Rosencof Mauricio

Le lettere mai arrivate

Pubblicato il: 15 Febbraio 2016

Una struggente e appassionata testimonianza d’amore per il padre, un desiderio di riannodare le fila della propria vita, delle proprie origini, la ricerca di un dialogo: tutto questo e altro ancora c’é in queste lettere mai arrivate, create da Rosencof dopo l’esperienza durissima della prigionia per motivi politici nelle carceri uruguayane durante gli anni della dittatura.
Una parola viene in mente: appartenenza. Pur essendo la sua famiglia ben inserita nel tessuto sociale uruguayano, Rosencof va alla ricerca delle proprie origini in Polonia, nella comunità ebraica, che fu poi sterminata dai nazisiti. Sua madre e suo fratello maggiore furono tra gli ultimi a riuscire a sfuggire alle deportazioni e a giungere via mare in Uruguay dove li attendeva il padre, sarto. Mauricio nasce a Florida (Uruguay), parla spagnolo, non yiddish, ha amici uruguayani, i suoi parenti polacchi li ha visti solo in vecchie fotografie prima dello sterminio, prima che divenissero cenere.
Colui che scrive le lettere, distribuite in tre capitoli con differenti punti di vista, è un uomo adulto, con figli, che ha vissuto la traumatica esperienza di tredici anni di prigionia durissima nelle segrete della dittatura, quasi sempre al buio, privato delle più elementari libertà, con la possibilità di ricevere una visita di dieci minuti ogni quindici giorni. Un uomo così trasfigurato dalla sofferenza da risultare irriconoscibile al suo stesso padre. A volte scrive come se fosse anocra rinchiuso lì dentro, poiché il male, una volta subito, lascia tracce profonde, indelebili e, se può venire superato, talvolta perdonato, non può mai essere dimenticato.
In tre parti si articola la memoria-ricerca di Rosencof. Nella prima è Mauricio bambino a raccontare – Moishe – che appartiene a una famiglia di ebrei polacchi non ricca, ma decorosa. Papà fa il sarto, mamma bada alla casa, poi ci sono un fratello maggiore Leòn e un gatto, Miska; che a volte dà da mangiare a tutta la famiglia, visto che il macellaio regala un pezzo di fegato a chi ha un gatto e mamma cucina quella carne per tutti. Moishe ha i suoi amici uruguayani, gioca, fa la sua vita di bambino e guarda le foto dei parenti polacchi, che la mamma conserva in una scatola da scarpe.
Dalla Polonia arrivano le lettere, sempre  più preoccupate, che parlano del Ghetto, della fame, del freddo, delle deportazioni, dei campi di concentramento e poi più nulla, fino al giorno in cui – siamo già alla seconda parte del libro – una lettera avvisa della morte di tutti i parenti a Treblinka. Le origini, gli affetti, le radici troncate via e bruciate. Quando, molti anni dopo, Mauricio si recherà nei luoghi dello sterminio non troverà nessuna traccia, nessun oggetto dei suoi cari. Spariti nel nulla, inghiottiti nel gorgo della barbarie.
Nella seconda parte “c’è un uomo che pensa babbo, che pensa a te…”. A scrivere è un adulto incarcerato alla ricerca dei suoi ricordi e di quelli della sua famiglia, quella rimasta in Polonia, della quale avrebbe voluto parlare di più con suo padre, cui pone avidamente tante domande. Suo fratello León, che sempre lo difendeva, non c’é più, morto ragazzino di meningite, è rimasto solo Moishe con i suoi genitori, Moishe che si rammarica di non aver avuto un maggiore dialogo con suo padre e così cerca di porvi rimedio. Dal profondo della prigionia, per tenersi vivo e resistere, imagina i suoi genitori da giovani, la vita nell’Europa dell’Est di allora, il viaggione della mamma e di León dalla Polonia all’Uruguay.
C’é la ricerca e l’affermazione della propria identità.
“..appartenevo al tutto ma ero diverso, ero diverso, non ero León né ero come León, né come te, papaà, né come la mamma, né come tutti quelli di laggiù, quelli che c’erano e quelli che non c’erano, che non c’erano più,  papà, che cazzo ero io, papà, che ancora oggi ti scrivo queste cose, ancora una volta per la prima volta, perché ancora me lo domando; ora che non ci sei più e non puoi ricevere una lettera, ci sei, scrivo a te, solo a te, cazzo, perché tu mi risponda, perché tu mi possa spiegare, o solo perché tu mi dica “tranquillo, tutto bene””.
Alla fine c’é una struggente dichiarazione d’amore per i suoi genitori.
La terza parte – anche se va detto che episodi e memorie rimbalzano e ritornano più volte tra le pagine – è tutta giocata sulla parola e sull’umanità, che per questa capacità di parola si contraddistingue.
C’é una parola pronunciata dal padre forse in yiddish o comunque in una lingua che Mauricio non conosce, ci sono parole rivelatrici, come gli episodi familiari raccontati dal figlio prigioniero la prima volta che il padre viene a fargli visita in carcere e non lo riconosce da tanto è sfigurato. Solo alla fine del colloquio il padre pronuncerà il suo nome.
C’é il linguaggio cifrato, fatto di piccoli colpi sul muro,  col quale Mauricio riesce a comunicare segretamente col suo vicino di cella, gettando semi di solidarietà.
Presenza forte è quella della casa, casa da cui i genitori vennero sfrattati per venire ricoverati in una casa di riposo ebraica. Nonostante le pressioni del regime che, a causa del figlio, avrebbe voluto sbatterli in strada, i due anziani furono sempre difesi e protetti dalla direttirce, che si rifiutò di sottostare a ordini così ingiusti.
Casa e parola, e incontro con i suoi vecchi una volta tornato in libertà.
“Forza, babbo mio. Se raccontiamo i nostri naufragi è perché non siamo affogati. Forza. Abbiamo navigato a lungo, per molti anni, nei molti minuti di visita durante tutto questo tempo. Le visite sono state per te e per me il Mare dell’Incontro. E lì costruivamo la nostra zattera e giù a remare nei ricordi. Il tuo Fuori e il mio Qui si univano in quel mare che separava due continenti; lì sì, in quella frontiera, potevo stare dentro di te. Queste righe sono, papà, i cosiddetti Racconti di  Frontiera”.

Edizione esaminata e brevi note

Edizione esaminata e brevi note

Mauricio Rosencof (30 giugno 1933 Florida, Uruguay) è uno scrittore, giornalista, politico e ex-tupamaro uruguaiano. Arrestato nel 1972 e torturato, in seguito al colpo di stato nell’anno successivo fu dichiarato “ostaggio” e incarcerato per altri 12 anni. È stato liberato nel 1985. Attualmente vive a Montevideo.

Mauricio Rosencof, Le lettere mai arrivate, traduzione di Fabia Del Giudice, postfazione di Diego Simini, Nova Delphi Libri, 2016

articolo già apparso su lankelot.eu nel febbraio 2016