Il primo microlibro della collana Elettra di edizioni effequ, “L’Olivastro”, di Marta Zura-Puntaroni, quando lo leggi ti stringe e ti tiene a sé, a partire dall’incipit:
«Alla fine per la foto del giornale scelsero Simonetta Calamante. «È più materna» disse Filippo. «Rassicurante» aggiunse, dopo una pausa. Caterina finse di non prendersela e annuì. Con Simonetta Calamante aveva passato buona parte dell’infanzia e delle scuole elementari, come è normale che accada in un paese piccolo, dove ogni anno il numero di nuovi nati difficilmente supera il centinaio. Simonetta Calamante da bambina era una bulla con le braccia grosse che riusciva a dare manate dolorosissime su tutti i punti del corpo che più difficilmente potevano venire notati dalle maestre – già a pochi anni era falsa e manipolatrice, ladra di giocattoli, distruttrice di disegni e costruzioni, leccaculo coi potenti e prepotente coi deboli. A quattro anni l’unica maniera che Caterina conosceva per fermare Simonetta Calamante era affondarle tutta l’arcata dentale nell’avambraccio, e stringere stringere stringere finché non le arrivava in bocca il sapore del sangue.
Materna e rassicurante.»
È la storia di Caterina, la “figliola prodiga”, di ritorno alla casa del padre nel paese dell’infanzia e dell’adolescenza, nelle Marche; di ritorno dai suoi fallimenti come studentessa di giurisprudenza, come compagna di un Matteo entusiasta di tutto quel mondo che a lei non entusiasma affatto e anzi, deprime; di ritorno da una procrastinazione asfittica che l’ha avvolta in quel cellophane che per lei è stata da subito la città Milano, raggiunta sull’onda dei desideri materni. Desideri di riscatto dalla terra selvatica, rustica, odorosa di fatica del marito e della sua, di fatica, di moglie e madre insoddisfatta. Che infatti poi si separa dal marito e se ne va.
Immersi nella terra che ospita i loro olivastri rimarranno solo Caterina e il padre, proprio come i frutti minuti e le foglie stondate della loro pianta preferita, nella loro piccola follia che li unisce e li rende così uniti e diversi da tutti, anche dall’altro figlio e fratello di Caterina, Filippo. Lui pure prodigo, ma solo perché costretto dalla perdita del lavoro. Omosessuale finalmente libero (anche dalla bulla Simonetta Calamante che gli ha avvelenato l’infanzia) e molto più aperto rispetto alla sorella, sia alle relazioni, sia al dimenticare le offese subìte, sia alla “sua” Milano adottiva, lasciata controvoglia.
La storia di Caterina ti serra, ti fa ridere e commuovere, fino alla fine. Fino alla chiusura di un cerchio perfetto, un cerchio che inghiotte sì, ma inaspettatamente ti fa sentire l’odore dei campi, la potenza del richiamo alle origini ma anche e soprattutto il sapore della libertà di scegliere di tornare, e restare. Fino alla fine.
Edizione esaminata e brevi note
Marta Zura-Puntaroni è nata nelle Marche e ha vissuto a Siena, dove ha studiato e si è laureata in lettere moderne con una tesi sulla figura della Llorona. Ha lavorato nella comunicazione e tuttora gestisce la seguitissima pagina instagram @unasnob. Ha pubblicato i romanzi Grande Era Onirica (minimum fax 2017) e Noi non abbiamo colpa (minimum fax 2020).
Attualmente vive a Padova.
Marta Zura-Puntaroni, “L’Olivastro”, edizioni effequ (collana “Elettra”), pp. 70. seconda edizione maggio 2023
Elena Marrassini. Lankenauta, Aprile 2024
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