Con Willy Signori e vengo da lontano si comincia a percepire come netta la distanza tra pubblico e critica nel valutare le opere di Francesco Nuti. Se Caruso Pascoski, film d’un anno precedente, aveva sostanzialmente diviso (comunque con prevalenza di critiche negative), Willy Signori è assolutamente bollato come film dalla sceneggiatura inesistente, con l’aggravante dell’accrescersi del narcisismo dell’attore-regista, pur al cospetto di due degne attrici come la Ferrari e la Galiena. La vena surreale del comico toscano pare debordare oltremodo, sempre a parere della critica, e le commedie sentimentali sul filo della malinconia (Casablanca Casablanca, Tutta colpa del paradiso, ma anche le pellicole con Ponzi) restano solo un lontano – per quanto temporalmente vicinissimo – ricordo. In realtà non è proprio cosi e per certi versi non lo è affatto, perché Willy Signori è una naturale tappa dell’evoluzione del cinema nutiano, strutturalmente e come identità narrativa molto simile a Caruso Pascoski. Perché tra Nuti e la critica si sia progressivamente creata questa distanza, questo accanimento nel bollare – di qui in poi avverrà sovente, e con cattiveria – a priori le sue opere come scadenti non ci è dato sapere. O meglio lo si può intuire, visto come funziona il mondo dello spettacolo. Ma lasciamo stare, questo discorso ci porterebbe troppo lontano. Soprassediamo: torniamo a Nuti, a questo film tutt’altro che disprezzabile, a tratti davvero divertente.
Willy è un giornalista di nera a Milano, ha 35 anni e una vita che sembra soddisfacente sia sul piano professionale che sentimentale. È fidanzato con Alessandra, professoressa di anatomia patologica, che gli organizza sostanzialmente la vita extralavorativa, scegliendo sempre in prima persona come occupare il comune tempo libero. Willy vive con il fratello maggiore, Ugo, costretto su una sedia a rotelle e convinto di poter riacquistare l’uso delle gambe solo trasferendosi al sole dell’Africa. Nonostante le continue e ossessive richieste d’attenzione di Ugo, Willy ha una vita che scorre via liscia, senza problemi. Decisamente monotona, a ben guardare. Ma l’imprevisto che sconvolge gli equilibri è dietro l’angolo: un incidente d’auto, in piena notte, in cui il giornalista si scontra con uno studente ubriaco che percorre zigzagando una strada contromano. Lo scontro porta la macchina del ragazzo, rimasto privo di sensi, ad adagiarsi sul ciglio della strada, con sotto il vuoto. Willy, che non ha colpa dell’accaduto, tenta di salvarlo, senza fortuna: la macchina precipita. Una decina di giorno dopo, in redazione, si presenta a Willy la ragazza del giovane deceduto, Lucia, peraltro incinta, dando al giornalista dell’assassino. Willy è sconvolto e cerca in tutti i modi di aiutare la giovane, prima economicamente e poi entrando a far parte della sua quotidianità, creandosi una sorta di doppia vita fino alla nascita del bambino. Lucia, inizialmente ostile, si fa presto conquistare dalle attenzioni di Willy, riacquistando la voglia di vivere fino a innamorarsi del giornalista. Ma Willy ha un’altra vita, e una fidanzata cinica e razionale che non è disposta a perderlo. E in più c’è il fratello che vuole l’Africa a tutti costi. Tra paradossi e situazioni ai limiti del reale, l’orizzonte quotidiano di Willy è destinato a mutare. Anche radicalmente: lontano da Milano.
