Istantanee dall’Oriente, immagini semplici, ma che aprono a riflessioni profonde.
L’ultima raccolta poetica di Luciano Troisio è ancora una volta un libro di viaggio, eppure, rispetto al precedente “Parnaso d’Oriente”, vige qui una maggiore comunicatività, un’immediatezza che rende le liriche molto godibili. Si tratta di un poetare sempre raffinato ed elegante, colto, ma, come è stato osservato da Ilde Menis, qui l’Autore sembra esser sceso dal monte e volersi presentare anche come persona.
Ecco dunque il viaggiatore occidentale: un po’malinconico come tutti gli europei, spesso solo, sensibile alla bellezza e alle grazie muliebri, che non disdegna, pur non dimenticando d’essere uomo maturo. Su di lui scende a volte un velo di tristezza profonda:
“Sarebbe augurabile avere vicino altri esseri umani ma/ nelle società civili al vecchio questo raramente è concesso/ e deve quindi imparare da subito/ a controllarsi a gestire/ in solitudine l’attraversamento/ della frontiera/verso la silenziosa nevicata/degli asfodeli senza peso”.(“Inizio della sensazione di malessere”, p.88)
La poesia sembra nascere da spunti molto semplici, da tutti gli elementi che la realtà può offrire: la prima lirica ci mostra cespugli di gigli acquatici transitanti sul fiume o ancora possiamo trovare fettine di cetriolo tagliate a forma di farfalla e poste a rallegrare un vassoio per la prima colazione in “La farfalla di Trat”, oppure figure umane, incontri con europei o con orientali. Il passaggio di un bonzo con un ombrello di un bel colore giallo suscita subito qualche richiamo alle arti figurative, che non mancano nella raccolta, essendo forte la sensibilità dell’Autore per gli accostamenti cromatici, per la raffigurazione , tanto che alcune poesie sembrano istantanee oppure stampe di qualche scena di vita orientale.
Si muove dunque con i sensi ben desti il viaggiatore europeo, attento alla realtà eppure sempre armato della sua immancabile ironia.
L’Asia è immensa, è la cuna del mondo, è l’Altrove che attrae e affascina, ma è un continente di grandi contrasti: vi sono bellezze folgoranti e bruttezze orripilanti con afferma Giovanni Giolo. Il viaggiatore osserva tutto – comprese le usanze gastronomiche, con disponibilità ad assaggiare – ma sa anche distaccarsi per non rimanere schiacciato da tanta miseria e desolazione. Così ne “La passerella dei difformi”:
“Mendicanti vengono a esibire carrozzelle di deformi/mutilati o bambini strazianti che possono camminare/ hanno teste enormi mostruose/ altri con segni di malattie terribili/ miti ridenti di buon animo./ [Noi cinici obesi cardiopatici che conosciamo Calcutta/ non ci agitiamo per nulla/ essendo sotto il controllo dei betabloccanti/ per non morire subito]. (p.22)
Mancano le soluzioni di fronte a così tanti problemi e rivestirsi di cinismo diventa una forma di autodifesa.
L’Asia è altro tempo, altro spazio, altro universo che attrae sempre il viaggiatore, che non è però disposto a disperdersi nel suo spostarsi, innanzi tutto perché i suoi movimenti non sono casuali, ma rispondono a interessi culturali-artistici-antropologici precisi e inoltre perché mantiene intatta – come si notava anche nel Parnaso – la propria identità culturale di europeo formatosi nella cultura occidentale e non disposto a rinnegarla in nome di un vago esotismo o di pseudoconversioni verso forme religiose che non gli appartengono, cui guarda con rispetto, affascinato, ma che mai si sentirebbe di fare proprie.
È interessante notare come buona parte delle liriche abbia data e luogo di composizione, in particolare in “Sogno dell’infinita vorago” l’Autore nota tra parentesi una ricorrenza cristiana, il Mercoledì delle Ceneri, e ribadisce così la memoria per le proprie radici culturali.
