Pastorino Carlo

La prova del fuoco

Pubblicato il: 8 Settembre 2010

Ho scoperto il libro di Carlo Pastorino andando in Vallarsa, tra quelle montagne dove lui ha combattuto e che traboccano ancora di memorie e di tracce della Grande Guerra, quell’immane carneficina che travolse un’intera generazione.

Pastorino, originario di Masone nell’Appennino Ligure, fu inviato nel 1916 in Vallarsa come ufficiale e vi rimase per un anno, affezionandosi a quella terra aspra e bella,come quella che gli aveva dato i natali.

Trasferito successivamente nel Carso, venne qui fatto prigioniero dagli austriaci e rinchiuso nella fortezza di Theresienstadt in Boemia fino alla fine del conflitto. Da quest’esperienza nascerà “La prova della fame” (1939), secondo volume di una trilogia, che si completerà con “A fuoco spento”(1934), un ritorno sui luoghi della guerra.

La prova del fuoco” uscì nel 1926, con il sottotitolo “Cose vere” ed ebbe subito un grande successo, tanto che Pastorino ne curò un’edizione riveduta nel 1931.

Successivamente il libro finì nel dimenticatoio, per riemergere ora grazie all’editrice Zandonai e alla pazienza di Fiorenza Aste e Mario Martinelli. Ottime per la contestualizzazione la postfazione di Francesco De Nicola e la Nota al testo di Gregorio Pezzato.

Tra le pagine di Pastorino si snoda tutto il mondo della trincea e della guerra di posizione, dove ogni metro di roccia, sassi e terra è intriso dal sangue dei soldati.

La vita è durissima, quasi inimmaginabile per noi oggi. Pastorino non ci nasconde nulla di questa realtà, ce la presenta con un sano realismo, ma senza maledire e senza parole di odio, neppure per i nemici, dei quali cerca di cogliere sempre l’umanità.

I soldati vivono in condizioni estreme, sia dal punto di vista fisico che psicologico. Esposti alle intemperie, al freddo come al caldo, con equipaggiamento poco funzionale – non era certo l’epoca del goretex o di altri materiali leggeri e impermeabili – tormentati da topi e pidocchi, tra la sporcizia e l’odore dei cadaveri in putrefazione, che non si riusciva a seppellire o dei brandelli di carne umana rimasti appesi ai reticolati, i soldati pativano la fame e soprattutto la sete. I rifornimenti, se riuscivano ad arrivare a dorso di mulo, per quei sentieri che adesso sono oggetto di passeggiate e gite, erano scarsi in qualità e quantità, spesso già dimezzati o sporchi. Qualche volta la corvé veniva bombardata e allora il pane arrivava zuppo di sangue: si sceglievano i pezzi non arrossati e li si divideva dagli altri con la baionetta. L’acqua era di solito poca, perché le ghirbe giungevano già mezze vuote.

L’odore – di marciume, di sporcizia, di latrina – attorno alle trincee era terrificante e vi si aggiungevano i fumi dei bombardamenti, la polvere, le schegge.

Le amicizie potevano durare molto o interrompersi dopo poche ore, si vedevano i compagni morire dilaniati o mutilati orrendamente e spesso ci si sentiva dei bersagli, sottoposti a ordini assurdi, mandati a morire per pochi metri di roccia.

Pastorino ci racconta tutto questo, ma non discute gli ordini, anzi cerca di eseguirli, vivendoli come una prova, messa da Dio sulla sua strada.

Non c’è esaltazione, né retorica in lui, né odio o vendetta, dalle sue pagine emerge un’umanità calda e viva, sofferente e solidale.

In trincea si dovrebbe esser fratelli, e amici fra noi”. (p.28) Viene alla mente Ungaretti con le sue liriche dal fronte.

La prova del fuoco” non è un semplice diario di guerra, è un itinerario spirituale di grande forza e profondità, pervaso dalla sincera e mai esaltata fede religiosa dell’Autore.

