Rajchman Chil

Treblinka 1942-1943. Io sono l’ultimo ebreo

Pubblicato il: 2 Febbraio 2014

Chil Rajchman è uno dei pochi ebrei usciti vivi da Treblinka. Il suo inferno è durato un anno intero. Poi la clamorosa fuga: Rajchman è riuscito a scappare dal campo di sterminio. Nel 1945, prima che la Guerra avesse fine, ha scritto questo libro che è stato pubblicato solo nel 2009, quattro anni dopo la morte del suo autore. “Treblinka 1942-1943. Io sono l’ultimo ebreo” è un libro di una portata storica e testimoniale eccezionale perché, come spiega la Wieviorka in prefazione, è uno dei pochi testi ad essere stati scritti immediatamente dopo gli eventi che narra. Spesso le memorie dei sopravvissuti vengono recuperate, scritte e pubblicate a parecchi anni di distanza dai fatti raccontati. Il libro di Rajchman, invece, è talmente prossimo alle vicende che l’autore ha vissuto da riuscire a trasmetterne tutta l’immediatezza, la ferocia e la brutale limpidezza.

I ricordi di Chil Rajchman sono dettagliati e precisi. La sua è una testimonianza accurata, scritta con una purezza che lascia senza parole. Non c’è alcuna grazia in questo libro perché non è possibile rintracciare nulla di edificante in un’esperienza come quella di Rajchman. Nell’aberrazione che ha vissuto non c’è spazio per il lirismo né per la delicatezza. Lo stesso Wiesel, autore della postfazione, ammette di aver letto tante opere sullo stesso soggetto, tutte estremamente dolorose eppure “Quella di Rajchman, con la sua semplicità commovente, apre degli orizzonti nuovi nell’immaginario del Male“.

Chil Rajchman viene deportato a Treblinka nel 1942. Viaggia nei vagoni piombati che tutti conosciamo nelle condizioni disumane che tutti conosciamo. E’ assieme a sua sorella minore che saluta e perde appena sceso dal convoglio. “Uomini a destra, donne a sinistra“. Come tutti non sa cosa lo aspetta. Come tutti viene colpito dalle frustate degli ucraini che controllano il lager assieme alle SS. Per lui sono solo “assassini” e così li chiama per tutta la durata del libro. Viene immediatamente messo a lavoro. Deve ispezionare i vestiti degli ebrei gasati e uccisi e trovare soldi o altri beni nascosti tra le pieghe o negli orli. Le SS cercano dei barbieri e Rajchman, che non ha mai fatto quel mestiere, si fa comunque avanti. Passa così dal controllo degli abiti al tosare la testa alle donne ebree destinate alle camere a gas. L’angoscia cresce, il terrore pure. Tutto deve essere imparato all’istante, tutto deve svolgersi senza errori e in fretta, il più in fretta possibile.

Molti degli ebrei arrivati insieme a Chil sono già morti. “Noi invece siamo vivi, e pur vedendo questa terribile sciagura siamo così pietrificati che riusciamo ancora a mangiare e a sopportare l’immenso dolore. Come si può essere così duri, come è possibile possedere una forza così innaturale da tollerarlo?“. Una domanda che tanti si rivolgono e per la quale non esiste risposta. Treblinka è una macchina perfetta, appositamente creata per lo sterminio sistematico. Arrivano migliaia di persone ogni giorno ed ogni giorno Rajchman taglia i capelli a centinaia di donne. “Gli assassini ci costringono a rapare le nostre sorelle qualche minuto prima di mandarle a morte, e noi, temporaneamente sopravvissuti, ubbidiamo a suon di frustate. Ci hanno privato della ragione, non siamo che strumenti nelle mani di quei criminali“.

Ma l’orrore non ha limiti. Rajchman viene trasferito dal campo n. 1 al campo n. 2, quello di cui nessuno doveva sapere nulla, quello da cui nessuno era mai tornato indietro. Il suo nuovo compito è peggiore del precedente: deve trasportare i cadaveri degli ebrei gasati fin nelle fosse comuni. Da barbiere a becchino. Un lavoro macabro e durissimo. La violenza degli assassini continua a non avere tregua mentre ogni mattina, nella baracca, ci sono dei suicidi, uomini che decidono di impiccarsi per non dover più sopportare l’abominio di Treblinka. I compagni li tirano giù e li portano fuori, nel piazzale, per rispettare i tempi dell’appello e far pareggiare i conti senza incorrere in punizioni. Dopo qualche tempo Chil Rajchman viene assegnato al commando dei dentisti. Questo vuol dire che deve frugare nella bocca dei morti appena tirati fuori dalle camere a gas alla ricerca di denti d’oro da strappare e consegnare ai tedeschi. “Guai al dentista che avesse dimenticato un dente d’oro nella bocca di un cadavere“.

I ricordi di Chil Rajchman sono taglienti ed angoscianti. Racconta tanti piccoli, inquietanti episodi che danno l’esatta misura di quanto fosse meticolosa e raccapricciante la macchina mortale messa a punto dai nazisti. Un meccanismo esatto ed impeccabile. Eppure, nonostante tutto, qualcosa sfugge al controllo dei tedeschi. I prigionieri riescono ad organizzare una rivolta. Ed effettivamente, il 2 agosto 1943, a Treblinka c’è una fuga di massa. Diversi ucraini vengono uccisi e parecchi ebrei riescono a scappare. Tanti di loro, però, vengono immediatamente acciuffati e uccisi. Solo pochissimi riescono a scamparla. Tra questi c’è Chil Rajchman che si nasconde a Varsavia. Vive due anni con una falsa identità polacca e trascorre tre mesi e mezzo in un bunker. Viene liberato il 17 gennaio 1945.

Tra le tante letture dedicate alla Shoah, tra le tante testimonianze che ho letto ed ascoltato, quella di Chil Rajchman è la più dura e la più sconvolgente. Ogni immagine sembra superare la precedente per orrore e disumanità. E si ha la tentazione di interrompere la lettura in vari momenti perché è penoso addentrarsi in una sofferenza così smisurata. Ma come scrive giustamente Wiesel: “se Rajchman ha la forza di parlare ancora, noi dobbiamo avere la forza di ascoltarlo“.

Edizione esaminata e brevi note

Chil Rajchman è nato in una famiglia ebraica di Lodz, è il maggiore di sei fratelli. Quando, nel 1939, i tedeschi invadono la Polonia, Chil fugge con la sorella minore ma presto entrambi finiscono nel ghetto di Varsavia. Viene deportato a Treblinka, assieme alla sorella minore Rivke, nel 1942. Resta nel lager fino all’agosto del 1943 e riesce a fuggire durante la rivolta. Raggiunge la città di Varsavia dove vive due anni con una falsa identità e rimane nascosto fino al gennaio del 1945, quando viene liberato. Rajchman fugge in Uruguay nel 1946 e lì vive fino al 2004, anno della sua morte. “Treblinka 1942-1943. Io sono l’ultimo ebreo” è stato scritto nel 1945 ma pubblicato solo nel 2009.

Chil Rajchman, “Treblinka 1942-1943. Io sono l’ultimo ebreo“, Bompiani, Milano, 2014. Traduzione dallo yiddish di Anna Linda Callow. Prefazione di Annette Wieviorka. Postfazione di Elie Wiesel. Titolo originale: “Je suis le dernier juif” (2009).

Pagine Internet su Chil Rajchman: Wikipedia (en) / Video su Treblinka da “Despite Treblinka” / Holocaust Encyclopedia / Inconvenient History