L’impressione è che “L’hurlement”, sia stato scritto da Tahar Ben Jelloun, a partire dal 7 ottobre 2023, di giorno in giorno, quasi a voler cristallizzare le emozioni suscitate a caldo da quanto sta accadendo tra Israele e la Palestina. Emozioni che, in questo brevissimo pamphlet, risultano sempre mitigate dal buonsenso dell’artista che, in tutta evidenza, ancora crede agli “scrittori e artisti in cerca di pace. È una ricerca simbolica, perché tutto quello che hanno è una penna e un pennello […] Eppure continuo a dire che solo la poesia potrà salvare il mondo” (p.63). La poesia forse si, ma gli intellettuali – almeno molti dei cosiddetti intellettuali che leggiamo in questi giorni – probabilmente no visto il loro pontificare sulla pace giusta e la pace sbagliata, col loro fucilino da salotto. Ma è proprio la testimonianza di Tahar Ben Jelloun, con affermazioni, a rigore scontate per qualsiasi persona non estremista che sappia ragionare con un minimo di buon senso, che dà la misura delle condizioni misere dell’attuale politica e informazione. Clima che dopo il 7 ottobre si è ancor più incarognito come possiamo leggere dalle parole di una donna palestinese di Gaza riportata dall’amico giornalista Karim Boukhari: “La gente mi manda messaggi chiedendo ‘sei pro-Israele o pro-Palestina?, come se stessimo tutti guardando una partita di calcio. Indossi una maglia blu o rossa? Non indosso nessuna delle due. Indosso il nero. Piango la perdita di vite israeliane e palestinesi” (p.68).
L’aspetto più coraggioso del pamphlet di Ben Jelloun, che pure si è sempre dichiarato partecipe della causa palestinese, è appunto il fatto di volersi tirare fuori da questa contrapposizione, tanto cinica quanto infantile, tra i cosiddetti filo-israeliani e i cosiddetti filo-palestinesi. Ben Jelloun nel suo libro esordisce ovviamente con la condanna senza appello, senza alcuna possibile giustificazione della strage perpetrata dai militanti di Hamas; e nello stesso tempo, di fronte alle stragi di palestinesi causate dai bombardamenti israeliani, giustamente si chiede come si possa misurare il peso dell’orrore: “Non è più un caso di ‘occhio per occhio, dente per dente’; per ogni morto israeliano, centinaia di palestinesi devono scomparire, morire sotto le bombe o morire di fame e di sete tra le macerie e le ceneri della sventura” (p.70).
In sostanza “L’urlo” del poeta franco-marocchino non è soltanto un generico appello alla pace, semmai è un invito a comportamenti basati su realismo e verità, soprattutto quando prende atto di quanto l’attuale presidente dell’Olp sia privo di carisma e intelligenza politica; oppure quando ribadisce la necessità dello sforzo “a pensare ai palestinesi e pensare che Hamas non corrisponde ai palestinesi” (p.90). Quell’Hamas che è “nemico dichiarato del nostro Paese [ndr: il Marocco] e della sua causa sacra, il Sahara marocchino” (p.88). Un’etica che, a quanto pare, deve avergli procurato qualche guaio, come ci ricorda lo stesso Ben Jelloun: “L’ex primo ministro del governo islamista, Abdel Illah Benkirane, mi ha dedicato un intero discorso, chiamandomi con una serie di appellativi che non oso scrivere qui […] Un invito all’omicidio” (p.82).
Se poi è vero che questo sembra un “tempo di lutto e vendetta”, con toni tali da prefigurare una guerra di cent’anni e più, Tahar Ben Jelloun si congeda con l’ennesimo appello alle grandi potenze – le potenze che dovrebbero imporsi ad entrambe le parti – ricordandoci che “non tutti gli israeliani seguono l’estrema destra. Non tutti i palestinesi seguono la politica di Hamas”.
Affermazioni del tutto ovvie ma che, di questi tempi, soprattutto in presenza dei già citati intellettuali col fucilino, di tanti poveretti esagitati dai social media, di politici che non fanno politica, evidentemente tanto ovvie non sono.
Edizione esaminata e brevi note
Tahar Ben Jelloun è nato a Fès (Marocco) nel 1947, vive a Parigi. Poeta, romanziere e giornalista, ha vinto il Premio Goncourt nel 1987.
Tra i suoi numerosi libri, Creatura di sabbia (1987), Notte fatale (1988), L’estrema solitudine (1999), L’Islam spiegato ai nostri figli (2001), Amori stregati (2003), L’ultimo amico (2004), “La fatalità della bellezza”, in Notte senza fine. Amore, tradimento, incesto con Amin Maalouf e Hanif Kureishi (2004), Non capisco il mondo arabo (2006), Partire (2007), L’uomo che amava troppo le donne (2010), Fuoco (2012), L’ablazione (2014), È questo l’Islam che fa paura (2015). Presso La nave di Teseo sono usciti Il matrimonio di piacere (2016), Il terrorismo spiegato ai nostri figli (2017), la nuova edizione ampliata di Il razzismo spiegato a mia figlia (2018), La punizione (2018), Insonnia (2019), La filosofia spiegata ai bambini (2020), Dolore e luce del mondo (2021), Il miele e l’amarezza (2022).
Tahar Ben Jelloun, “L’urlo. Israele e Palestina. La necessità del dialogo al tempo della guerra”, La nave di Teseo (collana “Le onde”), Milano 2023, pp.96. Traduzione di Anna Maria Lorusso.
Luca Menichetti. Lankenauta, gennaio 2024
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