La terra d’origine –Padova e il Veneto – non vengono mai dimenticati, compaiono in paragoni, in ricordi: “È noto che a Padova per ritrovare qualcosa/ si rivolge un “secueri” (Si quaeris) al Santo]”. (“La grande orientatrice” p.40)
Troisio non rinnega e non dimentica neppure – e qui forse lo evidenzia più che altrove, come a voler farsi meglio conoscere e per riassumere l’esperienza intellettuale di una vita – la propria formazione culturale:la Neoavanguardia, cui ha partecipato e dalla quale ormai prende le distanze a favore di una maggiore comunicatività del testo poetico, che tiene presente l’esigenza di farsi comprendere dal lettore.
Troviamo ne “La grande orientatrice: “al nostro antico esperimento poetico By logos/ un gioco fatto negli anni settanta con altri perdigiorno:” (p.38), dove il riferimento è appunto a un esperimento molto particolare nato dalla collaborazione tra Troisio, Cesare Ruffato e Silvio Ramat.
Finita la Neoavanguardia, finita la giovinezza, il nostro Autore non è diventato certo un sedentario, né canta solamente la sua terra.
Vi è una lirica “Nonostante tutto amo Rigoni-Stern”, in cui sembra che l’anziano autore di Asiago, divenuto ormai un monumento del suo paese d’origine, sia visto con un’ironia non priva d’affetto come l’opposto rispetto al viaggiatore instancabile e inquieto. Rigoni-Stern, autore ristampato per decenni ad uso delle scuole, fedele alla propria testimonianza, testardo, legatissimo al suo Altopiano, del quale difende l’originalità, lo scrittore dei boschi e degli urogalli, della campagna di Russia e dell’umanità dolente in tempo di guerra, sembra avere quella tranquillità che all’Autore di “Strawberry-Stop” è negata.
Un omaggio preciso invece è il verso: “quella volando via” in “Gli uccelli irrilevanti”, presente tale e quale anche nel Parnaso (in “Correlativi”). Si tratta di una citazione de “La gronda” di Franco Fortini, un poeta che oggi sembra esser stato messo nell’oblio e che Troisio non manca di ricordare con affetto.
Troisio si muove dunque alla ricerca dell’Altrove rimanendo se stesso. Il suo è un moto pendolare, per cui l’andata presuppone il ritorno: solo il ritorno permette l’Altrove e l’Altrove consente di scrivere. Troisio non potrebbe mai girovagare all’infinito per l’Oriente, né lasciare definitivamente la sua residenza padovana – anche se il quartiere dove vive non gli piace, se le relazioni umane sono scarse e spesso poco soddisfacenti.
Il suo viaggiare implica il nostos, il ritorno, a costo di struggersi poi di nostalgia per l’Oriente appena lasciato.
Durante lo stesso viaggio, i legami con il mondo occidentale, grazie alla tecnologia, si mantengono, le mail ormai compaiono in poesia, abbreviano le distanze e ricevere notizie dagli amici lasciati in patria è sempre fonte di piacere per l’Autore e sollievo alla solitudine che talvolta lo prende.
Se spesso il linguaggio di “Strawberry-stop” è immediato e semplice, ma mai trascurato, le riflessioni che induce sono complesse e conducono verso interrogativi esistenziali sul tempo, sul nostro essere nel mondo e sul senso del nostro vagabondare.
Alcune liriche sono in sequenza con “Eos rododaktylos” e “L’aurora ha le dita di rosa”, dove la visione di un orrido filmaccio bellico americano, pieno d’orrore e di violenza, culmina a sorpresa con una frase pronunciata in greco classico da uno dei soldati – l’aurora dalle dita di rosa – e stupisce piacevolmente l’Autore.
“L’aurora ha le dita di rosa l’aurora è di tutti/ e già solo quest’affermazione dovrebbe convincere/ le ben pasciute Delegazioni delle Nazioni Unite/ a non investire più un sesterzio in armamenti”.(p.62)
E soprattutto:
“Amore stupore per la vita che stiamo perdendo”, laddove il riferimento può essere rivolto sia ai soldati in guerra, sia a tutti noi, immersi nel fluire dell’esistenza, che giorno dopo giorno se ne va, eppure ci stupisce. Esistere per continuare a meravigliarsi e scrivere, perché “nulla succede se non viene descritto” (“Amazing”, p.100)
L’uomo c’è, è in un determinato tempo e luogo, eppure la sua origine resta misteriosa.