Arrivato in prima linea inesperto e disorientato, senza sapere nulla del vero combattimento, Pastorino si rende subito conto che la guerra non è quel fatto così eroico declamato dall’aborrita retorica ufficiale, ma è una tragedia, una bufera che travolge uomini e natura, cambia i caratteri umani e il paesaggio stesso, che conserverà per sempre le cicatrici delle bombe e gli scavi delle trincee.

Egli stesso – visto che scrive a distanza di tempo e quindi con una certa prospettiva – si rende conto che la guerra l’ha cambiato, gli ha fatto scoprire un’umanità nuova che, pur in quell’inferno “scatenato contro questa povera cosa debole che è la nostra carne” (p.24), riesce a trovare momenti di fratellanza, di redenzione, di solidarietà e anche di gioia.

I soldati provengono da tutte le regioni d’Italia e forse per la prima volta si ritrovano uniti per qualcosa. Alcuni non hanno mai visto le montagne, altri non sono adatti a certi lavori pesanti cui sono costretti, Pastorino, da ufficiale, li aiuta, vuole conoscere i loro nomi e le loro storie.

Per tutti ha una parola, un incoraggiamento, un gesto umano. Molti sono giovanissimi: li vedrà morire, spesso non si riuscirà neppure a ben seppellirli perché non c’è terra, ma solo pietrisco. Sembra che la prima vera unità d’Italia passi proprio per la Grande Guerra, che fa conoscere genti diverse e lontane.

Per il nemico si ha pietà, consapevoli che è un uomo come tutti e che vive gli stessi sentimenti “…quelli che noi chiamiamo nemici han qui le loro ossa confuse e miste con quelle di chi anch’essi chiamavan nemici”. (p.167)

In breve il microcosmo della trincea diventa come una nuova casa, Pastorino dice a un certo punto: “Da quest’epoca si perde il ricordo della pace. Il mondo fuori del mio mondo di guerra non esiste più”. (p.90)

Pur in quelle condizioni estreme emergono momenti di felicità, gesti d’affetto e d’amicizia.

Gli ottantuno brevi capitoli che costituiscono il libro sono articolati come episodi dai quali spesso si può trarre un insegnamento, ma Pastorino non cade mai nella retorica o nella celebrazione, da cui sfugge.

Sento che la mia penna ha pudori che le impediscono di scrivere ciò che la fama ha tratto sotto le sue ali: ella, la mia penna, si compiace di camminare per i suoi sentieri umili, ombrosi, negletti: sola: e che nessuno la segua, che nessuno la spii;” […]

Dove la fama è arrivata, sono clamori e folle briache e bandiere e applausi e monumenti: le cose vane, le parole vacue, i gesti, la pompa esteriore, il nulla: e l’anima è esclusa”. (pp.19-20)

Non solo gli uomini sono protagonisti del libro, ma anche la natura viene colta da Pastorino, proveniente da famiglia contadina, con grande sensibilità e attenzione. Quasi ad ogni pagina vi sono osservazioni e cenni al paesaggio, alle erbe, alle colture.

Alla Vallarsa Pastorino si affezionò come a una seconda casa, ecco come la descrive al suo ritorno dopo la licenza: “Io la salutai con gioia, la Vallarsa, e mi pareva d’esser tornato a casa mia. Rivedevo tutti i miei monti: erano candidi, e brillavano al sole. Non mi erano mai apparsi così belli”. (p.152)

Un libro da riscoprire e da non dimenticare più.

Articolo apparso su lankelot.eu nel settembre 2010

Edizione esaminata e brevi note

Pastorino Carlo, (Masone 1887-1961) scrittore e poeta italiano.

Pastorino Carlo, La prova del fuoco, Cose vere, Prefazione dell’autore, Postfazione di Francesco De Nicola, Nota al testo di Gregorio Pezzato, Rovereto, Edizioni Zandonai Egon 2010;

Links:

http://it.wikipedia.org/wiki/Carlo_Pastorino

http://traroccecielo.blogspot.com/2010/08/la-prova-del-fuoco-di-carlo-pastorino.html

http://traroccecielo.blogspot.com/2010/08/francesco-de-nicola-proposito-della.html

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