Vanzan Marchini Nelli Elena

Venezia, luoghi di paure e voluttà

Pubblicato il: 26 Novembre 2013

Il pregevole libro, con tanto di fotografie, di questa studiosa veneziana è un dotto e interessantissimo excursus attraverso aspetti meno noti della storia e dell’organizzazione della Repubblica di Venezia. L’impostazione è antropologica, prende avvio dalle ricorrenti paure e dai piaceri di una città nata e cresciuta direttamente sull’acqua e posta da sempre in un equilibrio delicatissimo, che gli avi hanno salvaguardato con prudenza e accortezza e con legislazioni precise, talvolta severissime.

Fondata dapprima su isolette tra le quali ci si spostava in barca (diciamo che la barca corrispondeva all’attuale automobile), solo successivamente collegate da ponti, Venezia temeva in primis l’acqua stessa, la sua devastante forza, i suoi eccessi, per questo fu sempre molto attenta al suo ambiente, esercitò una sorveglianza assidua sui canali e sui litorali, comminando pene pesantissime a chi osasse fare modifiche e trasgredire ai suoi ordini. Fu istituito addirittura un Magistrato alle Acque per sovrintendere e controllare tutto.

Venezia sapeva che canali, barene, secche costituivano la sua vera difesa, le sue mura invalicabili, ma dovevano essere mantenuti in efficienza ed equilibrio: la furia del mare non doveva travolgerla (ed ecco l’idea dei murazzi), ma l’acqua non doveva neppure ristagnare, per non creare malsane paludi. La marea doveva esser libera di entrare e uscire con il suo ritmo naturale, purificando acqua e aria.

“La certezza di operare su un equilibrio delicatissimo era alla base di ogni intervento di idraulica lagunare che doveva essere compatibile, sperimentale e reversibile. Persino la costruzione anche di un solo molo guardiano per frenare le correnti e far ripascere le spiagge litoranee veniva eseguita provvisoriamente e poi, solo se si riscontrava che l’opera non interferisse con l’assetto idrogeologico, si procedeva alla sua costruzione definitiva”.

Alla paura dell’acqua si affianca quella della terra, dell’insabbiamento a causa dei detriti portati giù dai fiumi. Il governo veneziano era ossessionato dal prevalere della terra sull’acqua, perché temeva di vedere trasformata la laguna in pianura e la Dominante in un’insignificante città di terraferma e dunque non esitò a far deviare il corso di fiumi importanti come il Brenta, il Piave e il Sile per salvaguardare la laguna.

“L’estromissione dei fiumi non fu indolore per le popolazioni dell’entroterra che spesso subirono le conseguenze negative degli interventi per difendere la Dominante e più volte dovettero essere tentate di demolirli. Ciò spiega i duri provvedimenti presi dal governo della Serenissima dal 1501 per scoraggiare e colpire chi danneggiasse gli argini dei fiumi contemplando l’amputazione di una mano, l’accecamento di un occhio e la totale confisca dei beni”.

Bisogna osservare che dalla fine del secolo XV si creò un nuovo rapporto tra Dominante e terraferma, che non era più solo la terra che si affacciava alla laguna versandovi i suoi fiumi e minacciandone l’equilibrio, ma era anche il granaio di Venezia e la riserva di ricchezze per la nobiltà, che aveva scoperto la tranquillità dell’investimento fondiario rispetto ai rischi dei commerci marittimi, lasciati alla borghesia.

Nonostante questo però la classe politica veneziana antepose sempre la salvaguardia della laguna agli interessi dell’investimento fondiario.

Venezia, realtà anfibia, per molti secoli raggiungibile solo via mare, vide cambiare la propria condizione nel 1846 con la costruzione del ponte ferroviario da parte degli austriaci, cui si affiancò negli anni Trenta quello stradale, il ponte del Littorio, oggi ponte della Libertà.

Vi furono poi scavi di nuovi canali, modifiche alle bocche di porto, dighe, lo sviluppo di Porto Marghera, fonte di posti di lavoro ma anche di terribile inquinamento. Furono interventi che ruppero equilibri antichi e fecero serpeggiare quella paura degli uomini che è una costante nella storia di Venezia.

Ciascuna paura (della sete, di annegare, del contagio, dei mali del corpo e della società, della malattia) è occasione d’indagine su elementi e aspetti meno noti di Venezia, come i vari lazzaretti (isole per le quarantene o per i malati), gli ospedali, le spezierie e i loro segreti.

A Venezia anche gli antichi ospedali sono monumenti artistici con dipinti, sculture e facciate imponenti. Un porto frequentatissimo come la Serenissima fu sempre molto attento ai contagi e cercò di avere una legislazione molto precisa ed efficiente su questo delicato tema. Quando le cose andavano male, ci si poteva sempre rivolgere al divino ed ecco che due grandi chiese veneziane, il Redentore alla Giudecca e la basilica della Madonna della Salute sorgono proprio come ringraziamento per la liberazione da due terribili pestilenze nel 1577 e nel 1630.

Lo stato stesso si fece promotore della costruzione delle basiliche, che diventarono meta delle solenni manifestazioni della religione di stato. La fede militante era avvertita come supporto e strumento per ottenere l’intercessione della Vergine e del Redentore.

