“«Ascoltate! Anche adesso la stoltezza vi serra le palpebre, mentre desiderate secondo il dettame della merce! Ma è la città stessa che soccombe al Sommo Tempio, convinta che saranno sempre altri a cadere nell’abisso, e folle concima la Nepente, fino algiorno in cui ne sarà divorata. In verità vi dico: chi vive da insetto morirà da insetto»” (pag. 25)
I giorni della nepente è l’opera d’esordio di Matteo Pascoletti, uscita per effequ nel 2015. La trama, il cui innesco è un fatto violento, si dipana in più direzioni, mostrando una fitta rete di relazioni entro cui si muovevano e muovono i personaggi. Lorenzo, tossico, uccide Paola, pensionata, in un tentativo di scippo, e Mauro, insegnante precario figlio della donna, uccide a sua volta Lorenzo coadiuvato da un nugolo di persone. Giulia è la ragazza di Mauro, che convive con lui e viene picchiata da lui. Giulia è stata ex di Lorenzo, e ora è amante di Angelo, giornalista che indagherà sulla vicenda. A fare da sfondo, una città di provincia e quella voglia di pettegolezzo, di protagonismo, di polemica violenta e violenza qualunquista che si aggira ovunque.
Il libro, come una sorta di tragedia, è diviso in simil-atti, con parti coreutiche che fanno da intermezzo e che danno spazio a tutte quelle voci che commentano a vario titolo i fatti: articoli, editoriali, dichiarazioni di avvocati, commenti in rete, intervista a chi ha ripreso la scena col cellulare e così via. Una replica cartacea del nostro guardare la tv, i programmi pomeridiani o notturni sui fatti di cronaca nera, del nostro leggere quotidiani, del nostro cercare le notizie e del nostro commentarle.
L’autore sperimenta molti stili di scrittura: se nei cori la brevità dei vari testi fa notare bene la diversità dei registri adottati, nelle altre parti la narrazione è ora in terza persona, ora in seconda, ora in prima. Tutta questa varietà però non confonde chi legge, ma lo accompagna, segno che chi scrive sa bene cosa fare e come farlo.
Abbiamo così da una parte le persone, i protagonisti, e dall’altra il mondo esterno, l’altro, noi; si ha la possibilità di vedere cosa nascondono i commenti da bar e i plastici delle trasmissioni tv, si ha quel racconto della “gente comune” che sembra presente in ogni dove e che sfugge continuamente nell’inseguimento del pettegolezzo, del particolare che non rende il tutto (perché è il particolare che ci differenzia, perché il tutto è il nostro essere umani). Leggiamo e è facile prendere le parti dei protagonisti, ma fermandosi anche solo un momento ci accorgiamo di quanto spesso, invece, si faccia da coro, si contribuisca a un clima che rende la violenza sempre più accettabile, anche se poi deprecata.
“«Ma poiché scegliete d’essere ciechi, voi vivrete la condanna e nessuno intenderà la colpa!
Chi reputa inutile il dolore nel dolore morirà.
Chi per ira s’acceca non sarà padre, ma nemesi e vittima di sé.
Chi seguirà la falsa luce nelle tenebre riconoscerà l’errore.
Chi giudica le piaghe dei suoi fratelli resterà muto sullo scranno.
E voi, che nel numero vi obliate, voi siete già morti, e nulla ho da dirvi!»” (pag. 34-35)
Dopo le parole del Profeta, non resta che la lettura.
Edizione esaminata e brevi note
Matteo Pascoletti (1978) è nato e vive a Perugia. Dottore in Italianistica, lavora nella comunicazione online e collabora al Festival Internazionale del Giornalismo. Scrive sul blog collettivo Valigia Blu. Ha pubblicato il racconto Dizionario_del_diavolo_net nell’antologia Rien ne va plus (Las Vegas Edizioni). I giorni della nepente è il suo primo romanzo.
Matteo Pascoletti, I giorni della nepente, effequ, 2015. euro 13
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