Una commedia gradevole, dai toni lievi e dalle dinamiche surreali, Willy Signori conferma un Nuti meno incline al sentimentalismo e più centrato sulla comicità a tutto campo. Senza peraltro tralasciare, anzi diversificando, lo sguardo sul rapporto di coppia, qui esteso all’identificazione genitoriale – peraltro non un legame di sangue –, tematica già indagata con modalità differenti nel poetico Tutta colpa del paradiso. La sceneggiatura, semplice e lineare, consente al comico toscano di sbizzarrirsi ancor più nelle trovate surreali, mettendo parecchia carne al fuoco ma sfiorando molti argomenti solo di sfuggita. Il che non è necessariamente un male, non avendo il film pretese sociologiche né tanto meno pedagogiche, essendo la farsa l’elemento principe dell’intera pellicola. Ancora una volta, come in Caruso Pascoski, Nuti ci fa conoscere il suo personaggio in un brevissimo (ma meno folgorante, rispetto all’opera precedente) e divertente incipit, nel quale viene raccontata la monotona e borghese quotidianità di Willy. L’imprevisto, tragico ancorché narrato in forma di commedia, altera la vita del giornalista e dimensiona la narrazione sulla presa di coscienza del protagonista rispetto a un qualcosa che fino ad allora era lontano anni luce dai suoi pensieri: un senso paterno che progressivamente si fa cosciente. Di qui una serie di situazioni paradossali, amplificate dall’interazione con personaggi improbabili e totalmente sopra le righe. L’incontro con Lucia modifica in Willy il relazionarsi alla sfera affettiva, in qualche modo lo ridesta e lo responsabilizza, riempie i vuoti emotivi dovuti alla comoda routine. E si fa fatica, questa volta, a seguire l’iter sentimentale, travolti come ci si ritrova dalla verve comica, sovente anche fuori misura.
Ma Willy Signori non è un film che insegue la misura, non ne avrebbe motivo, al contrario sembra un’opera in cui il Nostro si lascia andare completamente, richiamandosi all’ordine solo nei momenti cruciali della vicenda. A supportare l’artista toscano in questa deriva farsesca troviamo il bravo Alessandro Haber, che dà vita a duetti gustosi nei quali la sua agitata comicità si incastra perfettamente con la recitazione di Nuti. Discrete le prove delle due attrici, Isabella Ferrari e Anna Galiena, personaggi cardine della narrazione, inevitabilmente offuscate dalla preponderanza di Nuti sulla ribalta. Novello Novelli stavolta è nei panni silenti d’un cadavere oggetto di studio: più che mai irreale, incredibilmente conservatosi per tutta la durata della pellicola.
Tema cardine, qui come nella maggior parte delle opere nutiane, è quell’altrove agognato o inatteso in cui sublimare la compiutezza del viaggio – non solo un luogo fisico, ma anche e soprattutto intimo ed esistenziale – dei protagonisti. Qui l’approdo è reale, l’Africa è dove tutto si risolve e trova il suo senso, come era accaduto in Casablanca Casablanca e al contrario dei film con Ponzi, in cui Messico e Perù sono luoghi catartici ma troppo lontani, irraggiungibili, non solo fisicamente. Il destino, film dopo film, sembra esser meno incline al dubbio e alla malinconia per i personaggi delle pellicole di Nuti, nonostante il continuo senso di sradicamento e le incertezze che evidentemente li accompagnano. Certo di li a qualche anno – con lo spassoso intermezzo di Donne con le gonne – arriverà Occhiopinocchio, opera interessante e controversa, malinconicamente emblematica del destino artistico ed umano che attendeva il bravo comico toscano.
Federico Magi, febbraio 2008.
Edizione esaminata e brevi note
Regia: Francesco Nuti. Soggetto: Francesco Nuti. Sceneggiatura: Francesco Nuti, Giovanni Veronesi, Ugo Chiti. Direttore della fotografia: Gianlorenzo Battaglia. Montaggio: Sergio Montanari. Scenografia: Virginia Vianello. Costumi: Maurizio Millenotti. Interpreti principali: Francesco Nuti, Isabella Ferrari, Anna Galiena, Alessandro Haber, Antonio Petrocelli, Cristina Gajoni, Novello Novelli, Claudio Spadaro, Geoffrey Copleston, Giovanni Veronesi, Isaac George, Don Powell, Tatiana Winteler, Marco Nataluccio, Silvia Corti. Musica originale: Giovanni Nuti. Produzione: Gianfranco Piccioli e Giorgio Leopardi perUnion P.N., Mario e Vittorio Cecchi Gori per Cecchi Gori Group Tiger Cinematografica. Origine: Italia, 1989. Durata: 105 minuti.
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