“Were are you? Voi siete qui…noi siamo qui…” Tra le rovine di un’area archeologica degradata, che consentono riflessioni. “Tu ci sei. Sono io che non ti trovo”. La ricerca è disorientante e difficoltosa.
“Un tratto di dadi è l’origine. […] Per noi è possibile arrivare a conclusioni/ non si può negare né affermare/
Passa così la vita/ nella carsica a astronave/ che si dirige verso/ qualcosa di non chiaro/ che speriamo/ di raggiungere/ aiutati da fuori/ costretti ad ammettere che esiste Qualcosa/ di più vasto/ e sottende complicati codici”. ( Le hazard , pp.92-93)
Viene alla mente un’osservazione del Parnaso : “Di tanto mondo poco mi spiego”, eppure quel mondo contiene ancora tanta bellezza di cui stupirsi e di cui cantare con inesauribile curiosità, mantenendo i sensi ben vigili e la memoria viva.
”Esisto per stupirmi” scriveva Troisio nel “Parnaso” e questa è la sua essenza, ciò che lo fa continuare a scrivere.
Di grande potere evocativo è la penultima lirica “Sogno del lago”, che dà il titolo alla raccolta. Narra infatti dello Strawberry-stop, un locale in riva a un lago, dove si mangiano fragole in tutti i modi possibili. È un luogo di sogno, di una passata felicità irrecuperabile:
“Sul lago magico siamo stati/ enormemente felici lo sai/ dicevi: questo è un sito rasserenante,…..Si tratta ovviamente solo di fantasticherie/ non diciamo dove siamo né che siamo/ (potremmo ad esempio essere malati)/ e ancora ci rivolgiamo a te che “non ricordi”. (p.101)
Il tu – femminile si deduce – non ricorda e tutto si tinge del colore della nostalgia e del sogno.
Ciò nonostante il poeta sente viva l’esigenza di continuare a cantare la bellezza e così si chiude l’ultima lirica:
“La beltà persiste per suo conto/ però deve esserci lì qualcuno/ almeno a trascriverla”. (“In una classica composizione ci”)
articolo apparso su lankelot.eu nell’aprile 2008
Edizione esaminata e brevi note
Luciano Troisio (Monfalcone, Go, 1938), ricercatore del Dipartimento di italianistica dell’Università di Padova, ha insegnato nelle Università di Pechino, Shangai, Bratislava, Lubiana. Ha pubblicato numerosi volumi dedicati alla poesia: By logos, esproprio transpoetico, 1979; Folia sine nomine, 1981; e La Trasparenza dello scriba, 1982 (con Cesare Ruffato); La poesia nel Veneto, 1985; Ragioni e canoni del corpo, 2001; Linee odierne della poesia italiana, 2001. Inoltre ha pubblicato le raccolte poetiche: L’angelo alle spalle, 1960; Anamnesi in tre versioni, 1965; Parigi nord-sud, 1966; Indicativo imperfetto, 1968;Precario, 1980; Persistenza del cavallino, 1984; I giardini della maharani, 1986; Le poetesse cinesi, 2000; Three or four girls, 2002.
In dialetto altopadovano:Drìoghe ai poeti, 2001.
In prosa:Tirtagangga e varie sorgenti, 1999; Viaggio a Ko Ciang2001;Nuvole di drago, 2003; La ladra di pannocchie 2004.
Studioso, globetrotter, flaneur, i suoi campi d’attenzione sono nell’ordine: la scrittura, l’Asia, l’immagine (specialmente la fotografia e la grafica d’arte). Sue opere sono state illustrate da Emilio Baracco, Giovanni Barbisan, Andreina Bertelli, Renzo Biasion, Mino Maccari, Cesco Magnolato, Walter Piacesi, Gianni Poggeschi, Orfeo Tamburi, Hugo Wulz, Tono Zancanaro.
Luciano Troisio, “Strawberry-Stop”, LietoColle, Faloppio 2007
Collana Aretusa, Poesia, 178 ; 103 pp
Prefazione di Giorgio Linguaglossa. Immagini di Claudia Marini
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