
“La prima neve” di Andrea Segre è un film commovente e delicato, pieno di poesia e di grazia, nonostante tratti di drammi terribili, la cui intensità sovrasta gli stessi personaggi che li subiscono.
Dani (Jean Christophe Folly) viene dal Togo, è arrivato, come tanti, con un gommone nel sud dell’Italia e adesso è ospite in una casa di accoglienza nella val dei Mocheni, deliziosa vallata trentina, dove si parla un particolare dialetto proveniente dal tedesco, ormai mescolatosi con la parlata veneta. Dani non è solo, ha anche sua figlia, una bimba di un anno fatta nascere fortunosamente dai medici italiani, mentre la madre, Layla, moriva per le fatiche del viaggio in mare. Dani non sa darsi pace per questa morte e non riesce ad accettare la figlia, che gli ricorda continuamente l’amatissima moglie e la sua fine disperata. Vive in silenzio un dolore più grande di lui, rivolgendosi talvolta a Layla nella sua lingua originaria, in una sorta di comunicazione spirituale, che è solo un dialogo con se stesso. Dani lavora presso un vecchio montanaro, Pietro, (Peter Minterrutzner), un uomo di poche parole, gran lavoratore, depositario di una saggezza antica, nonno di Michele (Matteo Marchel), un ragazzetto di undici anni vivace e intraprendente, segnato come Dani, da un dolore troppo grande per lui: la tragica morte del padre.
Michele è troppo giovane per affrontare la vita senza una figura di riferimento così importante e la mamma (Anita Caprioli), che è assistente sociale presso il centro di accoglienza dove vive Dani, fa quel che può per stargli vicino, combattendo lei stessa con dolore, sensi di colpa e desiderio di far andare avanti la sua vita nonostante tutto.
Nello splendido scenario della val dei Mocheni si sviluppa il rapporto tra Dani e Michele, due solitudini dolorose, due realtà diverse che per le straordinarie alchimie della vita riescono a incontrarsi e a imparare molto l’uno dall’altro. Michele cerca una figura paterna, qualcuno cui rivelare il suo dolore, con il quale condividerlo in modo da alleviarlo. Dani invece non riesce ad accettare la sua paternità, non sa se potrà mai trasmettere qualcosa di positivo alla piccola Fatou, medita una fuga a Parigi senza di lei. Sarà il rapporto con Michele a mostrargli cosa possa significare essere padre e a ridargli un po’ di coraggio e di fiducia. La vicenda di Dani e Michele viene accompagnata dalla bellissima valle colta nel passaggio dall’autunno all’inizio dell’inverno, con la prima neve, quella neve che Dani vede per la prima volta.
L’esperienza di documentarista di Segre emerge tutta nella sua capacità di cogliere il trionfo delle calde tinte autunnali, gli alberi, il legno, la resina, un capriolo che spunta nel bosco, l’incanto della prima neve. Il regista ci offre immagini di grande suggestione con un ritmo lento, che si addice alla natura e a relazioni umane profonde, che non potrebbero svilupparsi nel frastuono e nella confusione.
L’incontro tra persone diverse, la scoperta di una possibilità di comunicazione e di affetto per colmare assenze (del padre, della moglie/madre) è uno dei grandi temi del film.
L’appartenenza è un altro aspetto importante. Osserva il nonno, di fronte a miele (lui è anche apicultore) e legno: “Le cose che hanno lo stesso odore dovrebbero stare insieme”, ma Dani gli risponde che lui non sa più che odore ha, sballottato tra diversi paesi e culture, privato del suo affetto principale, non sa più chi è e non riesce ad assumere il ruolo familiare che gli spetta. La sua condizione è ben rivelata dal passare da una lingua all’altra, a seconda dell’interlocutore: italiano, francese con alcuni compagni, lingua materna del Togo quando riflette tra sé e sé o si rivolge a connazionali. Si aggiunge il dialetto della valle, che gli abitanti parlano tra loro e che Dani comprende.
Tra le figure del paese si distingue Fabio (Giuseppe Battiston), uno zio un po’ perdigiorno, un po’ sognatore, sostanzialmente buono, che immagina grandi progetti in Madagascar pur sapendo che poi non si muoverà dal paese.
Si rivela ottima anche l’idea di scegliere per i vari ruoli sia attori professionisti che abitanti della valle.
“La prima neve” è uno di quei film che fanno sperare ancora nella cinematografia italiana e Segre, che già aveva dato una bellissima prova con “Io sono Li” (ambientato a Chioggia, parlato in buona parte in dialetto locale con sottotitoli), qui si conferma un valido artista, capace di approfondire sentimenti complessi, senza banalizzarli e circondandoli di poesia.
Alla produzione partecipa la Jolefilm di Marco Paolini, che ancora una volta mostra il suo intuito nel sostegno a film validi.
“Come nel mio primo film Io Sono Li, anche La prima neve è costruito nel dialogo costante
tra regia documentaria e finzione, tra il rapporto denso e diretto con la realtà e la scelta di
momenti più intimi costruiti con attenzione ai dettagli della messa in scena. Così è anche
nel lavoro con gli attori: persone del luogo e attori professionisti interagiscono tra loro, in
un processo di contaminazione tra realtà e recitazione. Con il privilegio, in questo secondo
film, di aver finalmente potuto lavorare con l’energia e l’imprevedibilità di bambini e giovani
ragazzi”. (Andrea Segre)
Link: http://www.laprimaneve.com/
http://www.jolefilm.com/produzioni/cinema/la-prima-neve/
http://www.close-up.it/la-prima-neve,8934
articolo apparso su lankelot.eu nell’ottobre 2013
Edizione esaminata e brevi note
Rgia: Andrea Segre Soggetto e sceneggiatura: Marco Pettenello, Andrea Segre Direttore della fotografia: Luca Bigazzi Montaggio: Sara Zavarise Interpreti principali: Jean Christophe Folly, Matteo Marchel, Anita Caprioli, Giuseppe Battiston, Peter Mitterrutzner, Paolo Pierobon Musica originale: Piccola Bottega Baltazar, Scenografia: Leonardo Scarpa, Costumi: Silvia Nebiolo, Produzione: Francesco Bonsembiante e Marco Paolini per Jolefilm Origine: Italia, Durata: 105’
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