiglia che non fa domande e si limita a cambiare canale ogni volta che al TG appaiono immagini di facce disfatte di gente che viene da chissà dove. E poi c’è il carcere, una pena fin troppo dura per chi, come dice l’avvocato, ha solo protetto il proprio Paese dal pericolo islamico.
“Io sono la montagna” racconta la decadenza di un uomo, una rabbia che comanda e si fa regola. Un personaggio che è facile detestare per la sua moralità scadente, per quella mediocrità tutto sommato molto “normale” che induce molti a ritrovarsi in strani giri solo perché starne fuori vuol dire non guadagnare quanto si vorrebbe. Perché nessuno è tanto stupido da rinunciare ad intascare soldi facili anche se questo implica il rischio di finire in carcere. Creare personaggi negativi richiede lo stesso talento necessario a plasmare eroi e Michele Lupo qui ha saputo delineare una figura pienamente deprecabile, un individuo che ragiona solo a modo suo e che agisce secondo le stesse logiche. Confessarsi come fa l’uomo che scrive dovrebbe o potrebbe servire a rinvenire gli errori commessi, a esorcizzare valutazioni sbagliate, a riconoscere l’assurdità della propria violenza. Ma questa confessione non conduce a nulla di simile. In uno scrivere grossolano, tra cancellature e smagliature, tra strappi ed eccessi, l’uomo si convince, ma non ci convince, che davvero non ha avuto altra scelta e quella montagna che dice di essere, in fin dei conti, è destinata a franare miseramente su se stessa.
Edizione esaminata e brevi note
Michele Lupo è nato a Buenos Aires ma vive e lavora come insegnante a Tivoli. E’ autore del saggio “Elementi carnevaleschi nel Decameron” (Loffredo Editore, 1992), del romanzo “L’onda sulla pellicola” (Besa Editrice, 2004) e della raccolta di racconti “I fuoriusciti” (Stilo). Ha pubblicato l’e-book “Il ritmo dell’architetto” (Lite Editions) e il recente “Io sono la montagna” (EpiKa edizioni, 2015). E’ autore di reportage e racconti raccolti in varie antologie.
Michele Lupo, “Io sono la montagna“, EpiKa edizioni, Castello di Serravalle – Valsamoggia (BO), 2015.
Pagine Internet su Michele Lupo: Blogspot / Lankelot / Wikipedia
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