Il bel titolo originale, Cassandra’s Dream (inutile dirvi che l’italiana “traduzione” Sogni e delitti, per quanto prossima al tema trattato, è assai più banale), ispirato a giusta ragione, vista la vicenda, all’omerica profetessa di sventure, è già di per sé un indizio per capire dove culmina il trittico di pellicole londinesi di Woody Allen. Non in un luogo fisico, o per lo meno non soltanto, visto che Londra si è rivelata scenario quanto mai suggestivo e verosimile per le opere in questione, ma in un luogo psichico, esistenziale. Come nel capostipite Match Point, con la stessa fredda geometria, il regista di Manhattan ci parla ancora di delitto e castigo, di rovesci della sorte legati al senso di colpa, di un destino beffardo e crudele. Ma non è solo il destino, a ben indagare le tre opere, il responsabile dei castighi mancati o sopraggiunti, delle vicende che rompono drammaticamente le consuetudini dei trentenni protagonisti, quanto il vuoto esistenziale e il grigiore valoriale del mondo che ci ospita, soprattutto a certe latitudini. Anche in Cassandra’s Dream, come in Match Point, è la scalata sociale di ragazzi che vivono esistenze grigie e ripetitive ad innescare il dramma che porterà alle inevitabili tragiche conseguenze.
Ian e Terry sono due fratelli che vivono alla periferia di Londra: Ian, più scaltro e ambizioso, lavora nel deficitario ristorante del padre, Terry è dipendente di un’officina e ha una passione sfrenata per il gioco e per l’alcol. Vogliono acquistare una vecchia barca (Cassandra’s Dream, nella quale si consumerà l’epilogo) per evadere dal contesto sociale che li accoglie, andando in cerca della giusta occasione per emergere. Che pare arrivare quando Terry vince una somma considerevole a poker e, contestualmente, Ian conosce un’avvenente giovane attrice con la quale si spaccia per uomo d’affari. Conseguenza di ciò sarà per il primo l’acquisto di una casa con cui andare a convivere con la fidanzata, per il secondo l’accentuazione della bramosia per il salto sociale, dovuta anche alla passione per la giovane e pretenziosa attrice. Ma Terry viene abbandonato dalla sua buona stella e, tradito dal demone del gioco, perde una vera e propria fortuna, finendo cosi in mano agli strozzini. Sogni infranti e pericolo imminente: che fare? Ian e Terry, pur essendo di origine modesta, hanno un zio ricchissimo che ha aperto cliniche in Oriente e che sovente aiuta la famiglia nei momenti di difficoltà. Approfittando del suo breve soggiorno londinese gli sottopongono la questione spiegando nel dettaglio l’evoluzione degli accadimenti. Lo zio garantisce loro il suo aiuto, promettendogli una svolta repentina per le loro vite. Ma ad un prezzo inatteso: l’omicidio. Eh sì, pare che le attività del grande uomo d’affari non siano proprio limpidissime, e c’è qualcuno che vuole incastrarlo e che può mandarlo in rovina. I due ragazzi sono dapprima sconvolti dalla inattesa richiesta, poi sempre più persuasi che è l’unica possibilità non solo per emergere, ma anche per non subire le imminenti ritorsioni degli strozzini. Nonostante i dubbi e gli imprevisti il tutto si consumerà senza lasciare alcuna traccia. Niente può far risalire ai due autori materiali, né tanto meno allo zio mandante: Ian e Terry ora si possono godere la vita. L’interiorizzazione dell’accaduto avrà però effetti opposti nella psiche dei due fratelli.
Un’opera gelida come la città che l’accoglie, per certi versi ancor più agghiacciante rispetto a Match Point nel suo voler fotografare impietosamente la debolezza emotiva e la crisi valoriale dell’uomo moderno occidentale. È un Allen pessimista quanto non lo è mai stato in precedenza quello che confeziona questa trilogia londinese – due drammi intervallati da una commedia, Scoop, che nasconde sotto la sua comicità di facciata le stesse inquietudini presenti in Match Point e Cassandra’s Dream -, sempre ispirato nella scrittura e grande direttore d’attori. I dialoghi, ancora una volta, sono la cifra più rimarchevole che evidenzia la pellicola del regista newyorkese, privi certo di quella geniale autoreferenzialità che emerge in forma di commedia, ma sottilmente paradossali e ironici in alcuni frangenti – sempre meno con l’evolvere del dramma -, comunque assolutamente calzanti per alimentare la tragedia cui andranno incontro i protagonisti. E sarà tragedia a tutti gli effetti, una volta arrivati all’epilogo, una tragedia senza pathos, fatta di vuoto, di assenza, di lontananza emotiva e perché no – per una volta si può anche dire – morale. Lo sguardo di Allen è impietoso, come lo era stato in Match Point e in Scoop (si potrebbe scrivere un saggio sull’unità o la continuità delle tre opere in questione), assolutamente non giudicante perché impossibilitato a partecipare emotivamente a una vicenda che par essergli fastidiosamente estranea: Allen filma ciò che odia, in sostanza, azioni e sentimenti nei quali non solo non può, ma soprattutto non vuole identificarsi. Ecco che Cassandra’s Dream, in questo senso, come degna conclusione del vuoto morale e spirituale filmato in tutta l’esperienza artistica londinese, è l’opera in cui il regista newyorchese si distanzia maggiormente dai suoi personaggi: non ci sono né redenzione né salvezza, né tanto meno il pianto di nessuno a conclusione di tutto. Non c’è perché è il regista stesso che sceglie di non filmarlo: non c’è nulla di commovente, è solo una delle tante grigie e drammatiche vicende figlie del nostro tempo.
