“Il sonno ormai imminente aveva stretto la sua presa su di me e ora gli angoli del materasso sembravano tutti scomodi e fuor di sesto. Voltandomi bruscamente, mi accorsi di quale fosse il problema: aveva lasciato l’album sul letto. Cercai di spostarmi, ma le pillole mi avevano paralizzato i muscoli, e potei soltanto provare a colpire il volume, centrando la copertina con un ginocchio e spargendo ai quattro venti le foto e i ritagli di giornale. Mia madre uscì dalla stanza. Mi addormentai tra gli scomparsi: la carta tagliuzzata, lo scotch e la colla scurita, tutti i lori volti amabili e perduti” (p. 66).
Gli scomparsi. Le loro foto, i loro volti, le loro vite immaginate da un mente indagatrice e alterata che afferma lei stessa d’esser stata vittima di una sparizione. I ricordi di Donna sono mutevoli, cambiano a seconda di chi ascolta la sua storia. I ricordi di Donna sono minati dalla malattia, dolorosa e terminale. Ciò non le impedisce, in conseguenza del ritrovamento del cadavere dell’ennesimo ragazzo scomparso nei pressi di Hutchinson, nel Kansas, di tentare un’ultima indagine che richiami in un sol colpo tutti gli scomparsi: le loro foto, i loro volti, per lo più simili a quello di Warren, a quello di Scott (di Otis/Allen). Due volti bambini-adolescenti che incarnano gli affetti più importanti della sua vita.
A 13 anni dalla folgorante opera prima, Mysterious Skin (del 1995, arrivato in Italia solo nel 2006), e a 11 dal da noi inedito In Awe, esce da una lunghissima gestazione (10 anni tondi tondi, ci ha lavorato su) Le sparizioni, romanzo nel quale il 43enne letterato americano Scott Heim conferma tutte le sue qualità narrative, regalandoci una storia avvincente e dolorosa, che affascina per il suo incedere meditato, per le sue dissolvenze, le sue evocazioni e i suoi rimandi, per il particolare e coinvolgente metodo d’indagine che avvicina il lettore al suo mondo. Heim, in effetti, ripropone anche ne Le sparizioni alcune costanti di Mysterious Skin, come i luoghi e parte delle tematiche, rafforzando l’intreccio e concentrandolo su due motivi essenziali e universali: l’amore e la morte.
ll ritrovamento in Kansas del cadavere di un ragazzo scomparso è l’occasione per Donna, rimasta sola dopo la morte dell’ultimo marito e consumata da un tumore che ne divora progressivamente gli ultimi aneliti di vita, di richiamare a sé il figlio Scott, trasferitosi da tempo a New York per lavorare in una casa editrice che sforna racconti per bambini. È l’occasione per ritrovare le atmosfere adatte per “giocare” a fare i detective un’ultima volta, nel tentativo di svelare il mistero dei tanti ragazzi scomparsi nel Kansas nell’arco di un cinquantennio. Mistero che, a suo dire, vede ella stessa coinvolta. Donna aveva accennato la storia già in passato ai suoi due figli, Scott e Alice, ma la prossimità alla fine le impone soprattutto un’urgenza: capire chi sono quei due anziani signori che la rapirono quando era bambina, il perché la trattarono amorevolmente per una settimana prima di riportarla indietro, restituendola alla sua famiglia e al suo mondo. E di capire che fine ha fatto Warren, il bambino che fu rapito insieme a lei e che le è rimasto nel cuore e nei pensieri per tutta la vita. Scott è tossicodipendente, consumato dalla droga che ne offusca i pensieri e ne mina la lucidità; vive nella Grande Mela ma si è allontanato da tutto e tutti, trovando conforto solo nei suoi cristalli e nelle sue metanfetamine. Decide di tornare in Kansas, prendendosi una pausa dal lavoro ma non dalla droga, di cui fa una scorta peraltro esigua, cadendo presto in crisi d’astinenza. Ma per Donna e Scott non esiste nient’altro che conti di più, in questo momento, che svelare il mistero delle sparizioni e con esso ritrovare un passato sepolto nei ricordi che le opposizioni dell’inconscio e le alterazioni degli stati della mente, dovuti alla malattia (e per Scott alla droga), non possono e non devono più occultare.
