Cassarubea Giuseppe, Cereghino Mario Josè

La scomparsa di Salvatore Giuliano

Pubblicato il: 20 Gennaio 2013

La morte di Salvatore Giuliano, in considerazione che nel 2010 i pubblici ministeri palermitani su iniziativa di Casarrubea e Cereghino hanno permesso di riaprire la bara del bandito, credo sia giustamente definibile come un cold case all’italiana. Atmosfera da cold case confermata in pieno da quando ci si è accorti della sparizione del fascicolo contenente i risultati dell’autopsia sul cadavere di Giuliano. “Di sicuro c’è solo che è morto”  è la frase ad effetto di Tommaso Besozzi, il giornalista dell’Europeo, pronunciata all’indomani di quel 5 luglio 1950 e riportata ogni volta che si tornava sulle stranezze di quella vicenda ammantata di mistero e di tante altre morti successive poco chiare e tutte legate al bandito siciliano. In realtà, a quanto pare, nemmeno la morte del “re di Montelepre”, o meglio l’identità di quel morto, è poi tanto sicura. Casarrubea e Cereghino da anni lavorano sul materiale di archivio, e soprattutto il primo da tempo aveva espresso la sua convinzione: al posto del bandito fu ucciso, intenzionalmente, un suo sosia, per essere poi tumulato al suo posto e così permettere al vero Giuliano di fuggire e di espatriare. Una posizione apparentemente cervellotica, di quelle che fanno gridare al complottismo, ma bisogna ammettere che quanto scritto nell’ultimo libro di Casarrubea e Cereghino non appare affatto assurdo; tanto più se vogliamo dare credito a quanto riportato nella documentazione d’archivio citata e che, dopo anni, grazie alla desecretazione dei documenti dei servizi segreti italiani (Sis), di quelli dell’Oss (l’antesignano della Cia), hanno corroborato la tesi di Cassarubea.

Intendiamoci: sarebbe un azzardo definire “La scomparsa di Salvatore Giuliano” un autentico libro di Storia col crisma della scientificità. Dovremmo vagliare punto punto le affermazioni contenute nell’opera con quella documentazione d’archivio che non abbiamo dubbi essere autentica ma poi non è ben individuata nelle citazioni, sfrondare alcuni passaggi tratti da articoli di giornali di partito che non so quanto possano contribuire a rafforzare le tesi dei due autori. Piuttosto possiamo definire “La morte di Salvatore Giuliano” un testo ben scritto, che si legge d’un fiato, un solido pamphlet di argomento storico, non privo di spunti sarcastici, che propone scenari in parte già evocati ma che a questo punto, proprio sulla base delle carte desecretate, meritano ulteriori approfondimenti.

Del resto sono gli stessi autori che al termine del loro libro così si congedano: “ciascuno ha il dovere di fare bene la propria parte: i magistrati di trovare una verità giudiziaria, i periti di consegnarci una stima basata sulle loro analisi, gli storici di ricostruire i fatti e avvenimenti attraversi l’analisi critica delle fonti. Malgrado i silenzi, l’omertà, i depistaggi” (pag. 325). Ed infatti “depistaggio” è forse la parola chiave di tutto il libro. Salvatore Giuliano – ricordiamolo – per anni è stato dipinto come una sorta di Robin Hood siculo, uno che rubava ai ricchi per donare ai poveri (con la complicità anche della letteratura e del cinema, di Mario Puzo e di Michael Cimino), che addirittura uno storico di cultura marxista come Ernest Hobsbawm ha definito come “bandito romantico” (e poi capiremo i motivi di questo paradosso in bocca ad un uomo di sinistra). Quanto emerge invece dalle ricerche di Casarrubea e Cereghino non ha niente a che fare con Robin Hood e molto di più semmai con gli oltre quattrocento omicidi attribuiti a Giuliano e alla sua banda. Non è un caso se i due autori non lo definiscano nemmeno bandito ma terrorista.

Il motivo è chiaro: la vicenda del “re di Montelepre”, secondo Casarrubea e Cereghino, si inserisce perfettamente nel quadro bellico che parte dall’armistizio di Cassibile e, passando per le organizzazioni che puntavano al separatismo siciliano, arriva fino alle prime elezioni politiche della neonata Repubblica Italiana. Quindi nessun tratto autenticamente banditesco nel plotone di Giuliano ma una struttura inserita nei circuiti eversivi che facevano capo a Berlino, Milano e Verona; e come dimostrerebbero i suoi collegamenti organici con la Decima Mas (qui gli autori abbondano descrivendo le tante reti spionistiche in campo e le relazioni pericolose di personaggi che poi si ricicleranno sotto altra bandiera). E’ ormai acclarato che al momento dello sbarco in Sicilia fu cercata ed ottenuta un’alleanza con la mafia da parte dei militari Usa, alcuni dei quali già in contatto con Cosa Nostra durante la loro vita civile (e criminale). In questo contesto di estrema confusione si ricordano gli interventi di alcuni agenti americani, come l’americano Angleton, che già nel 1944 avevano incontrato Borghese: da qui proposte tali da prospettare la totale immunità per gli uomini della Decima alla fine del conflitto, in cambio del loro supporto volontario alla guerra segreta contro il Pci e le formazioni paramilitari comuniste. I primi germogli di quella che sarebbe stata la saldatura tra i servizi segreti americani, o parte di essi, e l’eversione nera. Casarrubea e Cereghino individuano in questo patto la lunga vita del plotone armato di Giuliano e dei suoi uomini, nonostante che anche dalla parte alleata non ci fosse unità d’intenti. Leggiamo infatti del colonnello Hill Dillon, evidentemente alle prese con quelle che considerava deviazioni del suo stesso servizio segreto: […] è un bravo investigatore. Da mesi è sulle tracce dei sabotatori nazifascismi più pericolosi. Ha tra i suoi collaboratori gente in gamba come il maggiore Stephen J. Spingarn. Tirano avanti come carri armati senza guardare in faccia nessuno. E non si intimoriscono nemmeno dinanzi a quei giovani rampanti dell’X-2 di Roma, a cominciare da Angleton e Corso che, si mormora, stiano giocando sporco con i militi della Decima salotina del principe Borghese” (pag. 110). Le trame che sono descritte dai due autori sono ovviamente molto complesse, vedono implicati uomini come il principe Pignatelli, e ci si può sorprendere nel leggere della presenza di Augusto Turati, citato nella documentazione desecretata, tra i partecipanti alle riunioni che subito dopo la guerra venivano effettuate per organizzare la possibile resistenza anticomunista. Ci viene ricordato il nascente servizio parallelo dell’Anello della Repubblica e, con delle deduzioni perentorie e che per la loro gravità meriterebbero di essere approfondite (penso a quanto viene scritto su Pacciardi intento a contrastare Moro e il centrosinistra), anche i ricorrenti progetti golpisti di presenti nei servizi e nelle organizzazioni politiche.