Allen non sposa i suoi protagonisti ma sa dirigerli a meraviglia, tanto che anche il solitamente impresentabile Colin Farrell trova, grazie alla sapienza del regista, il suo ruolo più congeniale, un personaggio tragicomico mai veramente lucido, a tratti involontariamente autoironico. Altro che i ruoli ridicoli incarnati in Alexander di Stone o nell’ultimo Mallick (The New World), mai nessuno pare averlo valorizzato come nel film in questione. Al contrario McGregor, molto più attore di Farrell, interpreta un ruolo che ne esalta la misura e l’ambiguità, convincendo fino ad inquietare – in prossimità dell’epilogo – lo spettatore. Brave anche le non note attrici di contorno, tra le quali non lascia indifferente la bella Hayley Atwell. Magistrale la prova del consumato Tom Wilkinson, perfetta incarnazione dell’orrore che sovente si cela dietro la maschera del successo.
I toni da tragedia greca, da Allen amata e spesso dissimulata attraverso la comicità (ricordate l’esilarante La dea dell’amore, opera strutturata proprio come una tragedia greca), sono alimentati dalla colonna sonora di Philip Glass, assai consonante con l’atmosfera del film, e dal talento fotografico di Zsigmond (qui alla seconda prova con Allen, del quale si ricorda anche il bel lavoro con De Palma), strutturati su una sceneggiatura che non ha cedimenti e che ci accompagna all’epilogo senza mai incontrare cesure narrative. Tutto molto lineare e non a caso: l’idea di Allen è quella di accompagnarci lungo il dramma insinuando il dubbio prima di tutto in noi stessi, tratteggiando solo in superficie la psicologia dei personaggi proprio per non alterare la nostra interiorizzazione della vicenda. Ian e Terry sono specchi in cui guardarsi ma allo stesso tempo contenitori emozionali svuotati, marionette: e se fossimo noi al loro posto? Questa è la domanda, l’angoscioso interrogativo che ci restituisce la pellicola.
Cassandra’s Dream è un film da vedere, convincente e a tratti coinvolgente, certo non tra gli assolutamente imperdibili della sterminata filmografia alleniana (del resto, su tematiche simili Allen ha costruito un gioiello della cinematografia d’ogni tempo, Crimini e misfatti, difficilmente ripetibile), forse lievemente meno affascinante di Match Point ma comunque di livello rispetto alla media proposta sul grande schermo. Chiusa questa inattesa trilogia il regista newyorchese s’è spostato a Barcellona per il prossimo film, certamente per trovare ambientazioni più solari rispetto alle grigie e a conti fatti ispirate atmosfere londinesi.
Federico Magi, febbraio 2008.
Edizione esaminata e brevi note
Regia: Woody Allen. Soggetto e sceneggiatura: Woody Allen. Direttore della fotografia: Vilmos Zsigmond. Montaggio: Alisa Lepselter. Scenografia: Maria Djurkovic. Costumi: Jill Taylor. Interpreti principali: Ewan McGregor, Colin Farrell, Hayley Atwell, Tom Wilkinson, John Benfield, Tamzin Outhwaite, Mark Umbers, Clare Higgins, Ashley Medekwe, Andrew Howard, Philip Davis, Sally Hawkins, Keith Smee, Stephen Noonan, Dan Carter, Richard Lintern, Jennifer Higham, Lee Withlock, Emily Gilchrist, George Richmond. Musica originale: Philip Glass. Produzione: Iberville Productions Limited, Wolverine Productions Limited. Origine: Usa / Gran Bretagna, 2007. Durata: 108 minuti.
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