Dostoevskij Fëdor Michajlovic

Memorie dal sottosuolo

Pubblicato il: 5 Novembre 2006

IL SOTTOSUOLO CHE È IN NOI

Mosca, 1864. La moglie di Dostoevskij sta morendo di tisi, peggiora giorno dopo giorno e lui, forsennatamente, forse con disperazione, scrive, scrive un racconto che gli lievita tra le mani e che non sa neppure lui fin dove lo condurrà.

Il suo matrimonio non era stato felice, tuttavia egli era assai legato alla moglie.

Nonostante l’orrore e il tormento della vita con un’ammalata grave, Dostoevskij scrive e la prima parte del racconto esce nel numero di gennaio-febbraio della rivista “Epoca”. La seconda parte uscirà nel numero di aprile.

Dopo una breve premessa dell’autore, “Le memorie dal sottosuolo” si presentano divise nettamente in due parti.

La prima è un saggio/riflessione scritto in prima persona dal protagonista, un uomo quarantenne, funzionario ora in pensione, che riflette su di sé e sul suo comportamento cercando di spiegare le motivazioni delle sue azioni.

La seconda parte s’intitola “A proposito della neve fradicia” e racconta alcuni fatti della vita del protagonista, accomunati appunto dalla presenza di una neve fradicia, sporca, che penetra ovunque.

L’io narrante odia gli altri, rifiuta il loro ordine, ma non ne realizza un altro, è incapace di agire realmente e rimane prigioniero delle sue stesse contraddizioni, assaporandole con un perverso piacere.

Nel primo dei tre episodi, al biliardo di una taverna, un ufficiale prende per le spalle il protagonista e lo sposta, poiché intralcia il passaggio. Egli allora medita vendetta, la sogna, spera d’Incontrare l’ufficiale per strada e di sfidarlo, di fatto poi non combina niente.

Nel secondo episodio il protagonista s’imbatte per caso in un vecchio compagno di scuola, che sta organizzando per il giorno successivo un pranzo di saluto per un altro compagno, ufficiale dell’esercito, in partenza per una provincia lontana. Alla riunione conviviale tutti lo sopportano, disprezzandolo. Alla fine insulta e viene insultato.

Nel terzo episodio l’uomo del sottosuolo incontra la giovanissima prostituta Liza e ne fa la sua vittima. Da un lato le descrive e prospetta una casa e una famiglia, dall’altro le configura un destino incombente di miseria, malattia e morte. Poi se ne va lasciandole il proprio indirizzo. Qualche giorno dopo Liza va da lui e vede dove e come vive, vede lo squallore e la povertà.

Spinto dall’odio per colei che ha smascherato la sua abiezione, le mette in mano una banconota da cinque rubli e la scaccia. Infine riflette sulle sue azioni: “Per quel che poi riguarda me personalmente, nella mia vita ho solo portato alle estreme conseguenze ciò che voi non avete osato condurre neppure a metà, prendendo oltretutto per buon senso la vostra viltà, e consolandovi così, ingannando voi stessi”.

Già il titolo del libro ci indica che Dostoevskij ha intenzione di analizzare l’oscuro, il torbido, il negativo, ciò che generalmente rimane nascosto: è la vita della psiche, sono le motivazioni più profonde quelle che Dostoevskij fa emergere implacabilmente nel suo personaggio, personaggio privo di nome, poiché è – come osserva Citati ne “Il Male Assoluto” – “il primo uomo vuoto che sia apparso nella letteratura mondiale”.

Il protagonista sogna sempre di agire, ma non lo fa, è contento che qualcosa glielo impedisca, in fondo è un vile.

Gode dell’abiezione, si rintana nel suo buco come un topo a rimuginare sui fatti e a pensare sempre le stesse cose.

L’inizio stesso del suo racconto “Sono un uomo malato…Sono un uomo cattivo. Un uomo sgradevole”, con l’io narrante che coincide col protagonista, è bruciante e manifesta un certo autocompiacimento del proprio essere negativo ed abbietto.

Vi sono in lui alcuni tratti dei grandi personaggi di Dostoevskij (Stavrogin, Svidrigajlov, Raskolnikov), che verranno in seguito sviluppati, ma il nostro sa di non essere un grande in quel che fa, “Non solo cattivo, ma proprio nulla sono riuscito a diventare: né cattivo, né buono, né furfante, né onesto, né eroe, né insetto”; egli è senza qualità, non riesce a diventare neanche un insetto e, in fondo, gode di questa sua condizione, se ne autocompiace e fa di tutto per rimanervi.

È come se il protagonista avesse una malattia della volontà (lui stesso osserva che ogni coscienza è malattia), che gli impedisce ogni riscatto e lo fa sprofondare sempre più nel suo limo, traendone per di più piacere.

Egli stesso giustifica il suo comportamento, osservando che gli uomini normali, che agiscono e si danno da fare, sono degli stupidi, dominati dalla ragione con le sue leggi rigide, che ignorano la vera natura umana fatta di caos e tumulto.

Ad essi si contrappone l’uomo ipercosciente, incarnato da lui stesso, che vive nel sottosuolo come un topo, nella sua inerzia e nelle sue frustrazioni.

A volte immagina sentimenti che in realtà non prova, finge anche con sé stesso, pensa d’innamorarsi, di vivere delle avventure per vincere la noia, ma alla fine “il frutto diretto, legittimo, naturale della coscienza è l’inerzia, cioè un cosciente star con le mani in mano. […] tutti gli uomini immediati e d’azione sono attivi proprio perché ottusi e limitati”.

Una possibilità d’uscita dal sottosuolo sembra esserci verso la fine del libro, quando il protagonista ci racconta alcuni episodi concreti della sua vita.

La prostituta Liza ( anche questo tipo di personaggio ritornerà, ad esempio, in Delitto e castigo) lo capisce e ne ha compassione, è anche disposta ad amarlo. Per lui sarebbe la salvezza (quella salvezza che Raskolnikov troverà), ma -come al solito – distrugge tutto e rimane nel suo sottosuolo.

Un mondo oscuro, ma ricco di temi da investigare anche per Dostoevskij.

Articolo apparso su lankelot.eu nel novembre 2006

Edizione esaminata e brevi note

Fiodor Dostoevskij (Mosca, 1821 – Pietroburgo, 1881), scrittore russo.

Fiodor Dostoevskij, “Memorie dal sottosuolo”, Torino, Garzanti, 2000.

Introduzione di Fausto Malcovati. Traduzione di Emanuela Guercetti.

Prima edizione: “Zapiski iz podpol’ja”, 1864.

Approfondimento in rete: Antenati.