In merito alla presenza di organizzazioni clandestine paramilitari che si sarebbero fronteggiate nel caso di presa del potere di un partito legato all’Urss qualcosa sappiamo. Altro aspetto, preso in esame nel libro, è quello invece del terrorismo vero e proprio che aveva l’intento di prevenire il pericolo stalinista con una soluzione autoritaria. E nel quel quale Giuliano, con i suoi omicidi, avrebbe avuto una parte non certo da comprimario. Poi leggiamo che nel 1949 il bandito avrebbe nuovamente cambiato bandiera: non più monarchico, neofascista ma, leggendo una sua lettera sgrammaticata e piena di assurdità, un anticlericale, antiamericano che auspicava “un governo misto di liberali e socialdemocratici, autonomi da ogni ideologia”. Praticamente una sorta di messaggio in codice, una partita a scacchi nel quale il terrorista Giuliano accettava le logiche di potere scaturite dalle elezioni del 1948 ma in cambio chiedeva benevolenza ed una forma di impunità. E’ qui che entra in ballo la faccenda del sosia di Giuliano, di Gaspare Pisciotta e dei relativi depistaggi. Sciortino, uno della banda, nel 1984 avrebbe rivelato che a morire a Castelvetrano non sarebbe stato Turiddu ma appunto un sosia, poi sepolto nella tomba di famiglia a Montelepre.

Affermazioni ovviamente tutte discutibili, ma l’esame della documentazione d’archivio del Sis e dell’Oss, il riesame delle testimonianze del tempo, quanto meno contraddittorie, hanno convinto Casarrubea e Cereghino che effettivamente Giuliano sia stato fatto sparire perché sapeva troppo e così abbia potuto riprendere le sue attività criminali altrove, ben protetto e con una nuova identità. Anzi, secondo altre testimonianze, sarebbe rientrato in Italia nel 1971 in occasione del funerale della madre. Il condizionale è d’obbligo nonostante Casarrubea e Cereghino propongano questa tesi col supporto delle loro ricerche d’archivio. Un condizionale mi pare ammesso dagli stessi autori. “La storia di Salvatore Giuliano e la sua fine rientrano tra gli esempi di questo processo di deviazione sistematica della verità. Le alterazioni che l’hanno espressa potrebbero continuare all’infinito, giacché una certezza inoppugnabile sugli ultimi giorni di vita di questo capobanda non si avrà mai. Né sul piano storiografico né su quello giudiziario” Ma: “per il primo aspetto, più si scava e più emergono frammenti di verità” (pag. 324). La verità sarebbe quella di un moderno terrorista asservito a poteri occulti: “Che lo Stato abbia fatto ogni sforzo per venire a patti con questo mondo già in quegli anni torbidi, è fuori discussione. Come fuori discussione è anche il fatto che vi sia stata una trattativa tra membri autorevoli delle istituzioni e uno stragista legato a doppio filo alle cosche mafiose e ai Servizi” (pag. 324). Affermazioni scritte in merito ad una vicenda che risale al dopoguerra ma che ricordano qualcosa di molto più recente. Si chiamano corsi e ricorsi della storia.

Edizione esaminata e brevi note

Giuseppe Casarrubea è scrittore e storico siciliano. Per Sellerio ha scritto Intellettuali e potere in Sicilia (1983). È autore di Portella della Ginestra (Franco Angeli, 1997). Per Bompiani ha pubblicato Storia segreta della Sicilia (2005) e con Mario J. Cereghino Tango Connection (2007). È presidente dell’associazione “Non solo Portella” e dirige a Partinico (Palermo) l’archivio “G. Casarrubea”, dedicato alla memoria di suo padre. www.casarrubea.wordpress.com

Mario José Cereghino si occupa di archivi statunitensi e britannici. Collabora con il quotidiano la Repubblica. Per Bompiani ha pubblicato, con Vincenzo Vasile, Che Guevara Top Secret (2006) e, con Giuseppe Casarrubea, Tango Connection (2007) e Lupara Nera (2009). Con Giovanni Fasanella ha scritto Il golpe inglese (2011).

Giuseppe Casarrubea, Mario J. Cereghino, “La scomparsa di Salvatore Giuliano. Indagine su un fantasma eccellente”, Bompiani (collana Tascabili Saggi), Milano 2013 pag. 368

Luca Menichetti. Lankelot, gennaio 2013

Recensione già pubblicata il 20 gennaio 2013 su ciao.it e qui parzialmente modificata.