Vere chicche e curiosità si scoprono nelle pagine dedicate agli spezieri, argomento particolarmente approfondito dalla studiosa. Venezia era famosa per la sua Teriaca, il farmaco per qualsiasi malattia, realizzato con ben sessantaquattro elementi, tra cui la carne di vipera.

“La Teriaca, fatta con tutti i crismi, comportava una lavorazione complessa e dispendiosa: oltre a tutti i suoi 64 componenti, alcuni dei quali erano importati dal Levante, doveva contenere la carne di vipera catturata nei Colli Euganei fra luglio e agosto. Fin dal XVII secolo, per la crescita del consumo, si era dovuto ricorrere anche a vipere importate dai monti veronesi e vicentini, poi da Treviso e dal Friuli e infine dall’Istria e dalla Carnia. Nei momenti di maggior domanda del mercato, si è calcolato un fabbisogno mensile di 800 vipere per farmacia”.

Prima di comporre il farmaco si esponevano per tre giorni nelle spezierie approvate tutti gli ingredienti, che venivano esaminati dai Collegi Medico e degli Spezieri e dal Magistrato alla Sanità ed erano anche a disposizione del pubblico. Si trattava di una vera operazione di marketing, vista la presenza di acquirenti ed esportatori stranieri.

Al quarto giorno, il 24 agosto festa di s. Bartolomeo (ma si ripeteva due o tre volte l’anno) si aveva il “teatro della Teriaca”, una vera rappresentazione della preparazione del prodotto, controllata dalle leggi dello stato e pubblicizzato in grande stile come il migliore sul mercato internazionale, legandolo al “marchio di Venezia”.

La spezieria “Alla testa d’oro” a Rialto continuò a produrre la Teriaca fino al 1957 per la ditta Branca, che la utilizzava per la produzione del fernet.

Venezia non è fatta solo di paure e autodifesa, ma è stata nei secoli luogo di piaceri e voluttà. Ecco allora le isole della monastica lussuria, i vari monasteri in cui vengono rinchiuse giovinette senza vocazione, che perciò si creano una loro vita libera tra le mura conventuali. Nel Quattrocento la trasgressione sessuale nei monasteri, soprattutto femminili, è un fenomeno generalizzato cui è difficilissimo porre un freno.

Dall’altro lato, la città stessa pullula di prostitute (famoso il “ponte de le tete”, dove le meretrici erano sollecitate a esporsi alle finestre con i seni scoperti, per attirare i clienti e arginare la sodomia dilagante), di bettole malfamate e buie, specie nella zona mercantile di Rialto.

Venezia è una città fittamente popolata, è un posto in cui arriva di tutto, vi si esercitano i mestieri di strada più strani, è piena di stranieri e di gente di tutte le risme, di luoghi in cui bere o mangiare. Tra i locali di livello più basso ci sono i bastioni, magazzini scuri in cui si beveva vino scadente detto vin da pegni, perché i bastioni assolvevano anche la funzione di monti di pietà; i Sanmarchi o Sammarcheti dall’insegna di san Marco che li distingueva. In questi ambienti spesso ci si affacciava soltanto attraverso finestrelle per evitare di entrarvi.

C’erano poi le furatole, luoghi frequentati e rintanati (da fur-ladro o da furvus-scuro), in cui non si poteva bere vino, ma si potevano avere minestre e brodetti.

Venezia era insomma una capitale lussuriosa e attivissima, luogo di trame, imbrogli, delitti e misteri attorno ai quali sono fiorite tante leggende.

L’acqua, che tanta paura incuteva, verso l’Ottocento fu scoperta come fonte di piacere e come elemento terapeutico, complice anche Lord Byron e le sue famose romantiche nuotate notturne nei rii o le sue gare con i giovani veneziani in Canal Grande. Poco a poco i bagni, prima in laguna e poi in mare, al Lido, divennero una moda e una cura per varie patologie.

Il Lido si popolò di turisti ricchi ed eleganti, si costruirono i complessi alberghieri e le ville liberty, mentre crebbe quello che sarà per molti anni l’Ospedale al Mare.

Letterati e poeti celebrarono Venezia come esperienza fisica, sensoriale.

Perso il potere politico, persa l’autonomia, la Serenissima cambia, rimane un luogo dello spirito, una città dove emozionarsi, ma sempre più somigliante a una Gardaland per turisti.

Il libro della Vanzan ha il grande merito di innestare nella storia di Venezia gli stati d’animo dei suoi abitanti, di mostrarci luoghi insoliti, diversi da quelli del distratto turismo di massa e di dimostrarci ancora una volta quanti possano essere gli aspetti di una città così particolare.

articolo apparso su lankelot.eu nel novembre 2013

Edizione esaminata e brevi note

Vanzan Marchini Nelli Elena, veneziana, laureata in Lettere, specializzata in archivistica e paleografia, presidente del Centro italiano di Storia Sanitaria e Ospedaliera del Veneto, ha insegnato all’università di Venezia e di Torino (sede di Vercelli). Ha dedicato le sue ricerche d’archivio alla storia della civiltà veneziana e della sua cultura anfibia, ha inoltre operato in ambito nazionale e internazionale per la tutela e valorizzazione dei patrimoni e degli archivi ospedalieri e per la promozione di studi di storia del termalismo e della sanità.

Vanzan Marchini Nelli Elena, Venezia luoghi di paure e voluttà, Mariano del Friuli, Edizioni della Laguna 2005.

Link: http://www.vanzanmarchini.com/