Heim struttura la narrazione come un thriller, fitto di mistero e inquietudine, per parlarci di un amore tra madre e figlio propedeutico all’indagine di quel sentire umano, totale e totalizzante, che interviene quando siamo in prossimità degli estremi entro i quali scorrono le nostre esistenze: la vita e la morte, il percorso circolare da cui nessuno sfugge. Il romanziere del Kansas dimostra, a questo proposito, il coraggio che lo aveva contraddistinto già in Mysterious Skin, nel trattare un tema antinarrativo, scomodo e scorrettissimo come la pedofilia. Parlare della morte – di una malattia terminale che descrive come suo costume con dovizia di particolari – in modo così diretto e impietoso, così esplicito e verosimile, è un qualcosa che cozza con la sensibilità indotta al mondo contemporaneo (sul tema, leggere il brillante saggio autobiografico di Massimo Fini, Ragazzo. Storia di una vecchiaia). Parlare di pedofilia e di malattia terminale e prossimità alla morte, lo ribadisco, è quanto di più impavido possa fare un letterato moderno, perché rischia seriamente di non vendere una copia. Heim è bravissimo a trasportare il lettore sui sentieri della sua potente scrittura, sul suo mirabile intreccio, sulla sua capacità di centrare l’attenzione sulla sostanza come sulla cornice, valorizzando ogni singolo personaggio e stando ben attento a contenerne il numero sulla scena. La disinvoltura e la naturalezza con cui alterna lirismo – essenziale, mai ridondante – e descrizioni impietose è un dono e una cifra visibile e inconfutabile della sua scrittura:
“Sopra la linea dell’orizzonte, il cielo era attraversato dalle scie vaporose dei primi aerei della sera. Nella luce del tramonto, da bianche divenivano rosate. Mia madre rimise le foto nella borsa. Le labbra le tremavano: strizzava gli occhi, in preda a una sensazione di doloroso e instabile affaticamento. Sapevo che qualunque cosa potessi dire sarebbe suonata sbagliata, e terribile. Quando alzai di nuovo gli occhi, il sole era sparito e le striature rosa erano passate a un rosso scuro, come se un angelo, sepolto vivo nel cielo, ne avesse graffiato furiosamente la campitura fino a spezzarsi le unghie, nel vano tentativo di scavarsi una via di uscita” (p.121).
Di là dalla grande tematica di riferimento e dalla struttura narrativa, Heim conferma ne Le sparizioni l’inclinazione ad indagare le contraddizioni dell’America marginale, universalizzando i suoi motivi esistenziali e letterari nel far emergere i sottotemi delle radici geografiche (ancora una volta Hutchinson e il Kansas), dell’omosessualità vissuta con difficoltà (Scott è gay, ancorché il fatto non sia centrale nel racconto), dell’auto isolamento e della desolazione, dell’importanza della componente inconscia, del disincanto che avvolge una generazione (la sua, quella dei 30/40enni) che è impossibilitata a sognare e costretta a sopravvivere a un mondo – un’America – che fagocita tutto e tutti, soprattutto a certe latitudini. Il disincanto è una cifra evidente, che non fa rima mai però con disilussione e resa totale, come dimostra la strenua lotta che sostengono, pur gravati fortemente dalla vita, i protagonisti dei suoi libri. Donna, a questo proposito, restituisce una voglia di lotta e di umana resistenza che non può non coinvolgere il lettore: un personaggio caratterialmente forte, disegnato magistralmente da Heim, evocante ginestre di leopardiana memoria.
Più si affievolisce il mondo conscio dei personaggi, più risalta il desolante territorio in cui Heim fa vibrare i più dolorosi motivi dell’opera in questione: droga, alcol, malattia terminale, sparizioni e morte contribuiscono a far emergere l’amore tra un figlio e sua madre, un amore che tra le difficoltà e i segreti riesce sempre a comunicare al lettore un forte impulso alla vita. Pur agghiacciando e disturbando, scavando ancora una volta nei profondi recessi dell’inconscio, il romanziere americano si conferma come una delle penne più originali e potenti della letteratura americana contemporanea. E il fatto che ci abbia messo 10 anni a comporre Le sparizioni non è affatto un difetto, vista la cura ai dettagli e la forza che emana questo romanzo.
In conclusione, il mistero nel mistero, quello della sparizione di Donna: cosa è successo veramente? Un mistero nel mistero che si svela – solo in parte – nelle ultimissime pagine ma che, sottotraccia, lascia insoluto quello più grande da cui è generato: quelle foto, quei volti bambini e adolescenti, tutti così somiglianti tra loro, cosi innocenti, pallidi e indifesi, quei corpi così esili e ancora in fiore, che fine hanno fatto? Forse vagano ancora per una landa desolata (bellissima la copertina in bianco e nero con un bambino voltato di spalle che cammina da solo, sormontato da bianche nuvole, in una strada ai margini d’America), o nell’abisso della mente di Donna, o di Scott. Quel che è certo è che l’America fagocita i suoi figli ancora in fiore, li fagocita e poi li dimentica. E tra le pieghe della narrazione proposta da Heim, sia in Mysterious Skin che ne Le sparizioni, è proprio questo che emerge prepotentemente, questa inquietudine senza fine, per un’adolescenza e un’infanzia rimaste indifese, lasciate in balia di un nebuloso destino:
“Ma ovviamente si tratta solo di ipotesi. Una delle tante cose che non scopriremo più. Non abbiamo mai trovato il giardino dei peschi. E non abbiamo mai trovato Warren. Che gran conforto sarebbe, dopo tutti questi anni, sapere la verità. Che liberazione, trovare finalmente la pace” (p.318).
Federico Magi, aprile 2009.
Edizione esaminata e brevi note
Follow Us