De Palo Riccardo

Il ritratto di Venere

Pubblicato il: 10 Aprile 2012

Sapevo per esperienza come i misteri più profondi dell’anima fossero tracciati sulla superficie del volto, coloro che volevano conservare un segreto facevano del loro meglio per renderlo ben visibile, così che nessuno avesse a sospettare di ciò che si esibiva liberamente alla luce del sole. L’arte del ritratto risiedeva proprio in questo. Si mostrava ciò che era palese per svelare, a chi aveva occhi per comprendere, ciò che era nascosto.” (p.234)

Diego Velàzquez è stato uno dei più grandi ritrattisti nella storia della pittura e in questo libro, tramite una lunghissima lettera al suo amico Juan de Cordoba, si racconta.

Nato a Siviglia nel 1599 da genitori benestanti, ha antenati ebrei convertiti per parte di madre. Queste origini gli impedirebbero di ottenere una carica nobiliare e così riuscirà a farle cancellare grazie al padre notaio.

In breve tempo Velàzquez diviene il pittore preferito del sovrano Filippo IV, che ritrarrà lungo tutto il corso della sua vita e che gli concederà la sua amicizia, da un lato vantaggiosa, dall’altro ingombrante, mai impostata a un rapporto paritario. Velàzquez condurrà vita di corte in un ambiente governato da un cerimoniale complesso e ampolloso, avrà diverse cariche pubbliche, ma non si sentirà mai veramente libero, sempre costretto a chiedere permessi per poter viaggiare e distolto dall’attività artistica dai vari incarichi di fiducia che il sovrano gli conferisce e cui non sa opporre rifiuti.

Filippo IV, uomo malinconico e inespressivo dei propri sentimenti, è negato per fare il re ed è mal consigliato, con le sue spese conduce la Spagna alle soglie del collasso economico, per distrarsi si dedica ai banchetti, alle donne, alla caccia e al collezionismo di opere d’arte.

A questo scopo invia per ben due volte Velàzquez in Italia ad acquistare capolavori (o le loro copie): è in queste occasioni che l’artista si sente finalmente libero, incontra altre personalità del suo tempo (il Guercino, lo Spagnoletto) e vede finalmente i grandi capolavori dell’arte italiana custoditi a Milano, Venezia, Roma, Napoli, Ferrara.

A Venezia, dove circola con la scorta poiché i veneziani sono ostili agli spagnoli e assai diffidenti e sospettosi, rende omaggio a Tintoretto, la cui casa “era come un misterioso santuario, in cui ancora si conservavano i suoi strumenti di lavoro”.

In Italia Velàzquez vivrà anche un’importante storia d’amore, che sarà ispirazione per l’unico nudo della sua carriera, Il ritratto di Venere.

La vicenda di Velàzquez è quella di un artista tutt’altro che ribelle, che ha cercato un compromesso tra la propria arte e la vita di corte. Le cariche pubbliche gli hanno consentito di mantenere decorosamente la sua famiglia, sebbene non sempre la corona fosse puntuale e precisa nei pagamenti.

Velàzquez è un grande artista espressosi al meglio là dove ha potuto, mostrando nei ritratti l’anima delle persone e di un intero secolo, caratterizzato dall’horror vacui, dal collezionismo esasperato e controllato – soprattutto in Spagna – dall’occhiuta sorveglianza della santa Inquisizione.

Mentre Velàzquez si dedicava ai ritratti – non solo di nobili e dignitari, ma di nani e buffoni – Murillo si occupava dell’arte sacra, secondo i canoni dettati dalla chiesa.

Miseria e grandezza del Seicento si rivelano attraverso le sue tele: tra i fasti di un abbigliamento complicato e alle soglie del ridicolo, le fisionomie dei potenti lasciano trasparire i loro vizi e difetti, i peccati, mentre nani e buffoni dimostrano i gusti deviati, il grottesco di un secolo, che voleva apparire fastoso e rigidamente devoto nello stesso tempo.

Senza essere un ribelle, Velàzquez ha saputo cogliere l’essenza del suo tempo e mostrarla. I potenti, accecati dalla vanagloria si sono sempre contesi la sua opera, tutti presi dalla magnificenza delle apparenze, senza accorgersi che i loro vizi apparivano dai tratti del volto.

Fu il secolo dell’illusione, del trompe l’œil: una prospettiva illusoria che, svelata, fa comprendere la caducità dell’umana esistenza.

Il rapporto con Filippo IV è un esempio di vantaggi e svantaggi del mecenatismo: il re ama stare a guardare Velàzquez mentre dipinge, ma gli genere ansia, ha sempre fretta, poco tempo per posare, quando desidera essere ritratto. L’artista sente di amare e odiare nello stesso tempo questa figura a tratti dolente per i numerosi lutti famigliari, solitaria nonostante sia sempre circondata da cerimoniosi assistenti con gli incarichi più assurdi.

Con precisione, il libro ricostruisce non solo la vita di Velàzquez, ma lo sfondo storico-politico di un intero secolo, le guerre, i trattati di pace, le pestilenze, i protagonisti della politica internazionale: ed è qui che a volte ricalca i toni di un manuale di storia, di una lezione che, seppur utile, fa scivolare verso la noia. Sembra che l’autore si senta in dovere di compilare una relazione sul Seicento, come un alunno diligente e ordinato. È questo aspetto che può scoraggiare un neofita di Velàzquez dal proseguire la lettura. Chi ama e conosce già l’artista troverà grande precisione e completezza in queste pagine, suddivise – molto suggestivamente – in capitoli indicati da un colore.

Articolo apparso su lankelot.eu nell’aprile 2012

Edizione esaminata e brevi note

Riccardo De Palo (Livorno 1964), giornalista italiano, dirige la redazione Esteri del “Messaggero”. Si occupa soprattutto di temi legati alla politica internazionale, ma anche di arte, letteratura e storia.

Riccardo De Palo, Il ritratto di Venere. La vita segreta di Diego Velàzquez, Roma, Cavallo di Ferro 2012.